

"produrre il prodotto giusto per il cliente, con meno risorse possibile"



"Per avere successo occorre riporre maggiore attenzione sul fare la cosa giusta, che nel fare le cose nel modo giusto"
"produrre il prodotto giusto per il cliente, con meno risorse possibile"
"Per avere successo occorre riporre maggiore attenzione sul fare la cosa giusta, che nel fare le cose nel modo giusto"
Rispondo a Luca e al suo articolo sul potenziale evocativo dei modelli culturali (e della democrazia presa ad esempio particolare), rispetto al caso - solo teorico - di una comunicazione perfettamente efficace. Lo invito a leggere tutto, anche perche' in poche righe condensa molti interessantissimi spunti, e perche' si chiude con parole molte belle (perche' Luca e' un "abile comunicatore" ;-):
L'idea che la democrazia viva di una comunità consapevole che sceglie in base a informazioni metodologicamente corrette è in larga parte una bella e buona utopia. Il che non ne riduce l'importanza. Semplicemente ci insegna a pensare che il bello e il buono di quell'idea che è già diventato realtà è meno grande di quello che resta ancora da costruire.
Almeno questa consapevolezza dovrebbe diventare largamente esplicita. Se vogliamo migliorare il modo che abbiamo di informarci. Per scegliere.
Dunque, grazie ad un background culturale comune, anche comunicazioni non proprio efficaci possono portare una societa' ad agire in modo sufficientemente coordinato, e a progredire in una direzione coerente con la cultura stessa prima ancora che con le comunicazioni che vi intercorrono (cosi' ho inteso il senso della nota).Ma in un contesto sociale come il nostro, dove la "comunicazione" ha assunto un ruolo cruciale da molto tempo, e' andata diffondendosi una certa padronanza dell'uso dei media e dei linguaggi, ed e' grazie a questa abilita' "tecnica" che si riescono a coordinare azioni e modelli di comportamento, non in base ad una "cultura" condivisa, a meno che non si voglia parlare di "cultura della comunicazione".
In questo particolare contesto, gli esperti di comunicazione, o semplicmente i competenti in materia, a qualunque livello della scala del potere, sfruttano intenzionalmente la comunicazione subliminale per indirizzare il meccanismo comunicazione-azione secondo scopi predefiniti, e poco condivisi consapevolmente.
Interessante sara' a questo punto, monitorare i cambiamenti prodotti dalla diffusione del "web partecipato", e la rivalutazione della "relazione" proprio come strumento di emancipazione di quella parte della societa' che era stata esclusa dalla leva del potere della "comunicazione". Assisteremo ad uno shift dalla cultura della comunicazione alla "cultura della relazione", e nasceranno nuovi professionisti, abili nell'utilizzo di tecniche nell'ambito delle relazioni sociali.
Il lato B e' che si trattera' ancora di culture fondate su un unico valore piuttosto superficiale: relazionare (al posto di comunicare/apparire). Si sviluppera' - io lo temo, non lo auguro - un modello di societa' ancora poco orientato a progettualita' di prospettiva, ad elaborare e sostenere "visioni del mondo" illuminate, e a dare risposte a problematiche complesse. Non piu' "avere o essere", e nemmeno "essere o apparire", ma "essere o relazionare" sara' il prossimo dilemma dominante (tutte rivisitazioni di "essere o non essere", comunque).
Inevitabile? No. Ma dobbiamo esserne coscienti. Questa volta giochera' in positivo il fatto che la relazione e' vincente se e' 1:1, dunque non si puo' "industrializzare" come la comunicazione. Ma dobbiamo anche essere consapevoli dei costi in termini di impegno personale che la relazione richiede, proprio per questo motivo: un impegno che sottrae evidentemente energie a qualcosa di piu' sostanziale e programmatico. Sara' quindi importante non cadere nell'errore, anche se per motivi diversi, di considerare il "relazionare" (come oggi il comunicare, l'apparire) come un valore a se' stante, se non l'unico valore, e tenere distinto il piano valoriale da quello strumentale. Visto com'e' andata negli ultimi anni, se vogliamo dimostrare che abbiamo imparato la lezione (?), educazione e stimoli appropriati sul piano culturale dovrebbero ricevere la nostra massima attenzione. Altrimenti tra cultura della comunicazione e cultura della relazione, sempre di culture fondamentalmente tecniche staremo parlando.
Leggevo Gianluca Dettori qui (da leggere tutto):
Un esempio emblematico di politica economica (ndr: nazionale), riguarda l’annuncio recente del Fondo Nazionale per l’innovazione, una sorta di super SGR finalizzata ad investire in imprese italiane ‘innovative’, laddove la semantica di questo termine è tutta da specificare. La misura esclude infatti per ora start-up tecnologiche e venture capital, in quanto parla di aziende target tra i 15 e i 150 milioni di euro di ricavi.
[...] Dopo aver riempito di retorica gli annunci di una apertura verso una moderna politica industriale si ricade nell’eterna chiusura verso il nuovo. Il private equity viene anteposto agli investimenti in nuove imprese che fanno realmente innovazione.
Ma anche qui il segnale è univoco e preciso: l’Italia non è un paese per giovani con voglia di intraprendere veramente.
Pur essendo condivisibilissime le parole di Gianluca, e tra l'altro sostenute da dati oggettivi, mi sono chiesto se la caratteristica della situazione italiana, non sia da imputare agli italiani stessi, piuttosto, e non al Sistema, che semmai sarebbe quello che gli italiani si sono scelti e cuciti addosso, decenni dopo decenni.
Ieri sera si discuteva con Sergio, se ci sono nella storia italiana recente (ma anche passata) grandi figure di uomini che si sono veramente fatti da soli, muovendo contro l'intero mondo ostile, compreso il sistema politico economico nostrano. Non qualche figura eroica, emergente isolata dal buio di svariati secoli, e che ci ammonisce severa, in posa bronzea, in qualche piazza cittadina: ma figure di uomini in carne ed ossa che hanno costruito imprese, amministrato citta', risolto gravi stituazioni quotidiane...
Non e' che il tratto che caratterizza gli italiani rispetto ad altri popoli, nel bene e nel male, e' quello di avere coraggio solo quando ci si sente in tanti, e che in nome di questa coalizione, per puro spirito opportunistico, sono pronti a sacrificare i propri ideali e la spinta all'emancipazione come individuo ? In questo senso l'Italia non sarebbe un paese per giovani, che invece hanno l'animo dei conquistatori di un mondo che ancora non fa loro spazio.
Se fosse cosi', la genesi e la floridita' di questo attuale Sistema nazionale, sarebbe presto spiegata... E se fosse cosi', da quale momento della nostra storia ci deriverebbe questo tratto ? E che storia ci aspetta allora, nel futuro ?
Questo e' un blog di approfondimento, che riprende dall'agosto 2007 un flusso prima noto come "metakappa, the knowledge ecosystem blog" (dal 2002).
Nell'header, "Venere e Cupido con organista", di Tiziano Vecellio.