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domenica 22 novembre 2009

Nicchie e tribu'

Durante un interessantissimo scambio di opinioni sull'articolo di Giuseppe Granieri, mi sono trovato a confrontarmi con Gaspare Armato e Maurizio Goetz sul termine e sul concetto da essi riferito, di "nicchia" e "tribu".

La mia considerazione, a dire il vero non molto condivisa dai miei preziosi interlocutori, e' che i due termini riferiscono a contesti differenti (soprattutto, ma non solo, in ambito sociologico/antropologico) e quindi suggeriscono due approcci differenti, perfino antitetici in certi aspetti. Quindi non e' un caso se faro' ovviamente riferimento a Godin e Anderson, e ai loro libri "Tribu" e "La coda lunga".

Se le parole sono importanti, "tribu" fa riferimento ad un'organizzazione sociale, abbastanza organizzata, anche abbastanza riconoscibile. Anzi quasi sempre la tribu' implica il concetto "o con noi o contro di noi". La parola, d'altra parte, porta con se' un immaginario collettivo ben preciso, sia se riferita alla storia antica che a quella moderna. Quindi (questo lo dico io) la tribu e' interessante - perfino auspicabile oggi come oggi - per un uomo di marketing e comunicazione, perche' permette di instaurare ancora facilmente una conversazione 1:molti, non del tutto trasparente e veritiera. Diciamo pure che e' il surrogato moderno di quel "mercato di individui" di smithiana memoria, che, se fosse trasparente, "premierebbe gli interessi personali col profitto, e penalizzerebbe i comportamenti scorretti con la mancata vendita", ma essendo opaco per gli individui proprio perche' isolati, li rende piu' facilmente "condizionabili" e "ingannabili".

Invece con la parola "nicchia" si intende solo una labile porzione di un tutto molto piu' ampio, e in continuo movimento. Nulla si puo' dire sull'organizzazione, che infatti e' quasi sempre assente, e nemmeno facilmente delineabile, non avendo pareti ma solo caratteristiche sfumate tra diversi livelli di gradazione dentro e fuori, a volte appena percettibili. La nicchia si accompagna al concetto di "diversi ma non separati". Per il nostro "comunicatore" rivolgersi ad una nicchia e' molto difficile, e l'unico modo e' "partecipare", scendere in campo, e quindi comunicare 1:pochi se non 1:pochissimi. Non confonderei quindi la teoria della coda lunga con il neotribalismo, sia per le implicazioni sul piano del marketing, sia per quelle sul piano dell'organizzazione sociale.

Sono convinto che la vera novita' introdotta dai modelli a rete, non sia affatto in una deriva neotribalistica (che tanto novita' non e', come ricorda Luigi Gioni nei commenti a questo articolo di Luca De Biase). D'altra parte, mi sembra che Godin sembra essersi "parato le parti basse" quando unisce gia' nel titolo ("Tribu") a quel sottotitolo ("Il mondo ha bisogno di un leader come te"). Mi sembra molto contraddittorio concedere anche all' "individuo" gli onori della vittoria (non viene solo ammesso che la leadership e' sempre individuale, ma proprio che ogni individuo e' leader in pectore), mentre si esalta il concetto di tribu, in cui la leadership e' fortemente centralizzata, e spesso perfino dispotica. Ci vedo un cerchiobottismo un po' troppo smaccato, e lo dico da fan di Godin (sempre che non continui cosi').


lunedì 18 maggio 2009

La stella marina e il ragno


Consiglio la lettura del libro "The starfish and the spider", di Ori Brafman, che ha considerato la leaderless organization sotto diversi aspetti, e direi in modo piuttosto "laico", cioe' studiando i pregi e i difetti, i meccanismi di partecipazione e anche quelli di contrasto. Tra gli esempi di leaderless organization abbiamo anche Al Qaeda, infatti.

Ho inserito nella videoteca di Ecosistema 2.0, il podcast di Marina Noordegraaf la cui qualita' della resa "video" non e' molto buona, ma la spiegazione dei punti principali e' semplice e molto efficace.

Mi piace riportare da quest'ultimo video, proprio questa citazione: "metti le persone in un sistema aperto, e immediatamente vogliono contribuire". Questo ci conferma che la partecipazione attiva e costruttiva e' ormai legata in modo imprescindibile con la delega e l'autonomia.


Nel video il concetto e' accompagnato da una divertente vignetta tratta da xkcd.com. La domanda e' allora "chi stabilisce cosa e' giusto e sbagliato in una leaderless organization", cioe' in sintesi qual'e' l'obiettivo se non c'e' "un capo" che lo fissa ? Io trovo proprio questo l'aspetto piu' interessante: l'emergere di un "senso comune del bene".

La discussione e' stata avviata anche qui, su Ecosistema 2.0