Dal post precedente, "Siamo quello che condividiamo", dice Leadbeter. Forse, addirittura, "condividiamo, quindi siamo". Nella condivisione ci realizziamo.
Ma se condividere ci realizza, basta a farci sentire realizzati completamente ?
La controprova ? anche il piu' banale copia-incolla dice tantissime cose: "io l'ho selezionato", "io ero li' quando e' stato detto, quando e' stato messo in rete", "io sono in contatto con quello", "io ho avuto tempismo", "io sottoscrivo/aborro", "io cambio lo strumento per comunicarlo", ...
E se il singolo copia-incolla ancora non dice molto, la sequenza dei copia-incolla completa l'espressione dell'individuo. Lo sanno bene quelli che usano rebloggare sul proprio blog o su Tumblr, o segnare il proprio gradimento ad immagini (StambleUpon, Flickr, ...) o a musiche (Last.fm, Qbox) e libri (Anobii, GoodReads, ...), o qualunque cosa riguardi loro e i loro amici (Facebook, Myspace, ...).
Naturalmente il copia-incolla e' solo la prima forma piu' semplice della condivisione, ma e' gia' una forma di realizzazione dell'individuo, anche se di un individuo che non ama troppo la rielaborazione. Se alla citazione si aggiunge un commento di poche parole (come con gli strumenti di microblogging) o di poche righe (come in Tumblr e su certi blog minimalistici), o un articolone/polpettone di qualche pagina (come questo che stai leggendo), siamo in presenza di un fenomeno quantitativamente e qualitativamente maggiore, ma uguale nella sua natura fondamentale.
Questo e' chiaramente in relazione con la difficolta' che incontrano molti partecipanti al web2.0 di ritagliare degli spazi di rielaborazione personale, che sfociano poi tipicamente nella scrittura di un articolo sul proprio blog, quando si e' travolti dal flusso impetuoso delle conversazioni (vedi quest'altro post precedente).
Alcuni sentono il bisogno di avere questi spazi per se' stessi, perche' sentono che appartiene alla loro natura, e anche perche' ne percepiscono la necessita' pratica, per trovare risposte a domande e a problemi che la condivisione da sola non sembra poter risolvere.
La difficolta' risiede proprio nel fatto che la sola partecipazione al flusso delle conversazioni con semplici interventi e' gia' una condivisione, e' gia una realizzazione di se', e' gia' l'applicazione del proprio filtro-persona ai messaggi e alle informazioni scambiate con l'esterno, con gli altri. Forse non e' appagante per chi non vuole rinunciare ad una propria necessita' di approfondimento, ma e' gia' sufficiente per socializzare comunicare e perfino assimilare.
Anzi talvolta, una condivisione cosi' essenziale e' addirittura piu' funzionale: primo perche' piu' rapida e quindi pervasiva nei mille canali che il web2.0 ci propone, ma anche perche' pone meno ostacoli nell'interazione con la moltitudine dei partecipanti, i quali a loro volta non hanno sempre il tempo e la motivazione per impegnarsi in qualcosa di complicato.
Diventa cruciale saper mettere in una forma di condivisione snella e rapida il maggior valore sociale e cognitivo con cui vogliamo essere identificati, cio' per cui vogliamo essere riconosciuti, cio' su cui vogliamo confrontarci. Non viceversa: non bisogna piegare la condivisione con gli altri, ai tempi e alle forme di cui necessitiamo noi individualmente per la nostra rielaborazione.
Lungi dal negare l'importanza della rielaborazione e del momento di 'stacco' che questa richiede, ci mancherebbe, ma e' evidente l'importanza della sintesi e della semplificazione, e del confronto serrato. Perche' rielaborazione e distacco aiutano la nostra piu' completa realizzazione, ma la condivisione ne costituisce il presupposto essenziale.
Sotto queste pressioni, la generazione attuale e certamente quelle future, sono e saranno abituate ad approcciare la rielaborazione personale in una prospettiva di social networking: la condivisione non dev'essere in competizione con la rielaborazione. Dovremo allenarci, almeno chi gia' non lo e', ad una condivisione rielaboratrice.
venerdì 1 agosto 2008
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4 commenti :
"Dovremo allenarci, almeno chi già non lo è, ad una condivisione rielaboratrice."
Spingendo sul tempo, perchè è la risorsa più preziosa che ciascuno di noi possiede e perchè rielaborare richiede necessariamente una quantità di tempo che spesso è fuori scala rispetto ai tempi della rete.
si, la compatibilita' tra i tempi per la rielaborazione e quelli per la condivisione e' il Problema: riuscirci e' difficile ma al tempo stesso sempre piu' indispensabile.
Tu hai idee? Son pronto ad ascoltare qualunque suggerimento
lavorando in team e dividendosi i flussi, però dal momento che i filtri siamo noi, dato un flusso base a cui si applicano in parallelo più filtri -per quanto similari per affinità di pensiero- quello che se ne ricava sono nuovi flussi tanti quanti i filtri.
suggerisce che la rielaborazione venga frammentata e distribuita, e che la condivisione aiuti ad elaborare cio' che e' "semi-elaborato" da qualcun altro...
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