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lunedì 10 agosto 2015

Lean Thinking: fare il giusto con meno

Quando si parla di "Lean Thinking" gli equivoci si sprecano: proviamo a tagliarli, a beneficio di chi è alle prese con lo sviluppo del proprio business, la trasformazione della propria comunità di riferimento e della società civile in senso lato, o la gestione della propria azienda, piccola o grande che sia.



Il primo grande equivoco riguardo la "lean" è se si debba considerare un approccio strategico o tattico. La risposta che qui si argomenta, è che si tratta di un approccio che permette di espandere e consolidare le quote di mercato, quanto di ridurre i costi e aumentare la performance produttiva. Infatti permette di impostare una strategia di successo (in moltissimi contesti, non si pretende che sia vero per tutti), e di applicarla con azioni concrete nell'organizzazione, nei processi e nelle strutture operative aziendali.

Eiji Toyoda, giovane ingegnere della Toyota, insieme a Taichi Ono, un suo validissimo e indispensabile collaboratore, studiarono negli anni del dopo guerra, un metodo produttivo che avrebbe permesso all'azienda automobilistica di sfruttare le caratteristiche del mercato interno, cavalcare le opportunità della ricostruzione del giappone, crescere notevolmente ed arrivare nel giro di 20 anni ad insidiare i concorrenti americani in casa loro. Per questo retaggio storico (il modello di allora veniva indicato col nome "Toyota Production System"), ancora oggi si tende a derubricare la "lean" al capitolo "metodi di produzione". Infatti si fece innanzitutto riferimento a "lean production" o "lean manifacturing", proprio perché riferita a contesti fortemente produttivi.

Il primo equivoco, quindi, risale già a quell'epoca (eppure resiste ancora oggi), dal momento che gli stessi americani sottovalutarono per anni il modello giapponese, convinti innanzitutto di avere poco da imparare, forti della loro produzione industriale su larga scala, da un paese in via di (ritorno allo) sviluppo. All'inizio degli anni '50 Ford costruiva 8000 vetture al giorno, quando la Toyota ne aveva costruite 25000 negli ultimi 13 anni. Invece, dovendo fronteggiare un mercato interno molto più piccolo, di clienti con minore capacità di spesa, e potendo contare però su una qualità artigianale molto alta e diffusa, l'obiettivo dei giapponesi era:
 "produrre il prodotto giusto per il cliente, con meno risorse possibile"
C'erano già tutti gli elementi chiave che avrebbero fatto la fortuna di questo approccio nel corso di così tanti anni, fino ai giorni nostri. All'epoca fecero la fortuna della Toyota, che con il modello Corona, disegnato su misura sulle esigenze dell'americano medio, sbarcò negli USA con grande successo: 20000 unità vendute nel solo 1966. Motore potente, aria condizionata di serie, trasmissione automatica: aveva tutto quello che il cliente apprezzava - e non trovava nell'offerta dei produttori nazionali allo stesso prezzo - e niente di più.

Non si tratta dunque di un approccio per rendere semplicemente le attività produttive più efficienti, agendo quindi solo sui costi, in particolare tagliando gli "sprechi", insistendo con "continui miglioramenti". Ma è piuttosto una strategia di sviluppo del business ben precisa, e all'epoca innovativa, che pone al centro il cliente, al quale assegna il potere di decidere il valore" da trasferirgli: il valore per il quale è disposto a riconoscere un prezzo ed effettuare l'acquisto. Solo una volta identificato quel valore, e il "flusso" col quale viene generato in azienda, è possibile riconoscere gli sprechi (il non-valore) e tagliarli: si assicura così la massimizzazione del valore trasferito, e la diminuzione dei costi, quindi aumentando efficacia ed efficienza. Una strategia che permette quindi di identificare sfruttare ed espandere le opportunità di business, puntando alla sostenibilità nel tempo dei risultati economici.

Indubbiamente va attribuito a James P. Womack e Daniel T. Jones, il merito di aver studiato e spiegato i reali punti di forza di questo approccio, prima con "The machine that changed the world" (1991, rieditato nel 2007) - un titolo che la dice lunga sull'enorme potenziale che i due autori avevano riconosciuto nel metodo in oggetto - e poi con "Lean Thinking" (1996) - anche qui il titolo introduce un'espressione divenuta famosissima, e sottolinea come l'approccio giapponese meritasse di essere nobilitato quasi a livello di filosofia. Da questo momento ha inizio un'ampia diffusione nel mondo occidentale, e si è iniziato ad applicare l'approccio "lean" ad una moltitudine di campi applicativi, con opportuni ma non radicali adattamenti.

Detto questo, non può passare in secondo piano l'ampio e robusto corpo di pratiche e tecniche (tattica), che a partire dal lavoro di Taichi Ono, e poi nel corso degli anni, sono state messe a punto per applicare con successo l'approccio "lean" nell'operatività quotidiana. Dai kanban per regolare i flussi, ai poka yoke per ridurre gli errori; dal "one piece flow" al "pull flow"; dal just in time nella produzione agli hoshin kanri per dare supporto alle decisioni strategiche; dai kaizen event agli standup meeting; dal Sei Sigma per migliorare la qualità, al metodo delle 5S per razionalizzare gli spazi; e ancora molti altri. Proprio questa solidità architetturale sul piano metodologico, credo, continua ad alimentare ancora oggi lo stesso pesante equivoco che vuole la "lean" riferita soprattutto alla riduzione di costi e al recupero di efficienza.

Bisogna forse dare credito a Eric Ries, autore del libro "Lean Startup" (2011), che pur concentratosi sulle difficoltà di avvio delle startup, per primo e dopo molto tempo, ha riportato sotto la luce dei riflettori i principi fondanti della "lean" ricordando proprio come siano validi per indirizzare opportunamente l'identificazione di nuovi modelli di business sostenibili. Un approccio che ha conquistato subito un notevole successo globale, iniziando proprio dal settore delle startup, evidentemente poco interessato fino a quel memento, al lean management.

In sostanza ha permesso di rifocalizzare sul valore strategico della "lean": la priorità al cliente e al valore riconosciuto dal cliente; l'importanza dell'intero flusso, in questo caso l'intreccio delle relazioni tra le componenti del modello di business; l'approccio per piccoli miglioramenti ma frequenti del kaizen; il prezioso contributo delle risorse umane (ovvio nel caso delle startup) in termini di competenza e anche di umile verifica e analisi critica; l'indispensabile supporto delle metriche. Indubbiamente la "lean startup" deve ancora evolvere e maturare una architettura completa, proprio con l'introduzione di metodiche e tecniche operative (tattiche). Comunque viene già accreditato come "l'approccio che sta trasformando il modo con cui i nuovi prodotti sono sviluppati e lanciati sul mercato", dunque non solo nelle startup. Del resto non bisogna dimenticare le parole di Peter Drucker:
 "Per avere successo occorre riporre maggiore attenzione sul fare la cosa giusta, che nel fare le cose nel modo giusto"
Purtroppo ci sono ancora altri equivoci intorno alla "lean", ma applicando il metodo kaizen del miglioramento continuo, li elimineremo progressivamente nei prossimi post.

[Pubblicato anche sul mio Linkedin Blog, il 10/8/15, e su Medium.com, il 10/8/15]

martedì 13 settembre 2011

InnovatoriJam: non puo' mancare l'Innovazione Sociale !

Ho approfittato molto volentieri dell'opportunita' offerta da Andrea Casadei e Gigi Cogo di partecipare come facilitatore alla Jam Session di Agenzia per l'Innovazione.

InnovatoriJam è un evento sociale virtuale di intelligenza collettiva che dura 40 ore (da martedi 13 a mercoledi 14) e che vedrà la collaborazione online di migliaia di partecipanti per far emergere, confrontare, discutere idee, valori e punti di vista sull'innovazione in Italia suddivisi su 10 temi diversi.

Sono previsti 10 forum definiti in collaborazione con le stesse community, dedicati alle questioni cruciali dell’innovazione, e per ciascuno ci saranno dei facilitatori che avranno il compito di aiutare i partecipanti a vivere un’esperienza di conversazione produttiva e orientata ad arrivare a conclusioni utilizzabili.
I forum scelti sono:
  1. Innovazione e internazionalizzazione: Italia degli Innovatori
  2. Giovani, talento e merito nella ricerca e nell’innovazione
  3. Start up, incubatori, venture capital
  4. I ranking dell’innovazione
  5. Accessibilità, apps e nuovi canali
  6. Digital agenda: open data, cloud computing e banda larga
  7. E-commerce & e-tourism
  8. Il Codice dell’Amministrazione Digitale
  9. Informazione e nuovi canali
  10. Le Smart Cities del futuro
Personalmente daro' il mio contributo nei forum 7 e 9, in considerazione di una lunga carriera professionale dedicata alla revisione strategica resa necessaria e opportuna dalle nuove tecnologie legate ad internet, sia in ambito aziendale che con riferimento al territorio.

Ma soprattutto interverro' nel forum 10, portando attenzione al tema dell'Innovazione Sociale, che in Italia non ha ancora raggiunta la dovuta considerazione, e che infatti non figura esplicitamente nei temi del forum (con mia grande sorpresa!). Naturalmente quello delle Smart Cities e' una (e solo una ) delle applicazioni dell'Innovazione Sociale.

Se vuoi sapere qualcosa di piu' su questo tema, puoi leggere l'articolo "Next society: l'innovazione sociale al di la' dello stato e del mercato" o la presentazione che ho tenuto al Romagnacamp, dal titolo "Social + Innovation = Social Innovation".

Siete dunque tutti invitati a partecipare ad InnovatoriJam, da remoto, il 13 e il 14 settembre dalle 8 alle 24, accedendo ai forum qui, e in particolare al #10.



martedì 11 gennaio 2011

La PA in rete al servizio dei cittadini (ma veramente)

Carissimi,
con l'occasione organizzata da Gigi Cogo e Roberto Scano per la presentazione dei libri "Cittadinanza Digitale" e "I siti web e le Pubbliche Amministrazioni", in cui mi hanno voluto gentilmente coinvolgere, vi invito a partecipare al dibattito su come internet possa veramente trasformare la PA in un servizio per i cittadini, veneti in particolare.

Venite quindi a discutere la "nostra" PA, sabato 5 Febbraio, alle 18, alla Libreria Mondadori - Edicolè, a Padova, in VIA S. FRANCESCO 19

Saranno presenti gli autori Gianluigi Cogo e Roberto Scano, e coordinatore Gino Tocchetti.

Adesioni sulla pagina Facebook

I siti dei libri: Cittadinanza Digitale, I siti web e le Pubbliche Amministrazioni

martedì 22 giugno 2010

Ecosistemi aumentati: reti che attivano territori

Anche quest'anno, nell'ambito del VeneziaCamp2010 (dal 1 al 3 luglio, all'Arsenale), il network "Ecosistema 2.0", e' stato invitato a coordinare un evento di sensibilizzazione e diffusione dei modelli a rete aperta e sociale, cosi' come sono promossi e sostenuti da internet, e che abbiano incidenza nel territorio.
L'evento sara' il giorno venerdi 2 luglio, dalle 9:30 alle 18.

Il tema di quest'anno, coerentemente con la trasformazione del Veneziacamp in Festival dell'innovazione digitale, e' "Ecosistemi aumentati: reti che attivano territori" ed e' dedicato a tratteggiare lo stato dell'arte nello sviluppo di reti aperte nei territori. Fa dunque seguito a quello della passata edizione del Veneziacamp, dedicato alla Cittadinanza DIgitale, e che aveva il titolo "Civicita': una citta' glocale tra reale e virtuale".

Sara' anche l'occasione per un'altra grande festa del social business networking con gli amici, vecchi e nuovi.

L'evento e' organizzato in 4 panel distinti ma non separati, che andranno a costituire una "valigetta degli attrezzi" per chi si occupa di reti nei territori. I temi e i contributi invitati (in ordine alfabetico) sono:

1) Motori di sviluppo e sostegno di reti aperte nei territori
modera: Gino Tocchetti (Ecosistema 2.0)
- Alberto Cottica (Kublai, Min Sviluppo Economico)
- Flavia Marzano (District Lab, Sardegna Ricerche)
- Gabriele Persi (Area Science Park, Trieste)
- Ilda Mannino (Center for Thematic Environmental Networks, VIU)
- Marco Combetto (Informatica Trentina, Trentino as a Lab)
- Michele Vianello (Parco Scientifico Teconologico VEGA, Venezia)
- Paolo Privitera (internet startupper)

2) Sostenibilita' economica delle reti territoriali aperte
modera: Marina Trentin (environment and international cooperation)
- Gianfranco Padovan (EnergoClub Onlus)
- Gloria Testoni (Distretto di Economia Solidale di Verona)
- Mariano Carozzi (Prestiamoci.it)
- Marco Gialdi (Ufficio Sostenibile)
- Nicolo' Borghi (The Hub Milano)
- Stefano Corro' (Rete Energie)

3) Nuovi servizi territoriali a rete aperta
modera: Rachele Zinzocchi
- Alberto D'Ottavi (Blooming)
- Alessandro Cappellotto (Zooppa)
- Dario Bonaldo (Seedelio)
- Linnea Passaler (Pazienti.org)
- Walter Giacovelli (LoAd), Susanna Cristalli (Qype)
- Matteo Brunati (open web addicted)

4) Nuove culture per le reti aperte
modera: Maddalena Mapelli (Ibridamenti, Universita' di Venezia)
- Emilia Peatini (Rete Storia), Franco Torcellan (Agenzia per la scuola), Dino Bertocco (Aequinet)
- Emina Cevro Vukovic (LunediSostenibili.org)
- Maria Cristina Frigna (Villaggio Artigianale - Cities, Comune di Modena)
- Michele D'Alena (Laboratorio TagBologna, Universita' di Bologna)
- Stefano Bellanda, Andrea Celli (Intercultural Lab, Universita' di Padova)

Ogni giro di presentazioni (brevi, secondo una versione "italianizzata" di ignite) e' seguito da uno spazio di approfondimento e discussione con i partecipanti a qualsiasi panel, mantenendo cosi' integro il fil rouge della giornata.

Si prega di dare conferma sulla pagina dell'evento, creata su facebook (http://www.facebook.com/event.php?eid=107020039346666). Tutti i dettagli sono sulla pagina ufficiale del VeneziaCamp2010, all'indirizzo (http://www.veneziacamp.it).

"Ecosistema 2.0" (http://www.ecosistema20.it,
http://www.facebook.com/ecosistema20) e' un think-tank non convenzionale, sostenuto da una rete di social business networking, che focalizza (dall'inizio 2009) su un tema, la convergenza dell'ecosistema tradizionale e territoriale, e quello digitale, non altrimenti adeguatamente considerato.

La rete che si aggrega intorno a questo progetto, e' aperta trasparente partecipativa e basata su principi di fiducia e generosita', e per questo non confligge ma fa sinergia con altre iniziative che sono coerenti con questo approccio. Lo stesso evento in questione e' da intendere come un dono a tutti coloro che credono nel potenziale delle reti diffuse nel territorio, e intendono adoperarsi per lanciare iniziative di questo tipo.

Si prega di dare conferma sulla pagina dell'evento creata su facebook (http://www.facebook.com/event.php?eid=107020039346666). Tutti i dettaglisono sulla pagina ufficiale del VeneziaCamp2010, all'indirizzo (http://www.veneziacamp.it).

A presto a Venezia! ...e mi raccomando, spargete la voce ;-)

mercoledì 2 giugno 2010

Essere, comunicare/apparire o relazionare

Rispondo a Luca e al suo articolo sul potenziale evocativo dei modelli culturali (e della democrazia presa ad esempio particolare), rispetto al caso - solo teorico - di una comunicazione perfettamente efficace. Lo invito a leggere tutto, anche perche' in poche righe condensa molti interessantissimi spunti, e perche' si chiude con parole molte belle (perche' Luca e' un "abile comunicatore" ;-):


L'idea che la democrazia viva di una comunità consapevole che sceglie in base a informazioni metodologicamente corrette è in larga parte una bella e buona utopia. Il che non ne riduce l'importanza. Semplicemente ci insegna a pensare che il bello e il buono di quell'idea che è già diventato realtà è meno grande di quello che resta ancora da costruire.

Almeno questa consapevolezza dovrebbe diventare largamente esplicita. Se vogliamo migliorare il modo che abbiamo di informarci. Per scegliere.

Dunque, grazie ad un background culturale comune, anche comunicazioni non proprio efficaci possono portare una societa' ad agire in modo sufficientemente coordinato, e a progredire in una direzione coerente con la cultura stessa prima ancora che con le comunicazioni che vi intercorrono (cosi' ho inteso il senso della nota).

Mara CarfagnaLuca LucianiMa in un contesto sociale come il nostro, dove la "comunicazione" ha assunto un ruolo cruciale da molto tempo, e' andata diffondendosi una certa padronanza dell'uso dei media e dei linguaggi, ed e' grazie a questa abilita' "tecnica" che si riescono a coordinare azioni e modelli di comportamento, non in base ad una "cultura" condivisa, a meno che non si voglia parlare di "cultura della comunicazione".

In questo particolare contesto, gli esperti di comunicazione, o semplicmente i competenti in materia, a qualunque livello della scala del potere, sfruttano intenzionalmente la comunicazione subliminale per indirizzare il meccanismo comunicazione-azione secondo scopi predefiniti, e poco condivisi consapevolmente.

Interessante sara' a questo punto, monitorare i cambiamenti prodotti dalla diffusione del "web partecipato", e la rivalutazione della "relazione" proprio come strumento di emancipazione di quella parte della societa' che era stata esclusa dalla leva del potere della "comunicazione". Assisteremo ad uno shift dalla cultura della comunicazione alla "cultura della relazione", e nasceranno nuovi professionisti, abili nell'utilizzo di tecniche nell'ambito delle relazioni sociali.

Il lato B e' che si trattera' ancora di culture fondate su un unico valore piuttosto superficiale: relazionare (al posto di comunicare/apparire). Si sviluppera' - io lo temo, non lo auguro - un modello di societa' ancora poco orientato a progettualita' di prospettiva, ad elaborare e sostenere "visioni del mondo" illuminate, e a dare risposte a problematiche complesse. Non piu' "avere o essere", e nemmeno "essere o apparire", ma "essere o relazionare" sara' il prossimo dilemma dominante (tutte rivisitazioni di "essere o non essere", comunque).

Inevitabile? No. Ma dobbiamo esserne coscienti. Questa volta giochera' in positivo il fatto che la relazione e' vincente se e' 1:1, dunque non si puo' "industrializzare" come la comunicazione. Ma dobbiamo anche essere consapevoli dei costi in termini di impegno personale che la relazione richiede, proprio per questo motivo: un impegno che sottrae evidentemente energie a qualcosa di piu' sostanziale e programmatico.

Sara' quindi importante non cadere nell'errore, anche se per motivi diversi, di considerare il "relazionare" (come oggi il comunicare, l'apparire) come un valore a se' stante, se non l'unico valore, e tenere distinto il piano valoriale da quello strumentale. Visto com'e' andata negli ultimi anni, se vogliamo dimostrare che abbiamo imparato la lezione (?), educazione e stimoli appropriati sul piano culturale dovrebbero ricevere la nostra massima attenzione. Altrimenti tra cultura della comunicazione e cultura della relazione, sempre di culture fondamentalmente tecniche staremo parlando.


venerdì 12 febbraio 2010

L'italia non e' un paese per giovani

Leggevo Gianluca Dettori qui (da leggere tutto):

Un esempio emblematico di politica economica (ndr: nazionale), riguarda l’annuncio recente del Fondo Nazionale per l’innovazione, una sorta di super SGR finalizzata ad investire in imprese italiane ‘innovative’, laddove la semantica di questo termine è tutta da specificare. La misura esclude infatti per ora start-up tecnologiche e venture capital, in quanto parla di aziende target tra i 15 e i 150 milioni di euro di ricavi.

[...] Dopo aver riempito di retorica gli annunci di una apertura verso una moderna politica industriale si ricade nell’eterna chiusura verso il nuovo. Il private equity viene anteposto agli investimenti in nuove imprese che fanno realmente innovazione.

Ma anche qui il segnale è univoco e preciso: l’Italia non è un paese per giovani con voglia di intraprendere veramente.

Pur essendo condivisibilissime le parole di Gianluca, e tra l'altro sostenute da dati oggettivi, mi sono chiesto se la caratteristica della situazione italiana, non sia da imputare agli italiani stessi, piuttosto, e non al Sistema, che semmai sarebbe quello che gli italiani si sono scelti e cuciti addosso, decenni dopo decenni.

Ieri sera si discuteva con Sergio, se ci sono nella storia italiana recente (ma anche passata) grandi figure di uomini che si sono veramente fatti da soli, muovendo contro l'intero mondo ostile, compreso il sistema politico economico nostrano. Non qualche figura eroica, emergente isolata dal buio di svariati secoli, e che ci ammonisce severa, in posa bronzea, in qualche piazza cittadina: ma figure di uomini in carne ed ossa che hanno costruito imprese, amministrato citta', risolto gravi stituazioni quotidiane...

Non e' che il tratto che caratterizza gli italiani rispetto ad altri popoli, nel bene e nel male, e' quello di avere coraggio solo quando ci si sente in tanti, e che in nome di questa coalizione, per puro spirito opportunistico, sono pronti a sacrificare i propri ideali e la spinta all'emancipazione come individuo ? In questo senso l'Italia non sarebbe un paese per giovani, che invece hanno l'animo dei conquistatori di un mondo che ancora non fa loro spazio.

Se fosse cosi', la genesi e la floridita' di questo attuale Sistema nazionale, sarebbe presto spiegata... E se fosse cosi', da quale momento della nostra storia ci deriverebbe questo tratto ? E che storia ci aspetta allora, nel futuro ?


venerdì 11 settembre 2009

Un cowo a Bassano del Grappa/Vicenza

Seguo da quando e' nato, il progetto Coworking, che punta ad individuare nel territorio location di riferimento, generalmente coincidenti con gli uffici di qualche azienda o studio professionale lungimirante, che possono quindi essere affittate a prezzi modici, e soprattutto per periodi brevissimi - anche solo qualche ora - da professionisti mobili, in transito provvisorio.

Questa soluzione non ha solo il valore pratico di risolvere il problema del professionista "nomade", di trovare un punto di appoggio confortevole e sufficientemente attrezzato (wifi). Diventa anche piu' importante la possibilita' di creare momenti di incontro tra professionalita' ed esperienze diverse, imprevisti e disorganizzati, ma proprio per questo portatori di creativita' e di innovazione.

Sono quindi molto contento che si apra il primo "cowo" nella provincia di Vicenza, a Bassano, tra l'altro per iniziativa dell'amica Barbara e del suo studio:


Bassano del Grappa, Via Motton 56/A, 2 km dal centro storico e dalla stazione ferroviaria, presso lo studio di grafica tecnica e manualistica studiodz: ecco il primo Cowo di Bassano del Grappa.

Indirizzo: via Motton 56/A, 36061 Bassano del Grappa (qui le indicazioni stradali).
Persona di riferimento: Barbara Zen.
Contatto mail: barbara@studiodz.it.
Telefono: 0424/51.24.91.

martedì 25 agosto 2009

Business Day per la Ricerca nel Nordest, il 2/10 in AREA, Trieste

Ricevo dall'amico Vittorio Baroni, e pubblico volentieri per dare massima evidenza:


BUSINESS DAY è una giornata di incontri one to one a Trieste con le istituzioni e le imprese più innovative di AREA Science Park , con la possibilità di scegliere le realtà di maggior interesse per le attività imprenditoriali e di proporsi per un incontro di business.

Da questa iniziativa di AREA Science Park emerge la dinamicità di un Nordest che vuole mettere a frutto il proprio patrimonio di Ricerca, ma anche che vuole apririsi al territorio in ottica d’impresa 2.0. La scienza, per incidere sulla vita di tutti i giorni, deve diventare tecnologia ed arrivare a proporre innovazioni di prodotto e di processo, di metodi e servizi. Perchè ciò accada, con meno tempo e meno risorse economiche a disposizione a livello globale, è necessario anticipare l’incontro tra ricerca e impresa.

In un precedente articolo avevamo approfondito la situazione a Venezia, ormai traguardata come Laboratorio digitale d’Italia con l’affermarsi dei metadistretti del Veneto. Al VEGA Parco Scientifico Tecnologico di Venezia abbiamo visto che sono connesse 4.500 aziende per oltre 100.000 addetti e che il VEGA sembra ormai proiettato verso la dimensione della cittadella della Conoscenza, Scienza e Tecnologia.

Studio Vittorio Baroni 2 ottobre Trieste Area Science Park facebook business day
Ma la novità di questa iniziativa triestina sta anche nell'uso dei social network. Infatti la partecipazione avviene anche su facebook con il gruppo: “Business fresco di giornata”: come trasformare la Scienza in Innovazione. Neanche il tempo di uscire in libreria ed ecco un esempio di come poter ”Fare Business con Facebook”, il nuovo libro dell’amico Luca Conti che ci spiega quali vantaggi possono ottenere le aziende dal crearsi un profilo pubblico su facebook.

Il Gruppo su Facebook punta a individuare, raccogliere e condividere percorsi virtuosi, esperienze di successo, idee e spunti in merito. Partendo dall’esperienza del Business Day di AREA Science Park: per la prima volta un Parco Scientifico e Tecnologico si apre in modo strutturato ad incontri one to one con gli operatori del sistema italiano dell’innovazone.

Possono partecipare non fornitori, ma "Partner di innovazione":
  • imprenditori orientati all'innovazione;
  • ricercatori o manager della ricerca;
  • business angel e ventur capitalist;
  • operatori di parchi, distretti e altre realtà del sistema dell'innovazione.

La partecipazione è gratuita e consente di:
  • scoprire nuovi prodotti e tecnologie di grande impatto sul mercato;
  • scambiarsi conoscenze e competenze in settori di punta;
  • intraprendere nuove relazioni commerciali;
  • stringere accordi di ricerca, sviluppo e collaborazione tecnica;
  • trovare nuovi rapporti e accordi produttivi;
  • stringere accordi di licenza e migliorare la gestione strategica del portafoglio brevetti;
  • trovare partner di progetti finanziabili da opportunità come il 7° Programma Quadro.

AREA Science Park è operatore di riferimento nazionale nel trasferimento tecnologico e prestigioso Parco Scientifico e Tecnologico multisettoriale. Sono 87 le realtà attive nei 2 campus, fra cui 66 imprese ad alto tasso di innovazione e 21 centri di ricerca. 2.200 addetti operanti nel Parco e oltre 140 milioni di euro di fatturato annuo complessivo. In AREA Science Park si svolgono attività di ricerca, sviluppo e innovazione tese al raggiungimento di risultati d’eccellenza: Energia e ambiente, Scienze della vita, Informatica e ICT, Fisica, Materiali, Nanotecnologie. E’ un luogo dove la formazione di alta qualità, la ricerca ed il fare impresa si incontrano e si convertono in una fondamentale risorsa per la crescita economica ed occupazionale del territorio.

domenica 9 agosto 2009

VeneziaCamp2009: festa della cittadinanza digitale

Dicevo qui che il Progetto Cittadinanza Digitale, fortemente voluto dal vicesindaco di Venezia, Vianello, inaugurato col BateoCamp il 3 luglio, e' ora prossimo ad un altro grande evento, il VeneziaCamp2009, il 23, 24 e 25 ottobre 2009, all'Isola del Lazzaretto Vecchio.

Anche questo secondo evento si preannuncia come una grande festa popolare, questa volta pero', sia per la durata sia per la natura stessa del progetto, e' previsto che si entri nel merito del tema, la Cittadinanza Digitale. E' disponibile un wiki per il minimo coordinamento dell'iniziativa - scelta non casuale - predisposto da Gigi Cogo, formidabile animatore di questi eventi (ricordo il TwitterCamp dell'aprile 2008), ma soprattutto fertilissimo referente della Regione Veneto nell'innovazione basata su internet e il web2.0.

Sul wiki si sta gia' delineando una bozza del programma della tre-giorni, che comprende iniziative libere, e "dal basso", e che si preannunciano interessantissime, quali:

- la presentazione del Manifesto Amministrare 2.0. Si tratta di un'iniziativa a livello nazionale che e' stata promossa proprio a Venezia, gia' nel 2008, con l'obiettivo di portare il potenziale del web2.0 nell'ambito della PA, e che ha dato vita questa'anno al Tavolo Permanente. Si tratta dunque degli stessi principi ispiratori che hanno dato vita al progetto Cittadinanza Digitale, e che con quello costituiscono le due facce della stessa medaglia

- il seminario su "La sottrazione dell'autore", promosso dalla Scuola di Dottorato in Scienze della Formazione, della Cognizione e del Linguaggio dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, che approfondira' le nuove narrazioni in rete, dalla faceless revolution di Wu Ming, all’oltre-Facebook di Aldo Nove, dalle sperimentazioni di Giuseppe Genna all’ OUT-Facebook di Ibridamenti e alla community di Scrittura Industria Collettiva.

- incontri tra sviluppatori di applicazioni per facebook e iphone

- la consegna del Premio SocialApp Italia 2009, promosso da TOP-IX e Mikamai, con il supporto del Social Application Program di Sun Microsystems, e dedicato a team, singoli sviluppatori, agenzie, che abbiano sviluppato o che abbiano intenzione di sviluppare applicazioni per Facebook, Opensocial e Bebo. La novità per questa edizione del premio e che possono partecipare al contest sia le applicazioni italiane che quelle estere.

- una discussione sulla necessita' e i contenuti di una Carta Etica Digitale, che esprima principi e modalità per un uso consapevole della Rete, coordinata da Massimo Melica, fondatore di Innovatori, un'associazione indipendente e senza scopo di lucro che intende occuparsi dell’innovazione dei sistemi di comunicazione, della gestione e dell’amministrazione e della produzione di beni e servizi.

- un intervento su "La cultura della politica incontra la cultura dell'innovazione", promosso dalla Fondazione Gianni Pellicani, che si propone di favorire la crescita culturale, sociale e politica della collettività, nonché di stimolare l’evoluzione delle tecniche di gestione della cosa pubblica, con particolare attenzione all’amministrazione della città di Mestre Venezia, e dall'Istituto per le Politiche dell'Innovazione, un progetto collaborativo nato sul web tra professionisti informatici economisti, che si propone di studiare le tematiche dell’innovazione da ogni possibile angolo di visuale, fornire occasioni di confronto, dialogo e collaborazione tra aziende, istituzioni e società civile e, quindi, formulare al Governo ed al Parlamento proposte, idee e suggerimenti per la gestione di una politica dell’innovazione. Uno strumento di lavoro dell'Istituto e' il wiki, aperto ai contributi di tutti, sul quale sono ospitati periodicamente documenti contenenti idee di macropolitica dell'innovazione e disegni di legge finalizzati alla soluzione di specifici problemi del sistema innovazione.

In particolare, nella seconda giornata sono previsti "interventi dal basso" (Barcamp) sui temi suggeriti: cultura digitale, cittadinanza digitale, nuovi paradigmi della comunicazione, social media al servizio dei cittadini, ecc.

Patrocinatori istituzionali sono il Comune di Venezia e Venis, (Venezia Informatica e Sistemi S.p.A.), l'azienda di servizi ICT dell’Amministrazione Comunale di Venezia per la realizzazione, lo sviluppo e la conduzione tecnica del Sistema Informativo e della Rete di Telecomunicazioni. Tra i network e le associazioni che hanno dato il proprio supporto all'iniziativa, ci sono gia' Assint, Assodigitale, Innovatori, International Webmasters Association, Istituto per le Politiche dell'Innovazione, Nord Est Creativo, Ecosistema 2.0, Fondazione Gianni Pellicani.

Un grande progetto, destinato a fare scuola, e anche una grande responsabilita', per tutti: come "cittadini digitali" siamo tutti chiamati a trasformarlo in successo.

[Questo articolo e' pubblicato anche qui]

domenica 2 agosto 2009

L'ecosistema e' il nuovo medium. L'ecosistema e' il messaggio

Sara' il caldo di questo inizio agosto, ma ci sono alcuni temi praticamente ineludibili (a cui mi porta un po' la passione, un po' il lavoro, e un po' il contesto nudo e crudo in cui viviamo) che sembrano sempre piu' chiari, e al tempo stesso sempre piu' lontani da una soddisfacente comprensione.

Questo si spiega, secondo me, perche' all'aumentare della comprensione, non corrisponde una effettiva capacita' di controllo, intendendo cosi' almeno una minima possibilita' di predirne l'evoluzione, e trarre quindi il nostro vantaggio. Sembra di essere di fronte ad una crisi di crescita "cognitiva" generale, in cui per il momento ci e' chiaro semplicemente che cio' che sappiamo e' insufficiente.

fatamorganaMi limito quindi a registrare il futuro come appare, col cervello annebbiato dalla calura e lo sguardo tradito dall'aria torrida, semplicemente, con l'approssimazione causata dalla fatamorgana.

L'ecosistema e' il nuovo medium. L'ecosistema e' il messaggio

thorAbbiamo per le mani uno strumento potentissimo, il web2.0, ma e' come se avessimo inventato una (nuova) ruota e stessimo pensando di usarla (anche stavolta) come sgabello. Il mondo cambiera' radicalmente quando metteremo questa (nuova) ruota in piedi, eviteremo di sedere sul suo bordo, e la lasceremo correre come e' piu' logico. E forse sara' allora che usciremo da questa crisi globale.

Navigando in internet e partecipando a diversi flussi di conversazioni, ma anche confrontandomi dal vivo con amici appassionati e perfino professionalmente impegnati in attivita' fortemente influenzate da internet (me compreso, ovviamente), vedo emergere principalmente un approccio alla Rete dettato dal marketing. Mi riferiro' innazitutto a questo approccio, anche se ovviamente non e' l'unico e io credo nemmeno il piu' rilevante, solo come inizio: trovo che da questo punto di vista, si vede meglio lo scarto cognitivo sul web 2.0, che ancora abbiamo davanti.

reclam vecchio stileIl marketing, inteso in modo tradizionale, ha sempre considerato la comunicazione uno strumento ben preciso da usare per il proprio obiettivo: far conoscere il proprio prodotto al mercato, nel modo piu' opportuno, e raccogliere le richieste dal mercato, per adattare il proprio prodotto, allo scopo ultimo di favorirne la vendita. Eppure oggi questo strumento non sembra piu' funzionare, e non sembra solo questione di "canale" o di "strumento". Il medium e' ancora il messaggio (Marshal McLuhan, 1964) ? eppure il messaggio non passa piu'. I media siamo noi (Dan Gillmor, 2004); il contenuto coincide col contenitore; il messaggio non e' piu' altro dal messaggero.

Le domande che sento ricorrere piu' spesso sono: "quanti visitatori (che poi sarebbero potenziali clienti) ?", "come catturare l'attenzione ?", "come far passare il messaggio (promozionale) ?", "come si deve porre l'azienda (che e' li per vendere) ?". Anche chi non fa riferimento direttamente ad un potenziale rapporto azienda-cliente, e si muove su un livello tutto personale e "sociale", spesso si pone domande tipo "come aumentare la mia visibilita' ?", "come acquisire piu' follower ?", "come posso affermare la mia reputazione ?". L'esperienza comune ci insegna quanto siano effimere queste ambizioni: in realta' ci insegna che sono proprio inopportune.

rubinetto che gocciolaNon sto dicendo che e' sbagliato contabilizzare le comunicazioni in internet, rincorrere le diverse nicchie sfruttando la molteplicita' di nuovi canali alternativi e complementari, usarli come "un fascio" di tubi, in cui spingere un messaggio sostanzialmente identico, con le dovute correzioni formali. Non abbiamo gia' superato del tutto il modello tradizionale, e per molti prodotti e per molti destinatari, questa modalita' ancora funziona. Pero' il messaggio cosi' inserito a forza nei tubi, si incastra sempre piu' spesso, e non arriva al destinatario come si vorrebbe. Se vengono versati litri di acqua, dall'altra parte arrivano gocce, e non e' una giustificazione il fatto che acqua e tubo costano poco.

Eppure quello che sembra, nonostante le dichiarazioni di entusiasmo di molti, e' che la maggioranza si ferma proprio qui: accetta l'inefficenza, spreca energie, ma, in mancanza di idee migliori, insiste in questo modo. Molti "markettari", a parte quello che dichiarano, a volte con buone intenzioni e a volte con spirito da imbonitore, guardano al web2.0 nello stesso modo in cui hanno sempre guardato ai precedenti mezzi di comunicazione: uno che parla, pochi o molti che ascoltano, relativo controllo sui tempi e sui contenuti della comunicazione, un grosso problema di attenzione. Il contesto in cui sono inseriti li spinge a non abbandonarsi completamente alla rivoluzione in atto: il ROI deve essere ancora calcolato per giustificare gli investimenti, e niente lo puo' sostituire. E non tutta l'audience si e' spostata, perlomeno non consapevolmente, sui nuovi modelli a rete, partecipati dal basso, alla pari.

Ma tutto questo sta diventando rapidamente storia passata. Non solo perche' il controllo e' andato perduto, o perche' la relazione non e' piu' nel rapporto che si aveva prima. E' cambiato proprio il concetto di conversazione, almeno e' cambiato il suo ruolo. Non e' piu' cosi' determinato: sono indefiniti gli attori, i tempi, i contenuti, il messaggio trasferito, gli effetti, e quindi certamente il controllo. Non e' piu' (solo) una conversazione tra singoli, quello che conta e' l'espressione di un ecosistema. Un ecosistema che non fa salti tra internet e territorio. (James Surowiecki, 2005, Don Tapscott, 2006, Charles Leadbeater, 2008, Charlene Li, 2008,
Clay Shirky, 2009
).

Se i mercati sono conversazioni, 10 anni dopo un passo avanti e' necessario, nessuno si sorprenda. Non sono piu' le conversazioni uno-a-molti, ne' le conversazioni uno-a-pochi o uno-a-uno, quelle che contano. Oggi conta una-conversazione-che-corre-attraverso-tutto-il-mercato. Conta che ci sia uno strumento che dimostra di servire a tanti, e che quindi viene effettivamente usato da una comunita' ampia e vivace. L'ecosistema e' il nuovo medium. L'ecosistema e' il messaggio.

Perche' la ruota possa girare, sappiamo che la dobbiamo mettere in piedi, e che non ci possiamo sedere direttamente sopra. Dobbiamo adesso individuare e assimilare analoghi accorgimenti nell'utilizzo dei modelli a rete. Dobbiamo mettere in piedi l'ecosistema, e lasciare che si sviluppi. Per chi si occupa di marketing, capire questo e' gia' un grosso risultato; per chi confida nel potenziale dirompente dei modelli a rete, questo e' solo l'inizio.

Un ottimo esempio e' quello del progetto "Cittadinanza Digitale" del Comune di Venezia, che dopo il BateoCamp a luglio, si sta preparando al secondo grande evento di ottobre, il VeneziaCamp2009. Ne' Vianello, il vicesindaco veneziano che ha fortemente voluto il progetto e lo ha sostenuto da quando e' stato avviato appena due anni fa, ne' il Comune di Venezia, hanno bombardato i canali internet con messaggi rintronanti sulle loro intenzioni e sui vantaggi per Venezia, in tutto questo tempo. Il loro intervento e' stato "abilitare" l'ecosistema, offrire un servizio di tipo infrastrutturale, che lasciasse i fruitori liberi di interpretarlo secondo i propri bisogni e desideri. Da un punto di vista del marketing, il risultato e' stato clamoroso, se oggi non solo tutta l'italia, ma anche all'estero si parla di questo progetto. Non essendo solo il marketing territoriale l'obiettivo di questo progetto, inizia adesso il vero percorso piu' interessante e sfidante, ma non c'e' dubbio che la citta' e' stata rilanciata come protagonista nel terzo millennio.

S'e' fatta sera, la temperatura e' cambiata e la fatamorgana ha cambiato forma e sta svanendo. Ci sentiremo presto con la prossima, ma non credo si parlera' ancora di marketing. Guardare al web2.0 solo come ad uno strumento di comunicazione, e' come guardare la ruota e pensare che il bello sia solo nel farla rotolare.

[Questo articolo e' pubblicato anche qui, e qui]

martedì 23 giugno 2009

Enterprise 2.0: tecnologie e metodi per l'azienda rete

Pubblico qui alcuni stralci di un'intervista che mi hanno fatto sui temi dell'Enterprise 2.0.



Cos'e' l'Enterprise 2.0 ?

Oggi, i mercati mondiali sono intrecciati in un'unica grande rete, e le conoscenze e le risorse necessarie per essere competitivi sono sempre piu' difficilmente governabili da un'azienda isolata: il fattore strategico piu' importante per un'azienda, e' diventato “essere rete” e “fare rete”. Essere rete per sfruttare al meglio il potenziale delle risorse interne; fare rete per sviluppare la migliore ed efficace relazione possibile con clienti, fornitori, partner e istituzioni, cioe' l'ecosistema di riferimento per l'azienda. Il termine “Enterprise 2.0” si riferisce alle tecnologie, ai metodi e alla cultura che aiutano in questo percorso, e prendono a modello internet, e il suo progresso straordinario e continuato da 20 anni.

Perche' e' importante il modello a rete ?

Le criticita' e le opportunita' arrivano da mille direzioni: e' richiesta la massima flessibilita' organizzativa, la capacita' di apprendimento continuo, e di adattamento rapido e non approssimativo. Una struttura troppo rigida e controllata, funziona molto bene in assenza di necessita' di cambiamento, ma non in contesti cosi' tempestuosi. Una struttura a rete, invece, libera tutto il potenziale di intelligenza, creativita' e capacita' di elaborazione che spesso rimane nascosto nelle pieghe dell'organizzazione tradizionale. Non solo migliora l'efficienza aziendale, ma anche il posizionamento dell'azienda stessa nel suo ecosistema di riferimento, e quindi aumenta le nuove opportunita' di business.

A quali tecnologie si fa riferimento in particolare ?

La tecnologia ha promesso finora maggiore efficacia ed efficienza organizzativa attraverso piattaforme informatiche per l'elaborazione dei dati (business intelligence), per la gestione dei documenti in azienda (document management), per l'esecuzione dei flussi di lavoro (workflow management), per il supporto alle principali aree funzionali (erp), e per il supporto alla comunicazione e alla collaborazione in azienda (intranet). Proprio in seguito ad una migliore gestione di queste risorse, e' emersa la necessita' di spostare l'attenzione direttamente sulle persone e sulla loro capacita' di connettersi, collaborare, e attivarsi per risolvere problemi e generare nuove opportunita'. La tecnologia delle intranet di seconda generazione, che comprende una foltissima famiglia di strumenti “web-based”, piu' di tutte garantisce supporto e spinta a questo nuovo approccio, in modo efficace, con grande flessibilita' e a costi bassissimi. Si tratta di un campo dove assistiamo da anni ad innovazioni straordinarie, che spesso l'utente finale, e l'azienda che se ne serve, non conosce fino in fondo e che rimangono, per cosi' dire, “sotto il cofano”. Ma soprattutto la vera novita', che internet ci dimostra ogni giorno, e' che ora si possono gestire livelli di complessita' (conoscenze, relazioni, informazioni di ogni tipo) ormai sempre piu' ingovernabili con altri strumenti. Una scheda tecnica separata illustra le caratteristiche distintive degli strumenti in questione.

Si tratta quindi di tecnologie per fronteggiare e gestire la complessita' ?

La tecnologia deve sempre essere considerata uno strumento abilitante, anche se insostituibile, e non il fine ultimo dell'intervento. Questo rimane sempre nel miglioramento del business risultante: generazione di nuove entrate, riduzione dei costi, o incremento e difesa della capacita' di competere nei mercati globali. Come si usa il telefonino per una migliore mobilita' e reperibilita', e non per il solo piacere di esibire un gadget tecnologico o di chiacchierare, cosi' nel caso delle tecnologie “Enterprise 2.0”, quello che conta non e' il compiacimento nel poter gestire molte piu' informazioni e contatti interpersonali, ma nella capacita' di trovare risposte e soluzioni, piu' rapidamente, migliori, ogni volta che serve. Dunque, innanzi tutto, queste tecnologie devono essere considerate una componente dell'organizzazione, e il loro inserimento in azienda e' da valutare insieme al cambiamento della struttura aziendale e del comportamento delle persone coinvolte. Inoltre possono essere considerate “strategiche”, perche', se utilizzate opportunamente, diventano l'elemento che caratterizza e perfeziona il posizionamento dell'azienda nel mercato di riferimento.

Dunque innovazione non solo tecnologica, ma a 360 gradi ?

L'innovazione e' una parola molto abusata, soprattutto oggi, con la quale viene compreso tutto cio' che rappresenta una novita' rispetto al passato: nel prodotto, nel processo, nei materiali, nel marketing e nel modello di business. Ma non tutto cio' che e' nuovo e' anche valido: l'innovazione che conta e' quella che sviluppa la tradizionale capacita' di fare (“artigianale”), e di rielaborare il rapporto col mercato, portando verso l'eccellenza, oppure verso novita' che siano veramente utili e convincenti nel tempo. Lo Sviluppo Nuovo Prodotto e' ormai un processo trasversale di grande impatto aziendale, ed e' necessario affrontare con la massima apertura ma anche con la dovuta capacita' gestionale, la generazione delle nuove idee, la loro selezione in ragione del mercato, il supporto alla trasformazione in varianti di prodotto e in nuovi prodotti, e infine la commercializzazione nei vecchi e nuovi canali, e perfino alcune funzioni di staff. Con l'approccio “Enterprise 2.0”, e un moderno processo di sviluppo nuovo prodotto, l'azienda acquisisce e potenzia la capacita' di lettura e di rielaborazione di input esterni grazie alle competenze interne, aumentando cosi' la qualita' e il valore del proprio prodotto, differenziandolo dalla concorrenza.

[...]

Per la versione completa contattatemi pure direttamente.

domenica 3 maggio 2009

Freno e acceleratore nell'Enterprise 2.0

Ho risposto alla domanda posta da Mario Gastaldi, nel suo gruppo su LinkedIN "Sviluppo delle Organizzazioni". Si chiedeva in sostanza se la tecnologia può cambiare la cultura ... oppure è necessario che nasca una cultura di collaborazione che utilizza tecnologie a supporto?

Prima dell' Enterprise 2.0 si parlava di "gestione della conoscenza" e di "supporto alla collaborazione e al lavoro di gruppo" - naturalmente usando appositi termini americani. In tutti questi casi la tecnologia e' sempre stata un fattore abilitante "in positivo", mentre la "componente people" e' sempre stata un fattore cruciale "in negativo" - qui positivo e negativo non rappresentano un giudizio di valore, ma si intendono riferiti al cambiamento. Con l'Enterprise 2.0, e' ancora come prima.

Proviamo con una metafora: se la tecnologia fosse un automobile, potrebbe permettere viaggi altrimenti non possibili, ma la persona che non ha intenzione di uscire di casa e' comunque l'ostacolo insormontabile. Dunque anche in questo caso, se le persone lo vogliono fare, la tecnologia e' importantissima, ma se le persone non lo vogliono, la tecnologia non conta.

A causa di questa dissimmetria, e considerando che i contesti non sono quasi mai bianchi (tutti favorevoli e ben disposti verso la tecnologia) o neri (tutti reticenti e resistenti all'introduzione di nuove tecnologie), la strada non puo' che essere scivolosa e piena di curve. Consiste in un percorso di avvicinamento in cui si oscilla tra interventi sulle persone, volti a radicare un atteggiamento favorevole al cambiamento (alla condivisione, alla collaborazione, ...), e sul piano della tecnologia, volti a dimostrare che alcuni strumenti possono amplificare i benefici dei modelli comportamentali adottati anche in parte.

Chiudo ricordando che un tempo, nelle organizzazioni impostate gerarchicamente, quando si doveva introdurre un cambiamento, si considerava in alternativa un approccio "di rottura". Si preferiva cioe', fronteggiare un cambiamento repentino e una reazione fortemente ostile. Naturalmente si contava sul fatto che non c'era liberta' di scelta da parte delle persone, che quindi "subivano" il cambiamento volenti o nolenti.

Nell'ambito delle professioni basate sulla conoscenza, e quindi nell'ambito dell'Enterprise 2.0, questo approccio non puo' proprio funzionare. E' necessario ottenere dalle persone un'adesione intima al cambiamento, una partecipazione convinta, senza le quali nessuna conoscenza sara' messa a fattor comune, nessun potenziale collettivo sara' liberato, anche se fanno finta di usare la tecnologia.

martedì 28 aprile 2009

Prodotti affabulatori, che favoriscono la socializzazione

Ho pubblicato su "Ecosistema 2.0" e su Facebook questa provocazione, da uno spunto di Francesco Morace, ripreso da Silvia. Su FB ci sono stati interessantissimi rilanci, che ho trascritto anche tra i commenti in "Ecosistema 2.0".

Questa crisi sta mettendo in evidenza il significato piu' profondo dell'economia della conoscenza: non basta saper fare, non basta saper conoscere. Occorre saper realizzare prodotti intrisi di conoscenza e cultura, prodotti che raccontano storie e trasmettono emozioni, prodotti "colti" che seducono perche' mai banali. Per questo gli ibridamenti tra distretti sono altrettanto preziosi quanto le contaminazioni interdisciplinari nello sviluppo della nostra conoscenza e della creativita'.

Siamo ancora troppo legati ad un approccio mentale orientato alla specializzazione, alla verticalizzazione. In fondo sono forme mentali utili nel pensiero scientifico, industriale, seriale. Ma l'appiattimento di una simile semplificazione, ha ben poco di umano, e quindi proprio per questo, ha poche probabilita' di entrare in risonanza con le nostre corde piu' profonde.

Conserviamo assunzioni che privilegiano l'esperienza nello stesso campo, analisti che vengono riconosciuti come esperti di settore, ricercatori che indagano le caratteristiche di singoli comparti, fiere dedicate a famiglie di prodotti e non filoni di bisogni ed emozioni, ... Continuamo a costruire sovrastrutture rigide e mutuamente compatibili in modo precario.

L'avvento di un nuovo umanesimo ci chiede e ci impone una svolta. Il bufalo puo' scartare di lato: certo puo' cadere, e per questo la ferrovia vinceva, al tempo delle praterie sconfinate; ma ora siamo ai bordi della grande mesa, e cambiare direzione e' questione di sopravvivenza, per non precipitare nel canyon.

Un prodotto che esprima contaminazioni, derivazioni, ricollocazioni, e' inevitabilmente un prodotto che ha qualcosa da raccontare, e che quindi puo' affascinare. Non puo' piu' essere solo destinato al consumo, ma alla socializzazione del e col suo utilizzatore: dal consumismo all'esperenzialismo. Non chiediamo piu' ad un bene di consumo di assolvere ad un compito, ma di abilitare la socializzazione.

giovedì 5 marzo 2009

Social Business Networking: reti, non scatole!

Da qualche giorno, alcuni pensieri che mi ritornano in testa da tanto tempo, stanno diventando chiarissimi, anche alla luce dei successi testimoniati nella mia regione dalla recente iniziativa di Nordest Creativo (Treviso, 19/2/09), e dalle difficolta' di altre iniziative, progressive correzioni in corso a parte.

Innanzi tutto, sembra proprio che la "galassia Social Business Network" sia piu' articolata di quanto a prima vista non si pensi. I s/b network non sono tutti uguali e non tutti i networker hanno lo stesso spirito. Fin qua, nessuna sorpresa, se consideriamo che rispecchiano la varieta' e complessita' del "genere umano".

C'e' un punto, pero', su cui mi sembra importante porre l'attenzione: la differenza tra il "modello a scatola" e il "modello a rete". Non voglio dire che solo il secondo e' "giusto", perche' mi sembrerebbe scivolare su una posizione troppo manichea, ma sono assolutamente convinto che la vera novita' e il vero valore sta nel modello a rete.

Nel "modello a scatola", i social network sono contenitori, e le persone riempitivi. In questo caso i s/b network sono ridotti a meri strumenti di aggregazione per accumulazione di utenti, e questo corrisponde inevitabilmente ad una visione dei networker come di una massa illusoriamente emancipata.

Siamo ancora nel one-to-many. Infatti si dice che sono la versione moderna dei sindacati e dei movimenti. In questo caso si dice TUTTI, ma e' come dire NESSUNO. Si dice "2.0", ma solo perche' al gregge di oggi piace sentirselo dire (e comunque non sa cosa vuol dire).

Sono diversi i fattori che spingono verso questo modello. Innanzitutto perche' e' quello a cui siamo abituati, e' quello "storico". Da sempre le persone si sono riunite in partiti, associazioni, sindacati, movimenti... In questi casi, la ricetta comprende sempre: un' idea, un po' di ritualita' per sostenere l'identita' di gruppo (feste con format predefinito, tesseramento, propaganda, ...), e nei casi piu' fortunati, un buon leader carismatico. Importante sottolineare che l'identita' fa parte del pacchetto offerto ai soci. E spesso questa identita' e' basata sulla "separazione": o con noi o contro di noi.

Difficile dire se questo modello debba essere abbandonato: certamente e' evidente che e' ancora molto praticato. C'e' nelle persone ancora troppa pigrizia e scarsa coscienza, ancora troppo costume da "massa"; e da parte di qualcuno c'e' ancora troppa voglia di "potere", di essere il "proprietario" della scatola, o il principale influenzatore, o almeno di mostrarsi tale.

Apparentemente, la "legge dei grandi numeri", e il principio che in democrazia vince la maggioranza, giocano a favore del "modello a scatola". Infatti, viene facile pensare che un gruppo di 100.000 persone conti piu' di uno di 100. Ma e' davvero cosi' ? Guardiamoci intorno, per favore.

C'e' anche una confusione di fondo, da alcuni palesemente dimostrata, sullo scopo e sul valore dei s/b network globali che la Rete ci mette a disposizione. LinkedIN, Facebook, e tanti altri, sono nati per permettere ai membri di fare rete tra loro, ma sono stati interpretati da alcuni come "scatole piene di biglie colorate", da prendere a man bassa per la "propria" collezione. Prova ne sono le continue contestazioni su quel limite di LinkedIN sulla visibilita' di piu' di 500 link.

In opposizione al precedente, c'e' il "modello a rete": quello emergente, appassionante, e dal potenziale dirompente. Quello che riproduce nella societa' l'idea formidabile di Internet. Quello che fa parlare di web2.0, come di una conquista dell'umanita', e non di una vuota convenzione di markettari. Infatti, se e' vero che Tim Berners Lee (un vero genio, ma non un dio) ha creato proprio 20 anni fa, un potentissimo protocollo di interfaccia per l'information management, certamente la rivoluzione che ne sta conseguendo nella societa' a 360 gradi, e' questione di tutt'altra portata.

Nel modello a rete, banalmente non ci sono tesserati ma PERSONE. Ogni persona e' un "nodo attivo", con identita' e sentimenti. E come tale "conta": e' in grado di rielaborare e rilanciare; di generare conoscenza; di creare. Nel modello a rete non solo non c'e' "separazione", ma c'e' qualcosa di piu' di "unione": c'e' "sinergia".

Le persone, quindi, vengono prima di tutto. Poi queste parteciperanno e animeranno 10 100 1000 social networks, a seconda dei loro bisogni e piaceri. Le persone non sono quindi i contenuti di questo o quel s/b network-scatola, ma al contrario usano questo o quel s/b network come strumento della loro espressione di se'.

Se le persone vengono prima di ogni altra cosa, ne segue chiaramente che prima si creano rapporti di fiducia con gli altri conetworker, tali da scatenare una propensione impellente alla collaborazione, e poi arriva l'adesione a questo o quel s/b network, con un atteggiamento che sara' conseguentemente aperto, trasparente, generoso, e, ultimo ma non meno importante, gioioso. Allora si, che la logica che si scatena e' di tipo win-win, e che il vantaggio e' garantito per tutti, cosiccome per il network stesso. In questo caso si puo' parlare di approccio "ecosistemico".

Se poi si tratta di professionisti, allora scatta anche la disponibilita' a referenziarsi mutuamente, e comunque a mettere la propria reputazione sullo stesso tavolo. A quel punto qualsiasi social network diventa anche un business network, in cui le relazioni sociali diventano occasione per dare vita ad affari.

Comprendere questo non e' poca cosa, e non bisogna illudersi, in tempi in cui la parola "s/b networking" e' sulla bocca di tutti, che tutti ne abbiano la stessa profonda coscienza. Ne' puo' bastare per i piu' volenterosi, ma solo perche' vedono la possibilita' di cavalcare l'onda del momento, vedere fallire piu' volte un approccio ambiguo, fondamentalmente viziato da motivazioni personalistiche e da atteggiamenti irrispettosi delle persone. E' un po' come il moscone che sbatte piu' volte sulla meta' della finestra che e' chiusa: il numero delle botte sul vetro non lo aiuta a capire che l'altra meta' della finestra potrebbe essere aperta. Un gap culturale, per essere colmato da chiunque, richiede tempo, divulgazione e sperimentazione, e dimostrazione sul campo dei passi avanti, conquistati giorno dopo giorno.

E a proposito dei "numeri" ? Sembra che la dimensione e' destinata a rimanere piu' contenuta nel modello a rete. Costruire una vera rete di relazioni fra 10, 100 persone e' obiettivamente difficile (anche se enormemente piu' facile oggi rispetto ad un tempo, grazie a internet) e richiede tempo. Ma vale molto di piu' una rete forte tra 10 persone che un "mucchio" di 100, 1000 iscritti.

Appare evidente, a questo punto, che tra "scatole" e "reti" passa una bella differenza, anche se oggi ci si puo' trovare esempi dell'uno e dell'altro caso, tutti sotto il nome di s/b networking. Le dinamiche sono enormemente diverse, il potenziale enormemente maggiore.

Mark Zeckerberg, fondatore di FacebookReid Hoffman, fondatore di LinkedINChiudo con una considerazione tecnica. Come dicevo prima, LinkedIN e Facebook, ma anche un ning "fatto in casa", sono solo strumenti abilitanti. Nel caso dei due colossi, si potrebbe facilmente confonderli come "scatole" dato l'enorme numero di iscritti, ma ho gia' detto che significherebbe perdersi moltissimo usandoli in questo modo. D'altra parte, costruirsi un ning per realizzare un piccolo facebook locale e personale, sarebbe una piccola follia, per come la vedo io.

Invece la vera sfida e' costruire la "propria rete" all'interno della grande rete, come LinkedIN/Facebook (o simili...). Del resto proprio con questo scopo sia Reid Hoffman che Mark Zuckerberg, hanno dato vita alle loro piattaforme. Allora, ecco che una buona applicazione di ning, magari combinando l'utilizzo di diversi social media e altre azioni sul territorio, puo' servire benissimo allo scopo.

[Update 7/3/9 11:00] Questo articolo e' "reblogged" anche qui:
- Facebook, note di Gino Tocchetti, con >50 commenti
- Nordest Creativo, il blog
- GreenConceptLab, di Daniel Casarin :: GenitronSviluppo

venerdì 20 febbraio 2009

Ecosistema 2.0: presentazione a Treviso, il 19/2/09

Presentazione del progetto "Ecosistema 2.0: Social Business Glocal NetWork" tenuta in occasione dell'evento "Social Business Networking", organizzato da NordEstCreativo, a Palazzo Bomben, Treviso, il 19/2/2009:


mercoledì 11 febbraio 2009

Leaderless organization e carisma 2.0

Elisabetta PasiniComplimenti a Elisabetta Pasini e a Marco Minghetti, per l'interessantissimo spunto sulla leaderless organization, molto attuale.

Oggi e' difficile avere esempi di carisma efficace su gruppi molto ampi, perche', primo, e' gia' difficile avere gruppi molto ampi, e, secondo, avere valori condivisi. In un'azienda, specie se ancora abbastanza piccola, dove e' ancora possibile e necessario aggregare intorno ad un "codice" interno, il carisma non puo' che essere legato alla miglior rappresentazione vivente di quel codice. Questa naturalmente e' una condizione necessaria ma non sufficiente: e' sempre necessario avere quel quid in piu'. Se l'azienda e' grande, spesso viene gestita come costellazione di piu' piccole unita' organizzative.

D'altra parte, nei network che oggi si possono sviluppare attraverso la rete, e che sono forse le ultime realta' di aggregazione di grandi numeri di persone, il discorso e' diverso. E anche qui bisogna distinguere quelli generalisti (la blogosfera, Linkedin, Facebook, ...), da quelli di nicchia (p.e. sulla formazione, sull'ICT, ...).

Nel primo caso il manifesto di idee e valori nel quale i networker si riconoscono e' minimo, se non inesistente. Qui il termine "anarchia" rende bene, in una valenza non necessariamente negativa. Non vedo possibilita' per esprimere leadership e nemmeno carisma, al limite un certo presenzialismo intorno al quale piu' che consenso si sviluppa opportunismo. Questa e' dunque proprio un'organizzazione leaderless, ma forse semplicemente NON e' una organizzazione. Nulla puo' influenzarne lo sviluppo: e' dunque anche charisma-less. Unica eccezione in Italia e' Grillo, ma vi invito anche a non sopravvalutare troppo questo caso. Forse, in alcuni casi, e' piu' utile parlare di "reputazione tra pari", ma solo in alcuni sottoinsiemi di questi network.

Un discorso diverso si deve fare per i network di nicchia. Qui ha senso, secondo me, discutere di organizzazione leaderless, e di carisma che prelude ad una significativa influenza sullo sviluppo del network. Oltre a meriti specifici legati alla particolarita' della nicchia, in questo caso e' richiesta una capacita' di comprensione e interpretazione dei "principi del networking". Questi comprendono un codice etico e comportamentale, e soprattutto la consapevolezza di quali sono le dinamiche all'interno del network, e quindi di quali atteggiamenti le favoriscono. Se infine scatta anche il quid in piu', allora si puo' proprio parlare di carisma.

L'esperienza insegna pero' che nel network non ci sono barriere all'ingresso, almeno non in generale. Quindi possiamo trovare sia colui che interpreta lo spazio del network come un terreno di conquista, probabilmente senza scrupoli sulla scelta delle armi da usare; sia colui che interpreta lo stesso spazio come un terreno per scorribande predatorie o semplicemente vandaliche, in cui muoversi senza tetto ne' legge, e anzi preoccupandosi che nessun codice etico sia condiviso, affinche' nessun vincolo diventi legittimo. La presenza di questo tipo di comportamenti e' generalmente ininfluente nei network con basi molto allargate, mentre e' devastante nei piccoli, o quelli che sono nelle prime fasi di crescita.

L'unico modo possibile perche' un piccolo-medio network possa rimanere integro, e possa quindi permettere lo spontaneo riconoscimento di carisma, a mio giudizio, e' preservare la natura stessa del network: quindi impedendo che l'approccio si pieghi al verticismo da un lato, e alla totale assenza di regole dall'altro. Queste regole, pero', non devono essere tradotte in norme processi e pene, ma semplicemente in una netiquette da ricordare come una carta di valori condivisi, nei momenti di confusione e incertezza. E questa l'ultima vestigia di organizzazione che ancora rimane da considerare.

Nell'urgenza di un approccio ecologico al networking, quindi non del tutto anarchico, c'e' un punto che emerge come fondamentale, secondo me, ed e' quello che ha reso la Rete grande come tutti sappiamo: la conversazione. Se siamo tutti convinti che i mercati sono conversazioni, a maggior ragione non abbiamo dubbi che la societa' intera e' conversazione. Intesa proprio come "espressione di se' e momento di confronto con l'altro". Solo un alto livello di interazione, trasparente e intensa, sia aperta e collettiva, sia privata e tra singoli, puo' effettivamente rendere possbile il riconoscimento delle reali motivazioni e dell'atteggiamento dei networker. A quel punto, per naturale evoluzione, l'aspirante padrone e l'aspirante predone vengono riconosciuti come tali, e quindi sostenuti solo da quella fazione che apprezza o il primo o il secondo dei due modelli.

Soprattutto nei network piccoli, allora, o per loro natura o perche' appena avviati, sulla qualita' della comunicazione e dell'interazione va posta la massima attenzione. Dove qualcuno impone di limitare le conversazioni, si capisce subito che c'e' un padrone o un predone latente che sta preparando il suo assalto. In un network che sia veramente un network, cioe' una rete, la conversazione e' sacra. Se c'e' quindi un carisma 2.0, questo si fonda innanzitutto sulla capacita' di comunicare e interagire con tutti.