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mercoledì 13 maggio 2009

Laboratorio Enterprise 2.0: le slide

Ieri, nella sede di Confindustria Padova, si e' tenuto il workshop "Laboratorio Enterprise 2.0", a cui hanno partecipato 85 persone, tra imprenditori, professionisti e studenti. Le domande e la conversazione alla fine hanno dimostrato il grande interesse e al tempo stesso le perplessita' che ancora avvolgono l'introduzione di questi temi in azienda.

Riporto qui le slide del mio intervento, che aveva lo scopo di introdurre la tematica dell'Enterprise 2.0, rispondendo a domande come: Cosa si intende per Enterprise2.0 ? Quali reali vantaggi porta in azienda ? Quali potenzialità vengono liberate e quali costi e vincoli vengono compressi ? Quali cambiamenti organizzativi e quali strumenti e tecnologie abilitanti ?

Ricordo che al mio intervento sono seguiti quello di Luigi Mengato (slide), piu' focalizzato sulla dimensione "persone" e quindi su aspetti formativi, e il caso concreto della Lago, presentato dal marketing manager Nicola Zago.


domenica 3 maggio 2009

Freno e acceleratore nell'Enterprise 2.0

Ho risposto alla domanda posta da Mario Gastaldi, nel suo gruppo su LinkedIN "Sviluppo delle Organizzazioni". Si chiedeva in sostanza se la tecnologia può cambiare la cultura ... oppure è necessario che nasca una cultura di collaborazione che utilizza tecnologie a supporto?

Prima dell' Enterprise 2.0 si parlava di "gestione della conoscenza" e di "supporto alla collaborazione e al lavoro di gruppo" - naturalmente usando appositi termini americani. In tutti questi casi la tecnologia e' sempre stata un fattore abilitante "in positivo", mentre la "componente people" e' sempre stata un fattore cruciale "in negativo" - qui positivo e negativo non rappresentano un giudizio di valore, ma si intendono riferiti al cambiamento. Con l'Enterprise 2.0, e' ancora come prima.

Proviamo con una metafora: se la tecnologia fosse un automobile, potrebbe permettere viaggi altrimenti non possibili, ma la persona che non ha intenzione di uscire di casa e' comunque l'ostacolo insormontabile. Dunque anche in questo caso, se le persone lo vogliono fare, la tecnologia e' importantissima, ma se le persone non lo vogliono, la tecnologia non conta.

A causa di questa dissimmetria, e considerando che i contesti non sono quasi mai bianchi (tutti favorevoli e ben disposti verso la tecnologia) o neri (tutti reticenti e resistenti all'introduzione di nuove tecnologie), la strada non puo' che essere scivolosa e piena di curve. Consiste in un percorso di avvicinamento in cui si oscilla tra interventi sulle persone, volti a radicare un atteggiamento favorevole al cambiamento (alla condivisione, alla collaborazione, ...), e sul piano della tecnologia, volti a dimostrare che alcuni strumenti possono amplificare i benefici dei modelli comportamentali adottati anche in parte.

Chiudo ricordando che un tempo, nelle organizzazioni impostate gerarchicamente, quando si doveva introdurre un cambiamento, si considerava in alternativa un approccio "di rottura". Si preferiva cioe', fronteggiare un cambiamento repentino e una reazione fortemente ostile. Naturalmente si contava sul fatto che non c'era liberta' di scelta da parte delle persone, che quindi "subivano" il cambiamento volenti o nolenti.

Nell'ambito delle professioni basate sulla conoscenza, e quindi nell'ambito dell'Enterprise 2.0, questo approccio non puo' proprio funzionare. E' necessario ottenere dalle persone un'adesione intima al cambiamento, una partecipazione convinta, senza le quali nessuna conoscenza sara' messa a fattor comune, nessun potenziale collettivo sara' liberato, anche se fanno finta di usare la tecnologia.

martedì 28 aprile 2009

Prodotti affabulatori, che favoriscono la socializzazione

Ho pubblicato su "Ecosistema 2.0" e su Facebook questa provocazione, da uno spunto di Francesco Morace, ripreso da Silvia. Su FB ci sono stati interessantissimi rilanci, che ho trascritto anche tra i commenti in "Ecosistema 2.0".

Questa crisi sta mettendo in evidenza il significato piu' profondo dell'economia della conoscenza: non basta saper fare, non basta saper conoscere. Occorre saper realizzare prodotti intrisi di conoscenza e cultura, prodotti che raccontano storie e trasmettono emozioni, prodotti "colti" che seducono perche' mai banali. Per questo gli ibridamenti tra distretti sono altrettanto preziosi quanto le contaminazioni interdisciplinari nello sviluppo della nostra conoscenza e della creativita'.

Siamo ancora troppo legati ad un approccio mentale orientato alla specializzazione, alla verticalizzazione. In fondo sono forme mentali utili nel pensiero scientifico, industriale, seriale. Ma l'appiattimento di una simile semplificazione, ha ben poco di umano, e quindi proprio per questo, ha poche probabilita' di entrare in risonanza con le nostre corde piu' profonde.

Conserviamo assunzioni che privilegiano l'esperienza nello stesso campo, analisti che vengono riconosciuti come esperti di settore, ricercatori che indagano le caratteristiche di singoli comparti, fiere dedicate a famiglie di prodotti e non filoni di bisogni ed emozioni, ... Continuamo a costruire sovrastrutture rigide e mutuamente compatibili in modo precario.

L'avvento di un nuovo umanesimo ci chiede e ci impone una svolta. Il bufalo puo' scartare di lato: certo puo' cadere, e per questo la ferrovia vinceva, al tempo delle praterie sconfinate; ma ora siamo ai bordi della grande mesa, e cambiare direzione e' questione di sopravvivenza, per non precipitare nel canyon.

Un prodotto che esprima contaminazioni, derivazioni, ricollocazioni, e' inevitabilmente un prodotto che ha qualcosa da raccontare, e che quindi puo' affascinare. Non puo' piu' essere solo destinato al consumo, ma alla socializzazione del e col suo utilizzatore: dal consumismo all'esperenzialismo. Non chiediamo piu' ad un bene di consumo di assolvere ad un compito, ma di abilitare la socializzazione.

lunedì 27 aprile 2009

Osservatorio Wine: dalla tradizione alla internazionalizzazione

APINDUSTRIA Verona con la collaborazione del Gruppo Mediarete, organizza
il "Convegno Osservatorio Wine" e una tavola rotonda con blogger, appassionati e cantine.

Obiettivo dell’evento è confrontare quanto emerge dalla ricerca “Osservatorio Wine: quale rapporto tra le cantine ed il web” con l’internazionalizzazione delle Pmi vitivinicole, analizzando strategie di comunicazione online tramite blog, social network e nuovi strumenti per il mobile.

Durante il convegno si parlerà di:
- Come accedere agli strumenti europei per lo sviluppo delle attività delle pmi
- Modelli strategici nelle dinamiche di internazionalizzazione delle PMI
- Strumenti di comunicazione online: dal sito vetrina ai social network
- Ufficio Stampa 1.0 vs Ufficio Stampa 2.0
- Come si parla di vino in rete?

Un’opportunità interessante per incontrare e confrontarsi sulle nuove dinamiche di comunicazione online.


Ore 14:00 registrazione

Coordina il convegno: Diana Venturato, Consigliere APINDUSTRIA Verona

Intervengono:
Patrizia Patti, Presidente API Donne
Federica Festi, CEO Gruppo Mediarete
on. Donata Gottardi, Europarlamentare
Roberta Capitello, Docente Università di Verona, Dipart. Scienze e Tecnica Vitivinicola

Seguira' una tavola rotonda sul tema "Essere cantine e PMI 2.0"

Ora: 8 Maggio 2009 da 14:00 a 18:00
Luogo: Verona, sede BPV, Sala dei 120
Via: Via S. Cosimo, 10
Città: Verona
Sito web o mappa: http://osservatoriowine.it/

Al termine del convegno è previsto un buffet con degustazione di vini che hanno aderito al panel di ricerca.

La partecipazione è gratuita fino ad esaurimento posti.

Confermare l’adesione al convegno collegandosi a:
http://www.osservatoriowine.it/iscrizione

Laboratorio Enterprise 2.0, workshop a Padova

"Laboratorio Enterprise 2.0" e' il workShop promosso da Confindustria Padova sul tema "Enterprise 2.0", in programma a Padova, il 12 Maggio

Internet, che si espande con successo da 20 anni, ha dimostrato di essere un formidabile strumento per comunicare, collaborare, coordinare, conoscere e quindi prendere decisioni. In particolare da qualche anno la libera e spontanea partecipazione delle persone (Web 2.0) ha permesso di esprimere un enorme potenziale di creatività, conoscenza e intelligenza. Che benefici si rendono possibili in azienda adottando un approccio a rete (Enterprise 2.0) ? L'organizzazione può essere semplificata, i costi di coordinamento possono essere tagliati drasticamente, ma soprattutto si può aumentare la capacità di fronteggiare un mercato turbolento ed una complessità di competenze, che riguardano oggi qualsiasi settore. Naturalmente questi nuovi modelli si possono applicare a tutta l’azienda o ad alcuni reparti, a seconda delle caratteristiche dell'azienda stessa e del comparto in cui opera. Inoltre adottare un approccio a rete, non consiste solo nell'acquisire un software, ma nell'avviare un progetto di cambiamento organizzativo e culturale.

16.30 -16.45 REGISTRAZIONE PARTECIPANTI

16.45 - 17.00 INTRODUZIONE
Gianni Potti Apertura dell’incontro a cura di Gianni Potti, delegato alla comunicazione di Confindustria Padova.

17.00 – 17.30 ENTERPRISE 2.0: ISTRUZIONI PER L’USO
Gino Tocchetti Cosa si intende per Enterprise2.0 ? Quali reali vantaggi porta in azienda ? Quali potenzialità vengono liberate e quali costi e vincoli vengono compressi ? Quali cambiamenti organizzativi e quali strumenti e tecnologie abilitanti ? Ne parliamo con Gino Tocchetti: consulente aziendale, esperto nello sviluppo del business aziendale attraverso la gestione della conoscenza e l'innovazione tecnologica.

17.30 – 18.00 FORMAZIONE E WEB 2.0
Luigi Mengato Il Web 2.0 rappresenta uno strumento per l’applicazione dei nuovi modelli Enterprise 2.0. Quali cambiamenti sono necessari a livello individuo per poterli sfruttare ? Quali conoscenze ? Quali nuove competenze tecniche e trasversali ? Come indurre il cambiamento e attraverso quali azioni formative ? Ne parliamo con Luigi Mengato: formatore e consulente aziendale si occupa di Sviluppo Organizzativo individuale e del Team.

18.00 – 18.30 CASE HISTORY: LAGO SPA
Quali passi deve affrontare una PMI per l'attivazione delle logiche Enterprise 2.0 ? Nicola Zago I presupposti culturali ed organizzativi, la perdita del controllo, il commitment della proprietà, la misurazione dei risultati, la partecipazione dei colleghi. Ne parliamo con Nicola Zago, marketing manager di Lago Spa, analizzando tutte le sfaccettature di un reale progetto enterprise 2.0 avviato in azienda.

19.00 – 20.00 APERITIVO
Approfondimenti e discussioni bevendo assieme un aperitivo …….

Conferma la partecipazione inviando
NOME COGNOME
AZIENDA
TELEFONO
EMAIL
via fax allo 049 8227543 o via e-mail a organizzazione@confindustria.pd.it

lunedì 20 aprile 2009

Enterprise 2.0: una moda o un cambio di paradigma ?

E' noto a tutti che la nostra economia e' sempre piu' basata sulla "conoscenza" - rispetto a qualche decade fa in cui la "produzione" era al primo posto - e che in questo passaggio non si deve leggere una rivoluzione, e quindi l'abbandono di una "cultura del fare", ma semplicemente un recupero di "una capacita' di fare che trasuda competenza e cultura". Da qui la ragione percui tutti i professionisti, anche quelli piu' legati al mondo manifatturiero e produttivo, sono inevitabilmente "portatori di una profonda conoscenza (knowledge worker) e si distinguono per la capacita' di rigenerarla e ricombinarla senza fine". Per questo la questione della conoscenza in azienda non puo' essere separata dalle persone.

silos di conoscenzaMolte delle tecnologie che i "knowledge worker" usano per comunicare cadono in due categorie. La prima consiste nei "canali" - come mail e Messaggistica Istantanea - dove c'e' la massima liberta' di creare e distribuire informazioni, ma queste informazioni hanno una "bassa circolazione" (limitata alle sole persone coinvolte nel singolo flusso, spesso limitata solo a due o pochissime persone). La seconda categoria comprende le "intranet" e le "extranet" (siti istituzionali dell'azienda - sezione documentazione, eventualmente ad accesso limitato - oppure "portali informativi" per dipendenti e partner), cosiddetti "silos", dove la generazione delle informazioni, o almeno l'approvazione, e' in carico ad un limitato gruppo di persone autorizzate, e d'altra parte l'accesso e' consentito in generale, previa regolazione, ad un elevato numero di persone.

Modello SECI di Nonaka Takeusci, 1995Negli anni passati e fino ad oggi, alcuni sistemi di knowledge management (strumenti e metodi organizzativi) hanno tentato di combinare questi due approcci, cercando di estrarre la "conoscenza" dall'attivita' quotidiana, e cristallizzandola in oggetti che fossero di comune e stabile riferimento. Il risultato di questi tentativi pero' e' stato piuttosto ridotto, e accettabile solo in casi ben determinati, a causa delle difficolta' e dei vincoli emersi in tutto il processo: quali motivare le persone a condividere la propria conoscenza, "farla emergere" in modo da renderne possibile il riutilizzo, congelarla nel tempo e al di fuori dei contesti di riferimento, classificarla in modo comprensibile ed utile per tutti e semplificarne l'accesso... Inoltre dal punto di vista strettamente tecnologico, gli strumenti a disposizione (email, intranet...) si sono dimostrati "poco pratici": la quantita' di mail e' soverchiante lo stretto necessario; ritrovare le informazioni nella enorme quantita' di documenti e messaggi archiviati e' come cercare un ago nel pagliaio.

Andrew McAfeeNel frattempo, si sono rese disponibili nuove tecnologie, basate sul "modello a rete", che prevedono la libera e spontanea partecipazione delle persone, che quindi comunicano e collaborano con generosita', e con un approccio "pratico", tale da favorire effettivamente sia la generazione che il riutilizzo delle informazioni e della conoscenza. Queste tecnologie hanno preso corpo mentre Internet diventava sempre piu' accessibile a chiunque, per le ridotte competenze tecniche richieste, per i costi di accesso azzerati o quasi, per il raggiungimento di una massa critica che ha motivato sempre piu' persone alla partecipazione. Questa nuova "fase" nello sviluppo di Internet e' nota col nome di "Web 2.0", e per analogia Andrew McAfee - professore ad Harvard dal 1998, in Technology and Operations Management - ha usato per la prima volta nel 2006, il termine "Enterprise 2.0", riferendosi alla possibilita' di utilizzare in azienda il "modello a rete" e le tecnologie che lo abilitano. Da allora numerose aziende hanno abbracciato con successo tale approccio, e alcune anche in Italia.

reti socialiCome con "Web 2.0" si intende ormai una combinazione di persone (innanzi tutto), tecnologia, e organizzazione (questa limitata a semplici forme di collaborazione), e i "contenuti" (informazione e conoscenza) sono un'appendice delle stesse persone, cosi' il modello a rete in azienda (Enterprise 2.0) consiste in una fondamentale rivalutazione del ruolo centrale delle persone, e nell'adozione di strumenti e modelli organizzativi molto semplici, capaci di facilitare la comunicazione e la relazione tra i professionisti, e liberare il potenziale di creativita', conoscenza e intelligenza, sia nella operativita' che nei momenti decisionali.

Post Consumer EraInoltre il "Web 2.0" sta permettendo una trasformazione importante del modo di comunicare e relazionare nella societa' civile: nessun settore rimane escluso, dall'accesso alle informazioni (stampa, televisione), all'entertainment (musica, video), alla formazione, alla politica, ... e in tutti quei campi in cui il consumatore finale si informa sul prodotto o servizio da acquistare. Dunque per un'azienda e' indispensabile prendere in seria considerazione le dinamiche relazionali a cui i propri clienti sono sempre piu' familiari, per poter continuare ad avvicinarli e farsi conoscere e preferire. Ne segue che nell'approccio al mercato e nella comunicazione a carattere commerciale e' sempre piu' cruciale avere una buona conoscenza degli strumenti e soprattutto del modello "Web 2.0": in questo senso l'Enterprise 2.0 comprende anche l'importante capitolo del cosiddetto "marketing non convenzionale".

Oltre che rappresentare una appropriata risposta al problema della gestione delle informazioni e della conoscenza, della comunicazione all'interno e all'esterno dell'azienda, e del supporto alle decisioni in azienda, il Web 2.0 e' anche ormai un modello di socializzazione ed interazione, sempre piu' familiare, se non imprescindibile, per una fascia consistente della popolazione, e quindi dei professionisti in azienda. Certamente i piu' giovani, considdetti "nativi digitali", non concepiscono nemmeno l'idea di fare a meno di certi strumenti e della modalita' di relazione che essi comportano, ma non va dimenticato che la fascia di utenti che si servono di Internet, che cresce piu' velocemente, e' proprio quella dei "senior". Quindi, in azienda, il modello a rete e le sue tecnologie abilitanti (Enterprise 2.0) non sono solo convenienti, ma sempre piu' spesso una realta' emergente "dal basso" a cui non e' possibile contrastare una scelta di chiusura. Tutto questo porta alla opportunita' e alla necessita' di fare leva su questo potente modello a rete, e di acquisire al piu' presto una buona consapevolezza - in sostanza qui e' richiesto un cambiamento culturale - per poter beneficiare degli aspetti positivi senza subire quelli negativi, e soprattutto prima dei propri concorrenti.

[Questo articolo e' da pubblicare nel blog "Laboratorio Enterprise 2.0" che accompagna l'omonimo seminario organizzato da Confindustria Padova, il 12/5 alle 16:45 nella sede di Via Masini 2, a Padova.]

martedì 31 marzo 2009

Imparare l'arte torna ad essere importante

Ho commentato questo bellissimo post di Andrea Beggi, dal titolo "Artigiani":

clipped from www.andreabeggi.net

Questa settimana ho fatto cucire la sella del mio scooter che aveva bisogno di una riparazione. Grazie al passaparola ho trovato in pieno centro di Genova questo scantinato vecchissimo dove sono stato accolto da un anziano signore.

Tutto in lui trasudava esperienza: il suo laboratorio, che sembrava fermo a 40 anni fa, non fosse stato per la Panda parcheggiata all’interno, la sua cappa blu, il suo viso scavato dalle rughe, la tranquilla cadenza in antico genovese, il modo in cui le sue mani saggiavano il danno.

Quando sono tornato a riprendere il mezzo, la sella era ricucita alla perfezione, e per scrupolo è stato anche rifatta una parte che ne aveva bisogno e della quale non mi ero neppure accorto. Al momento del pagamento questo signore mi chiede “Quanto le avevo detto?”. “Non ne abbiamo parlato”, rispondo. Mi dice una cifra: avrei pagato tranquillamente il doppio senza fiatare. Me ne vado soddisfatto.

 blog it

Certamente “a quel tempo” c’era una concezione diversa del lavoro. Questo post bellissimo mi fa pensare che di queste cose si parla sempre piu’ spesso, come di una mancanza da colmare, di un ritrovare le arti e mestieri per i quali questo paese e’ diventato famoso nel mondo, di un nuovo rinascimento che sta montando.

Mi chiedo anche se questa diversa concezione del lavoro debba essere appannaggio dei soli artigiani. Il lavoro manuale, lento, di precisione, e’ veramente l’unico teatro in cui mettere in scena tanta sapienza e passione ? Perche’ non potrebbe essere lo stesso per un programmatore, un grafico, e perfino un venditore ? “code is poetry” vi dice qualcosa, immagino.

Dunque non e’ tanto nel vecchio mestiere, il punto, quanto in una concezione del lavoro che valorizza il professionista, la passione che trasfonde nel suo lavoro, nei livelli di qualita’, di eccellenza che raggiunge di conseguenza. Il colpevole e’ sicuramente il “consumismo”, che spinge alla produzione frettolosa e in grande scala, alla produzione di oggetti destinato a durare poco per poi essere sostituiti, ad un’innovazione cosi’ frenetica che non concede tempo per profonde specializzazioni.

Ma tutto questo sta lentamente cambiando. Nell'economia globalizzata non possiamo piu' competere con chi sa "semplicemente fare". E' finito il tempo in cui il "made in italy" aveva valore. Dobbiamo tornare a trasferire tutta la nostra "italica" cultura nel manufatto, nel prodotto, nel servizio. Ma soprattutto dobbiamo renderci conto, addirittura a livello europeo, e nel mondo occidentale, che se il nostro ruolo si sposta sempre piu' verso compiti da knowledge worker, verso un'economia dell'innovazione, verso un ripensamento in termini culturali e idealistici dei prodotti e dei servizi, non e' piu' con il modello del lavoro fordista che possiamo affrontarli. Qualunque siano le professioni che siamo chiamati a fare, non e' nel freddo "meccanicismo", e nella velocita' di esecuzione, che possiamo raggiungere la sperata e necessaria eccellenza.

E questa crisi e’ forse proprio il segno che il cambiamento e’ profondo e traumatico, tanto a lungo ci eravamo sprofondati in quelle dinamiche industriali e di mass market. Speriamo che sia un cambiamento benefico, alla lunga. Anche se oggi le arti non sono piu' le stesse, "imparare l'arte", ovvero puntare alla qualita' piu' alta, rimane anche oggi quanto mai importante. Dunque, Impara l'arte, e non metterla da parte!

[Update 31/3 13:00, dopo il commento di Giorgio]
Oggi sono richiesti altri ritmi ? quindi altri livelli di "completamento" (l'eterna beta release) ? conta piu' aprire opportunita' che non risolvere problemi ? benissimo! ... ma perche' ? questa velocita', questa imperfezione, questa liquidita' NON sono il fine, ma il mezzo. Sono tecniche che compongono una nuova professionalita'. Sarebbe un grande errore (e purtroppo e' molto frequente) ritenere queste caratteristiche "sufficienti" a definire un nuovo livello di qualita'. Non e' il procedere a vanvera, non e' il culto dell'errore e dell'inutile, cio' che conta oggi: invece e' il saper esplorare, il riconoscere nuove logiche e nuovi percorsi, nuove applicazioni.

Allora, la questione e' che ci sono (nuove) arti da imparare, e nuove tecniche di cui diventare "maestri". Ma oggi non e' diverso da ieri: mettici profonda competenza e sincera passione. Esattamente come l'artigiano di ieri. Si tratta di nuovo di recuperare il "senso" di cio' che si sta facendo, e della sua interpretazione, che esperienza e soprattutto conoscenza rendono magistrali. Cio' che sta cambiando (e che l'artigiano ci puo' ricordare che un tempo apparteneva alla nostra cultura) non e' il singolo mestiere, ma l'importanza del professionista nell'esercizio della sua professione, il ritorno della centralita' della persona nell'ambito del lavoro che svolge, la capacita' del singolo di mettere cultura, capacita' di comprensione e interpretazione (e quindi secoli di storia) nel proprio lavoro, quindi la capacita' di "umanizzare" cio' che facciamo! Oggi siamo/dovremmo essere tutti professionisti, come ieri eravamo tutti artigiani: questo e' il punto che ci eravamo persi.

venerdì 20 febbraio 2009

Ecosistema 2.0: presentazione a Treviso, il 19/2/09

Presentazione del progetto "Ecosistema 2.0: Social Business Glocal NetWork" tenuta in occasione dell'evento "Social Business Networking", organizzato da NordEstCreativo, a Palazzo Bomben, Treviso, il 19/2/2009:


martedì 6 gennaio 2009

Facebook strumento principe del nuovo umanesimo o strumento semplicemente ?

Proprio su Facebook, su quel tanto chiacchierato e ormai anche un po' vituperato Facebook, si e' sviluppato un interessante dibattito sul ruolo che puo' avere proprio Facebook nello sviluppo delle conoscenze e coscienze degli utenti, e in generale delle persone.

"Promotore e conduttore" dell'iniziativa e' stato Marco Minghetti, che tra l'altro insegna Humanistic Management presso l’Università di Pavia, e scrive su Nòva24, Le Aziende InVisibili.

Il suo intervento consiste in tre puntate, e ha generato decine di interessantissimi interventi: Il rischio di Facebook, Per una via umanistica a Facebook e Facebook come Mondo Vitale. Tra questi anche il mio, in due commenti, che qui riporto.

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Cio' che contraddistingue FB da altri social network di nicchia, e' che in FB ci si iscrive in quanto persona, cioe' il denominatore comune richiesto ai partecipanti e' il minimo in assoluto. Qui c'e' la ragione del suo successo nei numeri. Un po' come per LinkedIN, a cui ci si iscrive in quanto professionisti. Ma attenzione, non tutti gli altri social network hanno condizioni di ingresso piu' restrittive, e comunque non e' lo strumento che lo impone. Non e' Ning che richiede prima l'esistenza di un gruppo (chiuso): anche FB era nato inizialmente come lo spazio virtuale per gli studenti del college. Questo e' un punto che riguarda il processo di sviluppo di community, a cui nemmeno FB si sottrae.

Il vero punto di forza di FB e' stato voler essere un servizio a disposizione di una tipologia di utente (giovane studente americano) che e' paradigmatico di tutti i navigatori di internet: pieno di interessi, grande dimestichezza con internet, fondamentalmente portato a divertirsi e socializzare. Tutto cio' ha portato FB alla dimensione cruciale, alla massa critica, dopo la quale ogni concorrente soccombe oppure nemmeno prende il via.

Quello spirito di "fratellanza", quel misto di solidarieta' collaborazione e stima reciproca, che caratterizza le prime fasi di sviluppo di certe community (per esempio la blogosfera qualche anno fa, FB un anno fa, ...) tende a svanire quando a quel contesto approda la moltitudine. Attenzione, non tanto (non sempre) perche' i nuovi acquisti siano un'invasione barbarica, essendo dotati di uno spirito diverso e forse meno fine, ma proprio perche' il collante sociale stava prima proprio nel sentimento di pionerismo, di esclusivismo, di protagonismo.

In un contesto allargato, cosi' allargato da risultare sfondato, il protagonismo non si raggiunge piu' nel semplice partecipare a qualcosa che di per se' ha gia' il carattere della specialita', e quindi la ricerca di protagonismo diventa piu' individuale, e soprattutto concorrenziale, cosi' come nei milioni di contesti tradizionali che conosciamo. In questo modo si diffonde il virus dell'egoismo, che pure sarebbe salutare in dosi piu' moderate, che porta con se' aggressivita', e la nuda e cruda rappresentazione di se', e non piu' di se' tra gli altri. E' qui che l'atmosfera umanistica, emozionale, esplorativa, viene spazzata da approcci scientifici, calcolatori, conquistatori.

Non sorprende che il paradigma della squadra di rugby, dell'equipaggio di una barca a vela, che la session di jazzisti, che i membri di una squadra di progetto, i dipendenti di una piccola azienda... sono tutti esempi in cui la dimensione puo' essere considerata "limitata". Nella nicchia, vuoi costituita per raggiungere un obiettivo (agire), vuoi per esplorare un nuovo territorio (conoscere), la dimensione e' sufficientemente piccola per perdere la propria individualita' e ma anche per riconoscersi come fattore cruciale dell'insieme, e vivere questo senza traumi.

Nello spazio angusto di un angolo del territorio, alcuni ego sentono di soffocare anche all'interno di piccoli gruppi, ed esplodono mandando in frantumi anche piccole squadre dal grande potenziale. Ma in rete la eco e' enorme, globale, la sensazione che ogni sussurro e ogni piccolo gesto, anche se impercettibile guardanto il singolo e tanto piu' guardando il gruppo, puo' essere in realta' colto da una platea di milioni di spettatori, e questo appaga ogni ego ipertrofico.

La massa critica di una community diventa allora la sua forza e anche l'inizio del suo declino, a meno che non sappia rinnovare anche nel seguito quel sentimento di eccezionalita' che i membri provano iscrivendosi nei primi tempi. A mio parere FB sta vacillando su questo filo di lana, in Italia: se non si animeranno iniziative nuove e soprattutto nuove modalita' esperienziali di fare network, il suo sbocco naturale sara' quello di essere superato dal nuovo medium del secolo, e quindi relegato ad una finalita' specifica e non piu' trendy. Cosi' com'e' stato per tutti i media che l'hanno preceduto, del resto.

[...]

L'utilizzo di ogni strumento per quello che meglio puo' dare e' esattamente uno dei punti sottostanti il mio intervento precedente. Oggi FB abbaglia perche' e' lo strumento del momento (al radiogiornale lo citano, in televisione ne parlano, sui giornali lo spettegolano...). E come tutti i "media" che sono "new", in questo momento sono anche il "messaggio" essi stessi, capaci di sostituirsi a noi stessi nell'essere messaggio. Un po' com'e' stato quando internet se lo sono prese le aziende prima, e le persone poi, ed essere su internet e' diventato un imperativo esistenziale prima per le aziende e poi per le persone. Domani? difficile dire, perche' a differenza di internet nel suo complesso, FB ha un proprietario, e ha mostrato in alcune scelte strategiche l'orentamento verso un modello di business non sicuramente sostenibile.

Ma nel futuro prossimo, possiamo certamente pensare di usare FB per quello che ci da meglio di qualunque altro strumento, e affidarci ad altri per il resto. Questa conversazione non avrebbe potuto infatti svilupparsi meglio su un blog o su un ning? non avremmo potuto tenere FB solo come "segnalatore" di questo interessante contenuto da raggiungere con un semplice link? Non avremmo perso nulla, e anzi ne avremmo guadagnato in fluidita' di conversazione e in maggiori possibilita' di networking.

Ma non e' solo questo. Io credo che il modello esperienzale sia il punto. FB infondo non ha permesso un grosso passo avanti nella qualita', ed e' significativo solo per i numeri. SL invece ha segnato una svolta, ma sta anche quello segnando un rallentamento nella sua curva di sviluppo. A mio parere il passo successivo non e' nella direzione di una maggiore virtualizzazione (3D, ...) ma di una nuova ricomposizione della vita reale e virtuale. E in questo senso, l'auspicato recupero di equilibrio tra umanesimo e tecnologia non puo' che guadagnare velocita'. "Internet e territorio" e' il tema che sto approfondendo innanzi tutto per passione: un ambiente nuovo, diverso dalla somma delle due parti, con propri metodi e tecniche. Io credo che l'esperienza in uno spazio che non fa salti tra il reale e il virtuale e' la vera innovazione del XXI secolo.

sabato 6 dicembre 2008

Sentieri sotto la neve, di M.R.Stern, con Roberto Citran - Teatro Astra, Vicenza, 7/12 ore 21:00

Domenica 07/12/2008 alle 21, al Teatro Astra di Vicenza, danno "SENTIERI SOTTO LA NEVE" di Mario Rigoni Stern, adattamento teatrale di (e con) Roberto Citran, compagnia La Piccionaia, I Carrara, Teatro Stabile di Innovazione.

clipped from www.piccionaia.it
Come dice Corrado Stajano, Mario Rigoni Stern e' una specie di cancelliere della memoria. Senza enfasi, e senza retorica fa capire bene con i suoi racconti essenziali, simile a un falegname o a un meccanico, com'e' doveroso ricordare, come non si costruisce nulla sul vuoto della dimenticanza e del rifiuto del passato. La scrittura del poeta asiaghese, cosi' densa di particolari e molto descrittiva, e' anche estremamente cinematografica. Segue cioe' il ritmo del racconto cinematografico. Si passa da un campo lungo a primi piani di volti, oggetti, voci che raccontano vicende profondamente umane. Da un treno che corre nella neve, a una mano che getta una carta sul tavolo. Se il paesaggio dell'altopiano di Asiago fa spesso da sfondo ed e' parte fondamentale della sua poetica, col suo linguaggio lirico e allo stesso tempo semplice, Rigoni Stern ci porta in un mondo pieno di ricordi, di odori, dove si riconosce il suono degli animali, gli abitanti del bosco, quel profumo intatto, non contaminato, che ti restituisce un universo pulito dove il rispetto per la natura e del prossimo sono valori fondamentali che non vanno dimenticati. Lo spettacolo, ha come obiettivo quello di far conoscere uno degli autori piu' rappresentativi del Veneto, in una forma, quella teatrale, forse insolita, ma che rispetta lo spirito del grande scrittore e che valorizza un pensiero che ha radici profonde nella nostra cultura.
 blog it

Lo spettacolo di Citran si inserisce nel progetto "Vicenza per Rigoni Stern" che il Comune di Vicenza ha avviato lo scorso ottobre e che sta proseguendo su diversi piani.

Altre informazioni qui. Locandina qui.












mercoledì 8 ottobre 2008

Lo specchio di Ibridamenti

Ecco la breve introduzione della rubrica "Lo specchio" che io terro' in Ibridamenti, il Laboratorio Sperimentale Virtuale progettato dalla Scuola di Dottorato in Scienze del Linguaggio, della Cognizione e della Formazione dell’Università Cà Foscari di Venezia, che ha l'obiettivo di fare ricerca, sul virtuale, assieme ai blogger.

http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=8366986320237323169&postID=3984364053987755648

Lo specchio di Ibridamenti, un momento di riflessione su cio’ che Ibridamenti sta facendo, su come appare, e se l’immagine e l’azione corrisponde alle intenzioni e agli obiettivi. Uno specchio da ammirare, interrogare, ma … non da rompere!

A cosa serve uno specchio se non a creare un altro da se’. Uguale e contrario. Ci segue nei movimenti ma sta davanti al nostro sguardo. Vedo cio’ che faccio. Faccio in base a cio’ che vedo. Una guida guidata.

In questa rubrica ci saranno i commenti di ciascuno di noi mentre guarda Ibridamenti come fosse davanti uno specchio: e’ la possibilita’ per questo gruppo di riconoscersi, di prendere anche una maggiore consapevolezza, di avere occasioni di autocritica, di ammirarsi ovviamente.

Lo spazio e’ aperto a tutti, naturalmente, perche’ tutti avranno sicuramente qualcosa da dire al riguardo. E insieme attraverseremo lo specchio.


[La foto e' tratta dal libro "Con l’immagine allo specchIo. L’autoritratto letterario di Frida Kahlo", di M. Cristina Secci, di cui è appena uscita la seconda e rinnovata edizione (Aracne 2007; 2008).]


domenica 14 settembre 2008

Il tempo nello spazio tecnologico

Giulia aveva commentato il mio post sulle nuove culture dicendo tra l'altro:
"alla fine ho imparato a perdermi nella lentezza (si, perchè la rete ha la velocità che tu le dai) dei suoi rimandi"

La frenesia del nanosecondo

In molti pensano che le tecnologie portano alla frenesia del nanosecondo, che bisogna correre correre per riuscire a leggere tutto, a percorrere tutti i link, a seguire tutti i thread, mentre in realta' siamo noi che scegliamo a cosa dare attenzione e quanto tempo dedicare, volenti o nolenti.

La cosa che piu' mi diverte e' sentir dire "sono riuscito a leggere tutti i 1000 feed che ho sottoscritto": ma cosa conta ? essere affogati nell'informazione, leggerla con fretta e superficialita', o piuttosto saperla selezionare e fruire nel modo migliore per noi ?

Le commodity si usano, non si consumano

E' un atteggiamento molto consumistico quello di dire "ho la possibilita' di prendere 1000 cose e non mi posso fermare finche' non le ho prese tutte". Sarebbe come dire che siccome ho sete e l'acqua e' facilmente disponibile, allora cerchero' di bere tutta l'acqua che esce dal rubinetto.

Eppure questo succede quando un bene inizialmente scarso, e ottenibile solo attraverso uno scambio economico, diventa una commodity, cioe' disponibile largamente e a bassissimo costo, se non a costo zero. Le persone tendono ad accapparrare quel bene, come a soddisfare una fame antica, o ancora illusi che c'e' un valore nel possederlo o nel consumarlo in abbondanza.

Questo e' il caso della conoscenza e delle relazioni sociali. Oggi troviamo ancora facilmente qualcuno che ragiona ancora alla vecchia maniera: ma sarebbe sciocco pretendere di acquisire tutta la conoscenza disponibile in internet solo perche' e' ora disponibile gratuitamente. E ancora, siccome ci sono centinaia di migliaia di persone a portata di un click, e questo non costa nulla, che senso ha (e che valore ha) avere allora 1000, 10000 follower ?

La priorita' alle persone

Invece si tratta di ritornare ad una dimensione piu' qualitativa (avevo la possibilita' di prendere 1000 cose e credo di aver preso le 10 che ritenevo piu' interessanti in quel frangente), o anche semplicemente piu' serendipica (avevo 1000 cose da prendere, ho preso le prime 20 e ho tenuto le prime 10)

Chiaramente questa sembra una resa dell'uomo di fronte alla macchina: solo alla macchina infatti, puoi chiedere di essere costante ed esauriente nel compito di macinare migliaia di link.

Ma al tempo stesso e' una riconquista dell'uomo: quali meravigliosi pensieri laterali, impossibili alle macchine, si scatenano vagando in rete, di link in link, dando vita ad un impianificato ed impianificabile sviluppo di conoscenza, e per questo cosi' potente ?

La scelta del metronomo

No, non si tratta di indulgere verso una qualita' umana, dimenticando che e' risibile, solo per difesa dallo strapotere della tecnologia.

Quel tempo e' veramente lento ? o forse e' incredibilmente piu' veloce di quello che sarebbe richiesto se si facesse la stessa cosa senza il supporto della rete ?

Non e' forse questo il motivo perche' in giochi strategici, come il Go, l'uomo vince ancora sulla macchina, anche senza essere un campione mondiale ?

La lentezza dipende insomma dal sistema di riferimento che si assume, da quale orologio si guarda. Lento e' quando esiste qualcosa di diverso che puo' portare allo stesso risultato in molto meno tempo.

Espandersi nel tempo

Per Dali' il tempo si ferma per effetto della memoria e lo rappresenta espandedolo nello spazio. A me sembra che internet amplifichi la nostra dimensione temporale: per rappresentarlo alla Dali', siamo noi piu' molli ed espansi nel tempo.


Io non vedo quindi una lentezza "legittima" di fronte all'infintezza del creato (pur ammirando oltre che rispettando il pensiero di Sant'Agostino), quanto al contrario, piu' laicamente, una maggiore dinamicita' dell'uomo nell'emanciparsi attraverso la propria conoscenza e ricchezza spirituale, pur coi suoi limiti e forse proprio grazie alla sua imperfezione, e grazie agli strumenti di cui ha saputo dotarsi.

In questo ci vedo ancora una volta un recupero di psiche su techne.

Il viaggio, tra conoscenza e socialita'

Questa cosa dei taccuini di viaggio mi sta intrigando moltissimo.

In un tempo in cui non si viaggia piu' (o molto meno) per conoscere luoghi inesplorati, e la velocita' degli spostamenti rende difficile combinare l'esperienza con la riflessione, cosa diventeranno i taccuini di viaggio ? Simonetta Capecchi mi ha risposto sul suo blog.

Viaggio come arte, Viaggio in se' stessi

Mi parla di due tipologie: "viaggio come arte" e "viaggio in se' stessi". Trovo che li accomuna una cosa (che e' nella natura stessa del viaggio, a mio parere): una ricerca di conoscenza, di cio' che non c'e' nel nostro mondo, che non e' chiaro nella nostra testa, nella nostra esperienza quotidiana.

Il "viaggio come arte" a cui si riferisce, spero di non sbagliare, e' quindi una ricerca di ritmi e tempi che la vita quotidiana ci ha fatto perdere. Del rovesciamento del controllo tra noi e l'ambiente. E' forse un ri-conoscere.

Il "viaggio dentro se' stessi", che richiede di poterci guardare in nuovi contesti, alle prese con nuove esperienze, e' invece e' un nuovo passo in quel percorso di conoscenza di se' che non ha mai fine.

In entrambi i casi il taccuino ha una funzione documentaristica, forse piu' tipica nel primo caso. Nel secondo caso la differenza tra diario di viaggio e diario intimo si assottiglia molto, e quindi anche il linguaggio consente probabilmente piu' creativita'. (Molto bello quello di Nadia).

Viaggio come nuova esperienza sociale.

Ma non c'e' solo la dimensione introspettiva, c'e' anche una prospettiva piu' sociale nel viaggio. C'e' l'esperienza condivisa coi compagni di viaggio, con le persone incontrate lungo il percorso, con gli amici a casa che conoscono i preparativi, immaginano la nostra avventura e ascolteranno i nostri racconti.

Un tempo forse la distanza percepita tra i luoghi e la cultura di casa, e quelli esplorati nel viaggio, era tale che il coinvolgimento era "occasionale", "esperienziale", aveva un inizio e una fine ben precise. Oggi alla dimensione semplicemente cognitiva, si sovrappone una piu' marcata dimensione sociale: ci si muove in un altro angolo dello stesso villaggio globale, si incontrano "compaesani globali".

Compaesani globali

Lo yemenita che ci guida nel deserto non e' solo l'intermediario che ci svela una cultura esotica e luoghi mai immaginati: e' lo strumento con cui possiamo conoscere la trasformazione di una cultura per effetto delle dinamiche mondiali dei mercati delle materie prime, e ci dimostra come sia difficile contenere il confronto in termini di pace e dialogo e non di conflitto e terrore.

Il bambino keniano che ci offre la statuetta in ebano sulla spiaggia, e poi ci conduce nella bidonville dove a decine i suoi coetanei lo lavorano, e' l'occasione per comprendere come l'economia del commercio globale sia presente anche negli angoli che riteniamo (ingenuamente) ancora vergini, e di comprenderne le conseguenze.

Ma anche un viaggio di avventura ormai ci dice cosi' tanto della nostra societa', da cambiare il colore di qualunque sfida con se' stessi, come l'attraversamento del passaggio a Nord Ovest, o della foresta amazzonica.

E che dire dei viaggi piu' "nostrani" ? sempre molto interessanti e modernissimi, nel mondo occidentalizzato, come rivisitare Berlino a quasi 20 anni dalla caduta del muro, o un giro nella Amsterdam di Theo Van Gogh, o nella Cadice oggi porta del Sud (piu' che dell'Ovest).

Il taccuino di viaggio di ieri era uno strumento individuale, e la condivisione e il confronto erano rimandati ad un momento successivo, al rientro dal viaggio. Il taccuino raccordava due mondi separati: il contesto del viaggio e il contesto di casa.

La simultaneita' di vivere, viaggiare, raccontare

Mi incuriosisce sapere se e come le nuove tecnologie abbiano permesso l'abbattimento di questo vecchio muro, abbiano reso superate anche quella categoria. Oggi i miei compagni di viaggio possono essere "virtualmente" al mio fianco: certo potrebbero solo vedere e sentire attraverso i miei sensi, ma potrebbero commentare e suggerire "durante" il mio viaggio.

Non so se questo sia un bene in assoluto. Certo sarebbe un'opportunita'. Il rischio potrebbe essere che l'esperienza nel mondo reale potrebbe essere inquinata dai codici comportamentali dettati dalla tecnologia: ma anche gli acquerelli e il carboncino impongono vincoli tecnologici, rimane a noi quali tollerare come compatibili con la nostra idea di viaggio.

Certo che se e' vero, come dice Magris:
A favore del taccuino di viaggio illustrato come narrativa non-fiction, a proposito del fissare sulla carta pezzi di vita reale, come piccole, personali e incomplete storie del "qui ed ora", mi piace Magris quando scrive:

"Vivere, viaggiare, scrivere. Forse oggi la narrativa più autentica è quella che racconta non attraverso la pura invenzione e finzione, bensì attraverso la presa diretta dei fatti, delle cose, di quelle trasformazioni folli e vertiginose che, come dice Kapuściński, impediscono di cogliere il mondo nella sua totalità e di offrirne una sintesi, consentendo di afferrarne, come un reporter nel caos della battaglia, solo dei frammenti".
 blog it

...allora la presa diretta implica anche la simultaneita' del viaggio e del racconto.

venerdì 1 agosto 2008

Condivido ergo sum /3: condivisione rielaboratrice

Dal post precedente, "Siamo quello che condividiamo", dice Leadbeter. Forse, addirittura, "condividiamo, quindi siamo". Nella condivisione ci realizziamo.

Ma se condividere ci realizza, basta a farci sentire realizzati completamente ?

La controprova ? anche il piu' banale copia-incolla dice tantissime cose: "io l'ho selezionato", "io ero li' quando e' stato detto, quando e' stato messo in rete", "io sono in contatto con quello", "io ho avuto tempismo", "io sottoscrivo/aborro", "io cambio lo strumento per comunicarlo", ...

E se il singolo copia-incolla ancora non dice molto, la sequenza dei copia-incolla completa l'espressione dell'individuo. Lo sanno bene quelli che usano rebloggare sul proprio blog o su Tumblr, o segnare il proprio gradimento ad immagini (StambleUpon, Flickr, ...) o a musiche (Last.fm, Qbox) e libri (Anobii, GoodReads, ...), o qualunque cosa riguardi loro e i loro amici (Facebook, Myspace, ...).

Naturalmente il copia-incolla e' solo la prima forma piu' semplice della condivisione, ma e' gia' una forma di realizzazione dell'individuo, anche se di un individuo che non ama troppo la rielaborazione. Se alla citazione si aggiunge un commento di poche parole (come con gli strumenti di microblogging) o di poche righe (come in Tumblr e su certi blog minimalistici), o un articolone/polpettone di qualche pagina (come questo che stai leggendo), siamo in presenza di un fenomeno quantitativamente e qualitativamente maggiore, ma uguale nella sua natura fondamentale.

Questo e' chiaramente in relazione con la difficolta' che incontrano molti partecipanti al web2.0 di ritagliare degli spazi di rielaborazione personale, che sfociano poi tipicamente nella scrittura di un articolo sul proprio blog, quando si e' travolti dal flusso impetuoso delle conversazioni (vedi quest'altro post precedente).

Alcuni sentono il bisogno di avere questi spazi per se' stessi, perche' sentono che appartiene alla loro natura, e anche perche' ne percepiscono la necessita' pratica, per trovare risposte a domande e a problemi che la condivisione da sola non sembra poter risolvere.

La difficolta' risiede proprio nel fatto che la sola partecipazione al flusso delle conversazioni con semplici interventi e' gia' una condivisione, e' gia una realizzazione di se', e' gia' l'applicazione del proprio filtro-persona ai messaggi e alle informazioni scambiate con l'esterno, con gli altri. Forse non e' appagante per chi non vuole rinunciare ad una propria necessita' di approfondimento, ma e' gia' sufficiente per socializzare comunicare e perfino assimilare.

Anzi talvolta, una condivisione cosi' essenziale e' addirittura piu' funzionale: primo perche' piu' rapida e quindi pervasiva nei mille canali che il web2.0 ci propone, ma anche perche' pone meno ostacoli nell'interazione con la moltitudine dei partecipanti, i quali a loro volta non hanno sempre il tempo e la motivazione per impegnarsi in qualcosa di complicato.

Diventa cruciale saper mettere in una forma di condivisione snella e rapida il maggior valore sociale e cognitivo con cui vogliamo essere identificati, cio' per cui vogliamo essere riconosciuti, cio' su cui vogliamo confrontarci. Non viceversa: non bisogna piegare la condivisione con gli altri, ai tempi e alle forme di cui necessitiamo noi individualmente per la nostra rielaborazione.

Lungi dal negare l'importanza della rielaborazione e del momento di 'stacco' che questa richiede, ci mancherebbe, ma e' evidente l'importanza della sintesi e della semplificazione, e del confronto serrato. Perche' rielaborazione e distacco aiutano la nostra piu' completa realizzazione, ma la condivisione ne costituisce il presupposto essenziale.

Sotto queste pressioni, la generazione attuale e certamente quelle future, sono e saranno abituate ad approcciare la rielaborazione personale in una prospettiva di social networking: la condivisione non dev'essere in competizione con la rielaborazione. Dovremo allenarci, almeno chi gia' non lo e', ad una condivisione rielaboratrice.

Condivido ergo sum /2: social/knowledge networker

Riprendo da qui. Luca De Biase dice che nel 'siamo quello che condividiamo' di Leadbeter, e' compreso esprimere e connettere, e richiama li' l'attenzione che secondo lui, Leadbeter ha dimenticato di porre.

Non credo che i passaggi mancanti (esprimere e connettere) siano un difetto, come dice De Biase. E rielaborare dove finirebbe allora ? Quei passaggi mancano proprio per l'esercizio di sintesi e focalizzazione sui fondamentali, fatto da Leadbeter, e a soffermarcisi, ci si distoglierebbe dal vero messaggio che Leadbeter ci vuole dare.

Ben oltre il semplice 'esprimersi' e 'connettersi' l'uomo si caratterizza per quel processo di rielaborazione di cio' che riceve, che quindi rappresenta una sua produzione, e che ritorna a coloro con cui e' in relazione. Un uomo che pompa continuamente dentro e fuori, e filtra: tutto questo lo si puo' chiamare in una sola parola, condivisione. Come sanno bene tutti gli entusiasti partecipanti ai social network del web2.0, questo processo prima che cognitivo e' sociale.

L'uomo-filtro di messaggi/informazioni/conoscenza e' capace quindi di (1) entrare in contatto, selezionando i contatti stessi, (2) ascoltare o vedere, e ricevere, (3) mettere in relazione quanto ricevuto con se' stesso, la propria individualita' sociale ed eventualmente la propria conoscenza sedimentata, e (4) riproporre sia in forma di semplice 'copia' (che pero' ha gia' il significato in piu' dell'essere passata attraverso il filtro-persona), sia in forma di 'rielaborato' e (5) riattivare l'intero processo appena descritto in cui questa volta e' egli stesso l'originatore.

Dire che questo processo sociale e cognitivo e' essenziale per l'uomo, non e' una novita': "L'uomo e' un animale sociale", "Spendere una vita alla ricerca della verita'", "Conosci te stesso", "Apparire conta piu' che essere"... sono tutte formule gia' viste, e ciascuna col linguaggio del suo tempo, testimonia in quanti hanno creduto e credono a questo.

Ne' va sottovalutata la complessita' e il valore della rielaborazione che viene compiuta da ogni singola persona: "I libri sono fatti di libri", "L'esecutore supera l'autore", "Le colpe dei padri ricadono sui figli", ... [Edit 2/8 11:45] Anche Pavese ne "Il mestiere di vivere", un titolo un programma. Significative addirittura certe esagerazioni che girano in rete.

Socializzare e rielaborare (anche semplicemente selezionando e rilanciando lo stesso messaggio ma cambiando il mittente e talvolta il mezzo) sono concetti ritenuti fondamentali da tutti, e oggi potentemente supportati dal web2.0, in una nuova prospettiva chiamata pomposamente (e anche un po' maldestramente) 'economia della conoscenza'.

Dunque, cosa puo' una mente illuminata come quella di Leadbeter mettere in evidenza che ancora ci manca ? La portata del concetto di condivisione, appunto. Non la 'condivisione della conoscenza', intesa come lavoro, di cui si e' detto e scritto a fiumi, a partire da Druker. Non il social networking come semplice attivita' divertente e forse utile, ma solo collaterale al nostro essere. Il social/knowledge networker che si realizza pompando e filtrando messaggi e informazioni all'interno di un ecosistema sociale e cognitivo.

"Siamo quello che condividiamo", dice Leadbeter. Forse, addirittura, "condividiamo, quindi siamo". 'Condividere' e' una categoria in cui le attivita' umane sociali e cognitive si mescolano senza dover confliggere per una supremazia (sociale sotto, cognitivo sopra). Nella condivisione ci realizziamo: se non socializziamo, il nostro isolamento toglie alla nostra natura; se non trasmettiamo agli altri la conoscenza che abbiamo elaborato, a nulla e' valso elaborarla; se mettiamo a fattor comune anche solo semplici messaggi e immagini, abbiamo 'aggiunto valore' alla semplice combinazione di corpi e cervelli.

Condividere ci permerre di realizzarci, dunque. La domanda ora e' se permette una realizzazione completa ?

Condivido ergo sum /1: Leadbeter

clipped from blog.debiase.com

Cibo di sintesi

Ludwig Feuerbach scriveva «siamo quello che mangiamo». Charles Leadbeater dice «siamo quello che condividiamo». Il suo libro racconta il passaggio dalla produzione di massa all'innovazione di massa.

7:50:52 AM comment [0];


Chiosa a «siamo ciò che condividiamo»

Quest'idea di Charles Leadbeater secondo la quale «siamo ciò che condividiamo» indica solo una parte della realtà. Ma molto significativa. Nella rete ci esprimiamo e ci connettiamo. Condividere viene dopo avere trovato che cosa esprimere e dopo avere trovato la connessione con qualcuno che riconosca come interessante quello che esprimiamo. [...]

La rete pensata come mera condivisione può condurre a comportamenti convenzionali. La rete pensata invece come «espressione e connessione» impone un esercizio di introspezione e una ricerca di relazione che qualche volta conduce a un reciproco riconoscimento. A quel punto parte anche la condivizione, che però non è necessariamente la costruzione di un pensiero convenzionale.[...]

9:37:40 AM comment [0];
blog it

Il primo commento di Luca De Biase all'ottimo spunto di Charles Leadbeter (gia' autore dell'illuminante Living on thin air del 1999) mi era piaciuto moltissimo, e pensavo che avesse colto nel segno con quel parallelismo che enfatizza come l'uomo si esprime sintetizzando e rielaborando cio' che riceve dall'esterno, e restituendolo all'esterno.

A dire il vero, il paragone col cibo aveva qualche debolezza, non sembra esserci molto valore in cio' che si restituisce al mondo esterno, in quel caso, ma ci poteva stare. La chiosa, invece, mi ha fatto capire che l'interpretazione di De Biase andava in tutt'altra direzione, che non condivido.

La condivisione, non puo' essere vista come una semplice operazione di adesione supina a messaggi esterni che si traduce in una semplice replica (copia e incolla, si dovrebbe dire). Il 'pensiero condiviso', per adesione acritica ad una tribu', e' una degenerazione possibile, non voglio togliere senso alle preoccupazioni di De Biase, ma non e' il punto.

Si deve leggere, a mio parere, "siamo cio' che proponiamo all'effettiva disponibilita' degli altri", cio' che sottomettiamo alla loro selezione e valutazione. Gli altri potranno quindi condividerlo perche' lo sottoscrivono e lo fanno proprio, oppure perche' lo vogliono assumere come semplice riferimento, o proprio per meglio contestarlo.

Anche perche' "condivisione" viene da "divido con", e non rimanda necessariamente ad un "consenso morale", quindi un eventuale pensiero convenzionale non e' diretta conseguenza dell'aver sottoposto una certa idea alla valutazione, anche solo all'esperienza degli altri.

Ne scrivo di piu' qui.

martedì 29 luglio 2008

Friendfeed, la conversazione, la rielaborazione

clipped from freelancingscience.com


FriendFeed: where the conversation happens




It shows what happened to number of visitors to this blog after I joined FF - it had dropped by half (actual numbers aren’t relevant, graph shows monthly statistics). The reason is pretty obvious for any long-time blogger - no posts, no visitors. I don’t post as often as before for a good reason - sharing news, interesting links and the whole conversation around these happens on the FriendFeed.

blog it

Se si facilita la conversazione, e questa cattura il blogger, il primo risultato e' che questo 'produce' meno contenuti ponderati e articolati, quelli che si pubblicano in un blog (generalizzando non poco).

Il vortice della comunicazione, finalmente supportato meglio grazie a FF, e' indubbiamente un passo avanti rispetto all'annegamento da informazioni strabordanti, ma diventa una ulteriore minaccia allo sviluppo completo dei nostri processi cognitivi.

Viene confermata l'importanza di avere pause di riflessione, momenti di sedimentazione, sistematizzazione, rielaborazione, e riformulazione.


Knowledge Creation Model, by Ikujiro Nonaka


Lo sviluppo di nuova conoscenza richiede sempre 4 fasi (Nonaka dixit), e due di queste (internalizzazione ed esternalizzazione) reclamano spazi tempi (e strumenti) per un'osmosi tra esterno (il web nel nostro contesto) ed interno (il singolo blogger). Non puo' avvenire solo all'esterno.


venerdì 14 marzo 2008

La scuola in liquefazione

Da molto tempo pensavo che causa ed effetto emblematico del divide che si sta formando tra le persone e le forme di aggregazione delle stesse (societa' civile, sfera pubblica e politica, mondo economico, ...) e' proprio a livello di educazione/formazione, quindi della Scuola.

Ieri questo articolo di Daniele Pauletto (Web/Teach), dal titolo "Scuola Liquida" mi ha dato l'occasione per un commento. Daniele dice:
Anche la socialità subisce il passaggio a forme di aggregazione per sciami e non per gruppi, disgregando la normale quotidianità scolastica fatta di orari, sequenzialità, rigidità.
Il disagio che si crea e che si vive sfocia nei ripetuti fenomeni di bullismo, che altro non sono che segnali appunto di una SCUOLA LIQUIDA, inadatta alle nuove generazioni ( digital native).

Il desiderio si trasforma in esigenza compulsiva, il sé lascia il posto alle personalità e identità multiple, l' incalzare del web con i suoi narcisismi digitali irrompe creando il culto dell’immagine, è la tirannia dell’istante e il bisogno di comunicare comunque e ovunque ( connect always).

La vita è in continuo movimento, continui sono i bisogni insoddisfatti, continua la ricerca del piacere, insaziabile la ricerca ossessiva compulsiva di gratificazione.
giovani studenti non trovano risposte nelle anguste aule scolastiche, dispersi in una didattica spenta fatta da docenti, ormai immigrati digitali.
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Come Gianni ha fatto notare nei commenti, piu' che liquida la scuola sembra rocciosa nella sua incapacita' di risposta. Ma forse Daniele intravedeva un percorso, forse doloroso, pericoloso, ma necessario, nella liquefazione della scuola. Ad ogni modo cosi' ho commentato:


Riconosco lo sgomento di fronte alla tumultuosita' della modernita' che avanza, e ricordo come qualche anno (decennio) fa la stessa cosa mi suscitava un diverso sentimento, di adesione proprio perche' prometteva rivoluzione, quindi ora sono un po' freddo nel ritenere che tutto questo debba essere "corretto", "ostacolato", "avversato". Penso che comunque non sarebbe nei poteri di nessuno di noi, anche se si facesse vermente sistema (i sistemi che hanno potuto decidere le linee di evoluzione di popoli appartengono ad una precisa categoria, e in buona parte appartengono al passato fortunatamente)


Certamente ogni singolo, e anche qualche gruppo di persone che condividono una sintonia di pensiero, puo' contribuire. Deve. Perche' la modernita' che avanza e' ancora anche un po' nostra. Nessuno si senta escluso.


Cio' che e' particolarmente critico sono i tempi rapidissimi di questi cambiamenti, cosa che impoverisce se non impedisce relazioni efficaci intergenerazionali, che manda in frantumi ogni modello organizzativo, che toglie sostanza a modelli comportamentali che hanno valore solo nella dimensione del presente


Ma se la velocita' di questa evoluzione non sembra piu' appartenerci (e meno lo sara' nel prossimo futuro), la risposta non puo' venire dalla riproposizione di linguaggi, modelli comportamentali, esercizi di analisi "lenti". Se la cultura digitale impone il valore della velocita', del tutto subito-domani non conta, dell'io come membro di un network/branco, l'alternativa che si potrebbe proporre puo' essere ispirata al sistema (a me piace questo), al nuovo umanesimo, o a qualunque altra cosa, ma deve essere sempre compatibile con i tempi disponibili, con le necessita' di oggi, con il linguaggio corrente.


In sostanza non e' il "senso" che mi preoccupa, ma il "come". Temo che a togliere il senso dai modelli che abbiamo conosciuto ieri, non sia stato tanto un mutamento culturale, ma di "mezzi". I nuovi mezzi si sono imposti (questo e' un punto) e hanno reso possibile esplorazioni prima impossibile (questo e' addirittura un vantaggio), ma hanno reso impossibile i modelli comportamentali di prima.


Se posso quindi lanciare uno spunto, proverei a ragionare non in termini di propaganda per un' "altra" cultura, ma di suggerimenti per utilizzare i mezzi attuali nell'ambito di una cultura non del tutto perduta. [Edit 16/3/07 12:30] Una sorta di vademecum, un manuale d'uso della modernita', per insegnare come tra i tanti modi possibili che sono disponibili per "giocare" con quello che la modernita' ci mette a disposizione, ce ne sono alcuni che hanno valore culturale, utili alla crescita e alla soddisfazione personale e sociale.


Questo chiederei alla Scuola: col nuovo abecedario i giovani potrebbero innanzitutto imparare un modo diverso, e piu' utile, di utilizzare gli strumenti per comunicare e socializzare, rendendo possibile l'espressione di sentimenti e pensieri giovani e fertili, singolari e plurali, con quegli stessi mezzi che oggi sono usati solo per giocare e perder tempo.


C'e' una differenza rispetto a ieri, che rende questo molto difficile: ieri la Scuola utilizzava Programmi e Metodi collaudati e ben tarati allo scopo. Oggi i docenti devono "inventare" tutto questo, ma purtroppo sono spesso tra gli ultimi ad essere aggiornati. [Edit 16/3/07 12:30] Inoltre dovrebbero inventarlo rapidamente, perche' il tempo corre anche per loro, evidentemente, e la rapidita' renderebbe il compito difficile anche se i docenti fossero adeguatamente aggiornati sulle tecnologie del momento.


E allora spostandoci sul piano della formazione dei formatori, perche' non si mette innanzitutto i docenti nella condizione di conoscere, ed essere capaci di un continuo aggiornamento, sui mezzi che la modernita' mette a disposizione ? Non solo perche' possano poi semplicemente descriverli agli studenti. Ma proprio perche' solo con un buon utilizzo di quegli strumenti essi potranno adempiere al compito assegnato, nei tempi rapidi richiesti, non altrimenti.


Non e' possibile in questa societa' moderna, contribuire qualcosa di valore e in modo continuato, rimanendo ignari, se non ostili, ai mezzi che la stessa modernita' mette a disposizione per comunicare, disegnare modelli, sviluppare network, promuovere cultura e conoscenza.

martedì 5 febbraio 2008

Tripi celebra l'importanza dei KIBS

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Nel campo dell'innovazione, l'Italia non deve darsi una tabella di marcia, ma una tabella di corsa. Lo ha detto Alberto Tripi, presidente di Confindustria Servizi innovativi e tecnologici, alla presentazione del Rapporto sugli indicatori dei servizi innovativi e tecnologici tenutasi oggi a Milano, nell'ambito del convegno "L'Italia che fa correre l'Italia", dove il merito di far correre è da ascrivere appunto ai servizi innovativi e tecnologici. Per ogni punto percentuale di Pil prodotto, quello italiano contiene in media il 20% in meno di innovazione, di istruzione, di ricerca e sviluppo, di conoscenza, rispetto a quello dei principali paesi europei. Ma, come rileva il rapporto, dal confronto tra i risultati economici conseguiti nel periodo 2003-2007, dal settore dei servizi innovativi e tecnologici e le performance registrate dall'economia nazionale appare evidente come i primi abbiamo finora mantenuto un passo di corsa rispetto alla lenta marcia delle seconde.
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Nell'articolo di Pino Fondati sul Sole24Ore seguono anche numeri interessanti, che ribadiscono il ruolo cruciale dei servizi basati su conoscenze tecnologiche e innovazione nell'economia nazionale, italiana soprattutto.

Nella seconda parte, riguardante la ricetta per spingere questi kibs e insieme iniettare di energia l'economia nazionale tutta, tutto sembra condivisibile (ancorche' un po' superficiale) meno la fiducia riposta nella PA:
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Uno scenario che riveda il ruolo di driver della pubblica amministrazione come partner delle imprese, facilitatore del loro sviluppo, e che rifugga dall'essere un concorrente delle imprese protetto da mercati cosiddetti "captive". Tripi ricorda come oggi la PA si caratterizzi per 20 mila stazioni appaltanti che mobilitano oltre 100 mila commissari di gara, con i costi che si possono immaginare e la cattiva gestione delle gare stesse.
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La sensazione e' che qui si debba constatare con lucidita' quale ruolo stia effettivamente assumendo la PA nel locale, al di la' di teorici e appropriati modelli di governance. Nei confronti dell'innovazione (e non solo), infatti, l'impronta della PA si riconosce per il rallentamento, la complicazione inutile, lo spreco piu' ingiustificabile, il soffocamento della meritocrazia, a vantaggio di un "vetustissimo" clientelismo.