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mercoledì 2 giugno 2010

Essere, comunicare/apparire o relazionare

Rispondo a Luca e al suo articolo sul potenziale evocativo dei modelli culturali (e della democrazia presa ad esempio particolare), rispetto al caso - solo teorico - di una comunicazione perfettamente efficace. Lo invito a leggere tutto, anche perche' in poche righe condensa molti interessantissimi spunti, e perche' si chiude con parole molte belle (perche' Luca e' un "abile comunicatore" ;-):


L'idea che la democrazia viva di una comunità consapevole che sceglie in base a informazioni metodologicamente corrette è in larga parte una bella e buona utopia. Il che non ne riduce l'importanza. Semplicemente ci insegna a pensare che il bello e il buono di quell'idea che è già diventato realtà è meno grande di quello che resta ancora da costruire.

Almeno questa consapevolezza dovrebbe diventare largamente esplicita. Se vogliamo migliorare il modo che abbiamo di informarci. Per scegliere.

Dunque, grazie ad un background culturale comune, anche comunicazioni non proprio efficaci possono portare una societa' ad agire in modo sufficientemente coordinato, e a progredire in una direzione coerente con la cultura stessa prima ancora che con le comunicazioni che vi intercorrono (cosi' ho inteso il senso della nota).

Mara CarfagnaLuca LucianiMa in un contesto sociale come il nostro, dove la "comunicazione" ha assunto un ruolo cruciale da molto tempo, e' andata diffondendosi una certa padronanza dell'uso dei media e dei linguaggi, ed e' grazie a questa abilita' "tecnica" che si riescono a coordinare azioni e modelli di comportamento, non in base ad una "cultura" condivisa, a meno che non si voglia parlare di "cultura della comunicazione".

In questo particolare contesto, gli esperti di comunicazione, o semplicmente i competenti in materia, a qualunque livello della scala del potere, sfruttano intenzionalmente la comunicazione subliminale per indirizzare il meccanismo comunicazione-azione secondo scopi predefiniti, e poco condivisi consapevolmente.

Interessante sara' a questo punto, monitorare i cambiamenti prodotti dalla diffusione del "web partecipato", e la rivalutazione della "relazione" proprio come strumento di emancipazione di quella parte della societa' che era stata esclusa dalla leva del potere della "comunicazione". Assisteremo ad uno shift dalla cultura della comunicazione alla "cultura della relazione", e nasceranno nuovi professionisti, abili nell'utilizzo di tecniche nell'ambito delle relazioni sociali.

Il lato B e' che si trattera' ancora di culture fondate su un unico valore piuttosto superficiale: relazionare (al posto di comunicare/apparire). Si sviluppera' - io lo temo, non lo auguro - un modello di societa' ancora poco orientato a progettualita' di prospettiva, ad elaborare e sostenere "visioni del mondo" illuminate, e a dare risposte a problematiche complesse. Non piu' "avere o essere", e nemmeno "essere o apparire", ma "essere o relazionare" sara' il prossimo dilemma dominante (tutte rivisitazioni di "essere o non essere", comunque).

Inevitabile? No. Ma dobbiamo esserne coscienti. Questa volta giochera' in positivo il fatto che la relazione e' vincente se e' 1:1, dunque non si puo' "industrializzare" come la comunicazione. Ma dobbiamo anche essere consapevoli dei costi in termini di impegno personale che la relazione richiede, proprio per questo motivo: un impegno che sottrae evidentemente energie a qualcosa di piu' sostanziale e programmatico.

Sara' quindi importante non cadere nell'errore, anche se per motivi diversi, di considerare il "relazionare" (come oggi il comunicare, l'apparire) come un valore a se' stante, se non l'unico valore, e tenere distinto il piano valoriale da quello strumentale. Visto com'e' andata negli ultimi anni, se vogliamo dimostrare che abbiamo imparato la lezione (?), educazione e stimoli appropriati sul piano culturale dovrebbero ricevere la nostra massima attenzione. Altrimenti tra cultura della comunicazione e cultura della relazione, sempre di culture fondamentalmente tecniche staremo parlando.


domenica 28 febbraio 2010

Ma quanto affascinante e' l'Uomo Nero?

Si discuteva qui in merito ad un gruppo Facebook che invitava a prendere i bambini down come bersagli (ANSA), e se era il caso di riportare la notizia, con quale enfasi. Questa discussione, cambiato il contesto, ormai ricorre piuttosto spesso, anche se sono convinto che e' tipica di questa fase di boom di internet (facebook) in italia, e fra qualche manciata di semestri si spegnera' da sola. Cio' nonostante, lungi dal voler assumere i panni dell'insegnante, penso che valga la pena scriverci sopra due righe, ricollegandomi anche alle raccomandazioni dell'Unione Europea sull'importanza delle nuove competenze.

Su un fronte ci sono i "gossippari", che sostengono ci sia un valore nel dare evidenza a questi contenuti, e in particolare nel fare "giornalismo dal basso" (pero' molto simile ad un certo tipo di giornalismo mainstream che in realta' e' trash). Questi sostengono che il contenuto vada proprio mostrato, meglio se integralmente, facendosi evidentemente da amplificatore, sia che si tratti di violenza, gossip o altre pruderie. Naturalmente sostengono che reiterare lo spiattellamento davanti ad un pubblico sempre piu' vasto ed indifferenziato, anche nei casi di contenuti veramente abusivi, permettera' una "maggiore consapevolezza" negli utenti, e una reazione piu' convinta.

Sull'altro fronte ci sono gli "oscurantisti", che sostengono invece la censura piu' drastica, che prevede di non citare affatto il contenuto abusivo, e di seppellirlo nell'indifferenza piu' assoluta. Sono convinti che il "word-of-mouth" sia una buzzword senza significato, e che la rete sia pura e immacolata proprio perche' abitata da persone nobili, rette e di gusti raffinati. Chi non e' cosi', non e'. Hanno un intento pedagogico, ma piu' da collegio svizzero che da campo scout: a loro preme l'educazione degli abitanti piu' immaturi e deboli della rete. Sempre che questi non trovino altre strade per accedere agli stessi contenuti, cosa su cui invece tendono ad impegnarsi tanto piu' quanto gli stessi sono proterviamente censurati.

C'e' una sfumatura che non deve essere persa: l'immagine di internet, che viene trasmessa sul mainstream, e' ancora oggi distorta proprio dal fatto che fanno piu' notizia certi gruppi su Facebook, certi video su YouTube ... che non i contenuti di valore, che pure sono presenti in numero 100 1000 volte maggiore. Insomma e' la solita questione: quanto e' piu' affascinante l'Uomo Nero ?

Alimentare la convinzione che internet sia luogo di cazzeggio, quando non tana sicura per pedofili, violenti facinorosi e truffatori, continua ancora oggi a rallentare la diffusione di un mezzo cosi' cruciale per lo sviluppo del singolo quanto della collettivita'. Per molti utenti potenziali, l'accesso ad internet risulta ancora difficoltoso e ansiogeno, quindi qualunque pretesto e' buono per decidere di non sottoporsi ad una tale prova.

Il famoso fotografo Toscani ha trovato un evidente migliore compromesso, trasformando la semplice riproduzione del contenuto "abusivo" (nel suo caso si tratta degli abusi di tutta una societa', ma questo non cambia la questione), in una espressione artistica, estraendone cioe' l'essenza, denundandola di ipocrisie e morboso compiacimento, e portandola ad un livello di comunicazione diretta e inequivocabile. In questo modo ha ottenuto di mantenere accoppiati sia la lucida riproduzione del contenuto originale, sia l'integrita' e la forza della denuncia.

Ecco, a tutti coloro che se la cavano con un rapido reblog di certo trash in rete, o che peggio ci ricamano sopra articoli dallo spessore millimetrico, suggerisco di tentare semmai un'operazione alla Toscani, avendo quindi sempre in mente cio' che veramente si vuole comunicare. Se poi qualcuno dovesse provare un vago senso di modestia, prima di abbandonarsi al trash o all'oscuramento, suggerisco di passare dal linguaggio delle immagini a quello delle parole, di preferire la citazione di uno stralcio alla riproduzione integrale, di dimenticare il link all'originale, e di concludere il proprio pezzo con una nota chiara circa la propria valutazione. E, perche' no, documentare con altrettanta scrupolosita' anche i contenuti di valore che pure sono presenti in internet, e possibilmente nel realistico rapporto di uno a dieci, minimo.

venerdì 14 marzo 2008

La scuola in liquefazione

Da molto tempo pensavo che causa ed effetto emblematico del divide che si sta formando tra le persone e le forme di aggregazione delle stesse (societa' civile, sfera pubblica e politica, mondo economico, ...) e' proprio a livello di educazione/formazione, quindi della Scuola.

Ieri questo articolo di Daniele Pauletto (Web/Teach), dal titolo "Scuola Liquida" mi ha dato l'occasione per un commento. Daniele dice:
Anche la socialità subisce il passaggio a forme di aggregazione per sciami e non per gruppi, disgregando la normale quotidianità scolastica fatta di orari, sequenzialità, rigidità.
Il disagio che si crea e che si vive sfocia nei ripetuti fenomeni di bullismo, che altro non sono che segnali appunto di una SCUOLA LIQUIDA, inadatta alle nuove generazioni ( digital native).

Il desiderio si trasforma in esigenza compulsiva, il sé lascia il posto alle personalità e identità multiple, l' incalzare del web con i suoi narcisismi digitali irrompe creando il culto dell’immagine, è la tirannia dell’istante e il bisogno di comunicare comunque e ovunque ( connect always).

La vita è in continuo movimento, continui sono i bisogni insoddisfatti, continua la ricerca del piacere, insaziabile la ricerca ossessiva compulsiva di gratificazione.
giovani studenti non trovano risposte nelle anguste aule scolastiche, dispersi in una didattica spenta fatta da docenti, ormai immigrati digitali.
 blog it
Come Gianni ha fatto notare nei commenti, piu' che liquida la scuola sembra rocciosa nella sua incapacita' di risposta. Ma forse Daniele intravedeva un percorso, forse doloroso, pericoloso, ma necessario, nella liquefazione della scuola. Ad ogni modo cosi' ho commentato:


Riconosco lo sgomento di fronte alla tumultuosita' della modernita' che avanza, e ricordo come qualche anno (decennio) fa la stessa cosa mi suscitava un diverso sentimento, di adesione proprio perche' prometteva rivoluzione, quindi ora sono un po' freddo nel ritenere che tutto questo debba essere "corretto", "ostacolato", "avversato". Penso che comunque non sarebbe nei poteri di nessuno di noi, anche se si facesse vermente sistema (i sistemi che hanno potuto decidere le linee di evoluzione di popoli appartengono ad una precisa categoria, e in buona parte appartengono al passato fortunatamente)


Certamente ogni singolo, e anche qualche gruppo di persone che condividono una sintonia di pensiero, puo' contribuire. Deve. Perche' la modernita' che avanza e' ancora anche un po' nostra. Nessuno si senta escluso.


Cio' che e' particolarmente critico sono i tempi rapidissimi di questi cambiamenti, cosa che impoverisce se non impedisce relazioni efficaci intergenerazionali, che manda in frantumi ogni modello organizzativo, che toglie sostanza a modelli comportamentali che hanno valore solo nella dimensione del presente


Ma se la velocita' di questa evoluzione non sembra piu' appartenerci (e meno lo sara' nel prossimo futuro), la risposta non puo' venire dalla riproposizione di linguaggi, modelli comportamentali, esercizi di analisi "lenti". Se la cultura digitale impone il valore della velocita', del tutto subito-domani non conta, dell'io come membro di un network/branco, l'alternativa che si potrebbe proporre puo' essere ispirata al sistema (a me piace questo), al nuovo umanesimo, o a qualunque altra cosa, ma deve essere sempre compatibile con i tempi disponibili, con le necessita' di oggi, con il linguaggio corrente.


In sostanza non e' il "senso" che mi preoccupa, ma il "come". Temo che a togliere il senso dai modelli che abbiamo conosciuto ieri, non sia stato tanto un mutamento culturale, ma di "mezzi". I nuovi mezzi si sono imposti (questo e' un punto) e hanno reso possibile esplorazioni prima impossibile (questo e' addirittura un vantaggio), ma hanno reso impossibile i modelli comportamentali di prima.


Se posso quindi lanciare uno spunto, proverei a ragionare non in termini di propaganda per un' "altra" cultura, ma di suggerimenti per utilizzare i mezzi attuali nell'ambito di una cultura non del tutto perduta. [Edit 16/3/07 12:30] Una sorta di vademecum, un manuale d'uso della modernita', per insegnare come tra i tanti modi possibili che sono disponibili per "giocare" con quello che la modernita' ci mette a disposizione, ce ne sono alcuni che hanno valore culturale, utili alla crescita e alla soddisfazione personale e sociale.


Questo chiederei alla Scuola: col nuovo abecedario i giovani potrebbero innanzitutto imparare un modo diverso, e piu' utile, di utilizzare gli strumenti per comunicare e socializzare, rendendo possibile l'espressione di sentimenti e pensieri giovani e fertili, singolari e plurali, con quegli stessi mezzi che oggi sono usati solo per giocare e perder tempo.


C'e' una differenza rispetto a ieri, che rende questo molto difficile: ieri la Scuola utilizzava Programmi e Metodi collaudati e ben tarati allo scopo. Oggi i docenti devono "inventare" tutto questo, ma purtroppo sono spesso tra gli ultimi ad essere aggiornati. [Edit 16/3/07 12:30] Inoltre dovrebbero inventarlo rapidamente, perche' il tempo corre anche per loro, evidentemente, e la rapidita' renderebbe il compito difficile anche se i docenti fossero adeguatamente aggiornati sulle tecnologie del momento.


E allora spostandoci sul piano della formazione dei formatori, perche' non si mette innanzitutto i docenti nella condizione di conoscere, ed essere capaci di un continuo aggiornamento, sui mezzi che la modernita' mette a disposizione ? Non solo perche' possano poi semplicemente descriverli agli studenti. Ma proprio perche' solo con un buon utilizzo di quegli strumenti essi potranno adempiere al compito assegnato, nei tempi rapidi richiesti, non altrimenti.


Non e' possibile in questa societa' moderna, contribuire qualcosa di valore e in modo continuato, rimanendo ignari, se non ostili, ai mezzi che la stessa modernita' mette a disposizione per comunicare, disegnare modelli, sviluppare network, promuovere cultura e conoscenza.

venerdì 4 gennaio 2008

Internet e la TV: la comunicazione e i comunicatori

Luca De Biase riprende in questo post la ricerca del Politecnico di Milano e Nielsen secondo la quale internet ha superato la tv nell'interesse degli italiani. Cosi' ho commentato.

Sono piuttosto freddo rispetto a questa notizia.

Primo perche' conferma una tendenza (la crescita progressiva di accessi e di interesse per internet) che e' in atto da anni, e il cui ritmo, continuamente sbandierato come eccezionale, sta certamente provocando una rivoluzione in molti settori, pero' con trasformazioni che richiedono diverse fasi quinquennali/decennali.

Secondo perche' il confronto diretto internet-televisione e' indice di grande superficialita'. In internet l'utente puo' fare n-mila cose in piu' che guardare semplicemente il programma in onda sui diversi canali. Bisognerebbe scorporare quella percentuale di accesso e di interesse verso internet che veramente e' contesa dalla televisione (di oggi).

Ad ogni modo se qualche numero dice che sorpasso c'e' stato (ma sappiamo bene che oggi basta prendere un numero poco intercorrelato all'intero contesto e si puo' far passare una catastrofe per un miracolo e viceversa), certamente e' un episodio che in questa societa' superficiale e clamoristica sara' preso in seria considerazione. Non solo, "il parlarne" potrebbe veramente portare effetti di grande portata, molto piu' che "il fatto" in se'.

Questo dato e' importante, in realta', per due categorie di persone soprattutto: chi guarda la cosa dal punto di vista economico (e degli investimenti pubblicitari soprattutto), e chi cerca di prevedere le conseguenze di un internet sempre piu' condizionato dalle logiche economiche (e della pubblicita' appunto).

Volendo cogliere l'occasione per una riflessione costruttiva per il futuro, sono solo parzialmente d'accordo di richiamare l'attenzione sui "contenuti", come se fossero altro che il "mezzo" (McLuhan si rivolterebbe nella tomba).

Certamente un nuovo "mezzo" introduce una nuova comunicazione/informazione, ma se il reale bisogno di comunicazione/informazione e' povero, effimero, superficiale, disorientato, il nuovo "mezzo" non generera' d'incanto maggiore ricchezza, profondita' e costruttivita' nella comunicazione/informazione.

Siamo in una fase di sgomento generalizzato di fronte ai cambiamenti cosi' repentini di questo periodo storico, e ben poco ci sembra solidamente utile e chiaramente indirizzato verso la risoluzione dei nostri guai. Prevale il desiderio di rompere catene che sembrano ostacolarci o che sembrano inutili, da un lato, e la disperata voglia di congelare un passato a cui eravamo abituati e conservarlo prima che sia spazzato via definitivamente, dall'altro.

Internet portera' semplicemente piu' velocita' e piu' efficacia sia nella ricerca del nuovo alternativo, che nella difesa del vecchio tradizionale. Portera' piu' voce a noi stessi. Portera' piu' accelerazione al cambiamento che stiamo vivendo/volendo/subendo. Non sara' internet che determinera' dove stiamo andando: quello rimane a carico nostro. Se noi non lo sappiamo, internet non risolvera' il problema per noi, e nemmeno sara' imputabile come causa. E se noi non lo sappiamo, la qualita' in internet non sara' migliore di quella in TV, con la sola differenza che internet non sara' mai "massificatore" come la TV.

Se il richiamo sui "contenuti" deve essere letto come un riportare l'attenzione su una maggiore autoconsapevolezza (a scapito della prevalente resa alla tecnologia), un riportare il fine (e l'uomo come fine ultimo) davanti ai mezzi, allora sono d'accordo. E sono anche un po' spevantato per la difficolta' del compito che ci sta aspettando. Fortuna che i nuovi "mezzi" renderanno la cosa "tecnicamente" piu' facile.