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mercoledì 13 aprile 2011

Walk and talk e l'economia della fiducia

Faccio spesso lunghe passeggiate antistress e meditative, piu' o meno di corsa, in cui i passi e i respiri si succedono come colpi di setaccio, col risultato di separare tossine corporali e mentali, e di riordinare fibre muscolari, neurofilamenti e fili logici. E' un po' come stendere nuova fibra ottica per le mie idee.

Da qualche tempo, complice la primavera e le nostre bellissime colline, coinvolgo amici di network, con cui si puo' parlare di passioni comuni e di potenziali progetti. Questi incontri, che ho battezzato walk&talk, integrano molto bene le riunioni di lavoro, intorno a tavoli ricoperti da una potenza di calcolo e multimediale che dieci anni fa avrebbe esaurito il budget annuale per l'infrastruttura tecnologica di una piccola azienda, o quelle vaporizzate nella nuvola. In quelle, anche avvalendosi di tecniche patentate per il brainstorming e la liberazione della creativita', si oscilla tra l'assillo del metodo e quello dello strumento, rimanendo condizionati dal senso del dovere morale e professionale (ok, gli italiani molto meno).

Ma i walk&talk sostituiscono molto bene anche la cena di lavoro, tutta nostrana, o la partita a squash, piu' anglosassone, o altre attivita' gastro-ludico-sportive riproposte come team facilitating: forse qui siamo piu' vicini ad un round di golf, ma piu' genuino, accessibile e forse anche piu' divertente. In quei casi, infatti, la dinamica della cena o della partita, finiscono per prevalere e governare la conversazione, quindi quello che guadagni sul piano sociale, lo perdi poi su quello dell'approfondimento. Durante un walk&talk si viene piacevolmente interrotti dalla comparsa sul cammino di castelletti e casone ciascuno con una storia da raccontare, dagli improvvisi scorci sulla pianura e sulle montagne piu' vicine, o da discussioni sulla edibilita' di fiori bacche ed erbette: ma tutto questo e' funzionale a mantenere leggera la discussione, lungo una rotta a volte sconosciuta all'inizio, nonostante scarrocciamenti anche forti.

Oltre tutto nei walk&talk e' prevista la sosta nell'agriturismo locale, non quello che trovi sul portale turistico, ma il cui cartello indicatore e' una vecchia tavola di legno, non ha biglietti da visita e trovi da mangiare i frutti del territorio, naturalmente se arrivi prima che finiscano. Questo significa che la discussione sull'opportunita' di business che ti preme definire, viene interrotta da battute e risate inter-tavolaccio sulla ripartizione dei compiti tra il gestore la moglie e i figli, da divagazioni e consigli sulla coltura dell'ulivo e sulla stagionatura del vino, dalla valutazione dei consorzi agrari fatta in base alla sensibilita' nella scelta dei trattamenti proposti.

Dunque mentre correvamo a passo lento, ci siamo trovati a discorrere della difficolta' di formare reti sia tra gli imprenditori clienti che tra i collaboratori e i liberi professionisti. Quello che io vedo essere la questione dell'economia di ecosistema. Poche volte ho visto un problema tanto comunemente sentito, patito vorrei dire, e contemporaneamente cosi' poco conosciuto e discusso, per non dire lasciato alla buona sorte di qualche incontro voluto dal caso. Ne avevo parlato qui, in occasione del VeneziaCamp2009.

Eppure e' noto a tutti il progressivo snellimento delle strutture organizzative, e la crescente necessita di cooperare tra strutture aziendali che non rispondono allo stesso decisore, se non con professionisti che appartengono ad aziende diverse, o addirittura con rappresentanti della controparte che "vera controparte" non sono piu'. Si moltiplicano le partnership, i fornitori diventano anche clienti e viceversa, i consumatori diventano prosumer. In questo contesto gli interlocutori diventano quasi tutti "liberi professionisti", anche se inquadrati in qualche organizzazione, e vengono meno le "regole di contorno" che renderebbero piu' lineare (rigida eppur protetta) l'interazione.

In sostanza, la capacita' di collaborare e formare reti in modo efficace, chiamiamole proprio "trust network", e' sempre piu' una competenza richiesta ai singoli partecipanti, i quali dovrebbero adottare accorgimenti come fossero aziende che vogliono vendere i propri prodotti in internet. D'altra parte dovrebbe essere una caratteristica tecnica delle reti molto grandi rendere evidente il livello di fiducia esistente, il web of trust sovrastante. Sempre meno spesso il modello organizzativo, e i manager che lo applicano, possono assicurare efficienza ed efficacia: questi ultimi possono invece assumere un ruolo motivazionale e facilitativo, ma proprio per questo motivo rimangono schiacciati tra la responsabilita' e l'indeterminatezza di cio' di cui sono responsabili. Comando e controllo sono armi spuntate, se non proprio strumenti controproducenti: potrebbero imporsi come una cappa deprimente la motivazione e il fluido scambio collaborativo e conoscitivo.

Dunque la capacita' di formare trust network, sta diventando una delle competenze piu' preziose, sia per il singolo professionista, che per i diretti interessati alla rete e al suo potenziale. Quali sono i costi economici e sociali dell'incapacita' di creare trust network, nel lavoro come nella vita civile? Quanto tempo perso, quanta qualita' compromessa, quanta innovazione mancata? E vogliamo parlare della fiducia nei mercati, dell'attenzione e del consenso da parte degli interlocutori che ovviamente si curano solo di chi si fidano? E dei costi connessi a comportamenti improntati ad una caduta di fiducia? In California stanno correndo ai ripari.

The Economics of IntegrityNon e' forse questa capacita' di creare fiducia, e motivazione alla collaborazione, un ragionevole obiettivo da assegnare a programmi formativi, servizi consulenziali e a sforzi organizzativi? A questo punto io parlerei di economia della fiducia (come appunto ha gia' fatto Anna Bernasek in The economics of integrity).

In progetti improntati all'Enterprise 2.0, cioe' all'attivazione e potenziamento di reti aziendali e interaziendali, e tra aziende e mercati, dove e' fondamentale l'accento sulle persone e sulle relazioni che le legano, uno dei fattori cruciali, a questo punto e' evidente, non puo' che essere la fiducia. Cos'e' un progetto di enterprise 2.0 se non un progetto per coltivare e trarre beneficio da relazioni di fiducia all'interno dell'azienda, e tra l'azienda e il suo ecosistema?

lunedì 7 marzo 2011

Manualita' colta: tra formazione, gavetta e nuove professionalita'

Si parlava oggi di giovani e mercato del lavoro, e di come la congiuntura mondiale non permette piu' a questo paese di dare un lavoro manageriale a tutti coloro lo pretendono che per anni di anzianita', gavetta scontata in aziende fortemente gerarchiche, e titolo di studio. Le aziende hanno sempre piu' spesso un'organizzazione piatta e la figura di manager che questi giovani hanno conosciuto nei primi anni della loro carriera, non e' certamente quella che loro potranno interpretare quando sara' il loro turno. Se quella e' la loro idea, il loro turno potrebbe non arrivare mai. Ecco allora qualche passaggio in tema, dall'articolo di Giancarlo Coro' su FirstDraft, che suggerisce un nuovo equilibrio emergente tra cultura del fare e competenza intellettuale.
[...] Il lavoro manuale sta anch’esso cambiando, diventando più intelligente, creativo e anche tecnologico. Pensiamo appunto all’idraulico, che oltre a maneggiare tubi e impianti sanitari, può in realtà diventare lo snodo decisivo per la diffusione della green economy nelle nostre case. Infatti, se vogliamo che qualcuno ci aiuti a recuperare efficienza energetica o ad ottimizzare i consumi d’acqua, è all’idraulico che ci dobbiamo rivolgere. Un idraulico, però, intelligente e istruito. Perché non dovrebbe avere una laurea?

[...] Questa relazione fra manualità e intelligenza vale anche per i servizi alla persona, come quello delle badanti, il cui lavoro aumenterebbe di valore se integrato da conoscenze mediche, psicologiche e organizzative. Una società che invecchia non ha bisogno solo di chi rimbocca le lenzuola, ma anche di chi sa applicare nuove tecnologie per l’assistenza, far funzionare la domotica nell’appartamento e organizzare servizi dedicati. In definitiva, se il lavoro manuale continua a dominare la scena del mercato del lavoro, non lo fa a scapito di quello istruito. L’errore è semmai continuare a pensare manualità e istruzione come dimensioni alternative, ma questo non fa bene né all’una, ne all’altra. Avvicinare scuola e università con il mondo del lavoro è dunque necessario per superare il dualismo dei saperi. Stage, testimonianze in aula, visite in azienda, laboratori di laurea, dottorati collegati ad un progetto di innovazione, … sono tutti strumenti che possono aiutare questo incontro. Ma è anche necessario che nella scuola e nell’università si diffonda la cultura dell’imprenditorialità, che costituisce il collegamento più efficace fra nuove conoscenza e nuovi prodotti e servizi. Per superare la disoccupazione intellettuale abbiamo bisogno anche di questo.

A questo proposito, tempo fa avevo indicato come paradigma da prendere a riferimento, dove possibile, quello del chirurgo, che combina una competenza maturata in anni di studi e di esperienza sul campo, e che pero' non cessa mai di operare con le proprie mani, e quindi di spendere una buona parte della sua giornata lavorativa eseguendo azioni pratiche, sostanzialmente analoghe a quello che faceva negli anni di apprendistato.

[Leggi l'articolo "La badante e la domotica" di Giancarlo Coro', direttamente sul blog di FirstDraft]

domenica 27 febbraio 2011

Riti sociali italiani 2.0: moda, cucina e apprendimento ludico

C'e' uno stile italiano per il quale siamo famosi nel mondo, altro che pizza e mandolino, mafia e bunga bunga. Uno stile tanto caratteristico e seducente, quanto difficilissimo da definire, come del resto tutte le cose che sono un distillato di millenni di storia, intrise di culture multietniche e magistralmente rielaborate, inspirate dalla bellezza di una terra che rimane ancora oggi, nonostante tutto, un concentrato di meraviglie. Di una forza tale percui in ogni angolo del mondo mi sono trovato, presentandomi da professionista o da semplice turista - e qualche volta turista cosi' fai da te da non sembrare proprio il classico pollo da sfruttare - in tutte le occasioni (tutte!) mi sono sentito subito abbracciare da sorrisi di simpatia e, si, di ammirazione: "ah, italy!".

Noi stessi, come popolo italiano e perfino come uomini di politica e di economia, ma anche di letteratura, non lo abbiamo ancora studiato analizzato e compreso con sufficiente approfondimento. Ne avvertiamo la presenza col retrocervello, lo raccomandiamo come valore aggiunto di ogni attivita' turistica nostrana (ma dell'intervento al BIT 2011, di Matteo Marzotto, presidente ENIT e rappresentante numero uno del brand Italia nel mondo, non c'e' traccia in rete), e pero' non sappiamo tutelarlo, lo sfruttiamo commercialmente con intelligenza e professionalita', ma piu' spesso lo associamo alle cause evidenti se non banali, spergiuriamo che e' tutto nostro ma non del nostro vicino, ci indignamo perche' lo stiamo perdendo, se gia' non lo abbiamo definitivamente corrotto e sciupato.

Non meriterebbe piuttosto un'attenzione maggiore, e se non ricerche accademiche o giornalistiche di opinabile autorevolezza, almeno una serie di iniziative volte proprio a stimolare l'autoconsapevolezza, e, perche' no, a condividerlo con i nostri fan nel mondo? Meglio se prima che lo facciano gli altri. Io credo che se c'e' un cancro che mina la salute di questo "italian way of life" e' proprio la mancanza di una ragionevole consapevolezza. E d'altra parte sono convinto che la sua forza sta proprio nell'essere innato, inconsapevole se non perfino sconosciuto a noi stessi, e dunque genuino. Raggiungere una via di mezzo sarebbe un risultato meraviglioso.

Ma anche se frutto di una misteriosa pozione magica, composta segretamente da cultura, storia, ambiente, gastronomia e moda, il nostro stile di vita altro non e' che una raffinata combinazione di comunicazione, sensibilita' condivisa e socialita'. Dunque anch'esso e' soggetto alla spinta innovatrice di internet, e quindi potenzialmente accompagnato ad una nuova profonda rivisitazione. Ancora una volta noi ci distinguiamo in questo, e guarda caso, siamo primi nell'utilizzo degli smartphone e dei social network. Anche qui, abbiamo subito abbracciato la parte dell'innovazione tecnologica che veramente ci interessa, senza le resistenze e senza la difficolta' di comprensione che invece mettiamo sull'altra parte (quella legata alla produttivita' e all'efficienza, che pero' ci servirebbe tanto quanto!).

Esiste gia' un "modello italiano" nell'utilizzo dei social media? "cazzeggio" e' una parola che entrera' nel vocabolario globale, al fianco di "romanzo" in letteratura, "allegro" nella musica, "lombard" in economia, "parmigiano" in gastronomia... ? Battute a parte sul cazzeggio, qui si fa riferimento alla capacita' che gli italiani hanno di utilizzare la dimensione ludica e sociale come strumento di lavoro, di stimolo alla coprogettazione, di condivisione multiculturale, e perfino di tenuta sociale e peace keeping... e di come questa si stia trasformando grazie a internet, e come internet viene per questo usato dagli italiani.

Con questo spirito e di queste cose parleremo nell'ambito del Digital Experience Festival, a Milano, dove Stefano Saladino ci ha gentilmente invitato a dare il nostro contributo, che consistera' nell'incontro dal titolo: "Riti sociali italiani 2.0: moda, cucina e apprendimento ludico", in particolare grazie a Mariela De Marchi, Sara Maternini e Domitilla Ferrari, e a tutti coloro che ci raggiungeranno allo IED - Sala B3 - Via Bezzecca, 5, Milano - 10 Marzo, dalle ore 10.30 alle 12.30 (iscrivetevi qui). Tutte donne: c'e' da meravigliarsi?
- Mariela De Marchi: consulente linguistica e di comunicazione online, gestisce progetti culturali ed esplora il teatro.
- Sara Maternini: community manager di professione, food blogger per passione, la potete trovare su quasi tutti i social network, anche e soprattutto i meno frequentati
- Domitilla Ferrari: giornalista passata al lato oscuro della forza: social media strategist in Mondadori, si definisce (con buon senso) guru dell'ovvio.
Gino Tocchetti, fondatore del think tank non convenzionale Ecosistema 2.0 e animatore del network che lo sostiene, dara' l'avvio al dibattito.

sabato 5 febbraio 2011

Cittadinanza digitale, e-Public Services: dibattito ispirato dai libri di Belisario, Cogo e Scano

Ecco la traccia che mi sono preparato per l'incontro di oggi, alla libreria Mondadori, Edicolè, Via S. Francesco 19 – Padova, alle 18:00, in cui verranno presentati i libri "La cittadinanza digitale", di Gigi Cogo, e "I siti web delle Pubbliche Amministrazioni" di Belisario Cogo e Scano, alla presenza degli autori, e amici, Gigi Cogo e Roberto Scano.

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Siamo alle porte di alcuni cambiamenti radicali nelle abitudini di vita della popolazione, anche italiana, rese possibili dalle tecnologie legate ad internet. Questi cambiamenti riguarderanno inevitabilmente anche la realazione tra cittadini e pubblica amministrazione.

Questi cambiamenti sono e saranno finalmente "possibili" per alcuni, e "necessari" per altri. Sono e saranno favoriti da chi e' gia' mentalmente predisposto, ed ostacolati dagli altri.
Sono e saranno cavalcati rapidamente e perfino sfruttati a proprio favore da alcuni, e affrontati con enorme resistenza e subiti da altri.

Non e' e non sara' nemmeno possibile delegare qualcuno che lo faccia per noi. In azienda come nella vita quotidiana, non puo' bastare il collaboratore volenteroso, o il figlio giovane e intraprendente. E' qualcosa che riguarda ognuno di noi, direttamente.

Data la portata di questi cambiamenti, nessuno potra' singolarmente deciderne il corso: si puo' e si potra' solo comprenderli ed assecondarli, o ritardare il proprio coinvolgimento (inutilmente) e utilizzarli male. Sia a livello di singolo individuo, che di paese intero.

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Nemmeno e' possibile immaginare un percorso formativo, anche se il nostro fosse un paese in cui la formazione non sia stata ridotta ad una farsa, perche' stiamo parlando di capacita' profondamente connesse alla natura dell'uomo, che da un lato tutti gia' le possiedono, e dall'altro e' la consapevolezza l'unico fattore che manca "a chi non sa".

Stiamo parlando di qualcosa che assomiglia molto a come andare in bicicletta. E' facile, facilissimo, banale per chi ha gia' imparato. Tutti possono farlo, e tutti effettivamente ci riescono. Pero' non esistono mauali per andare in bicicletta. L'unica e' provare, cadere forse le prime volte, e poi scoprire facendo, come si fa. Osservare una persona che ci mostra come si fa e' insufficiente: puo' solo accendere la voglia di provare.

Non servono quindi tanti corsi ne' tanti manuali di istruzioni (ma un po' di strumenti di facilitazione si), se c'e' l'interesse, la motivazione. Tutti oggi si iscrivono a facebook, perche' ci sono i loro amici, perche' tutti dicono che si divertono, perche' ne parlano anche i giornali. Nessuno ha insegnato loro come si fa, eppure si iscrivono e partecipano. E se si tratta di perdere qualche ora all'inizio a capire come fare in certe situazioni, ebbene scelgono di perderla senza remore.

Occorre quindi che scatti una spontanea determinazione. Di questo c'e' bisogno, piu' che di formazione: della creazione di un contesto favorevole e, si potrebbe dire, intrigante.

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Eppure la tecnologia pone sempre delle questioni per gli utenti. Ci si puo' collegare, quanta banda serve? Serve un computer o basta uno smartphone? Quale contratto con l'operatore di telefonia, a quale costo? Quale software? E la privacy? E la netiquette? E come faccio a vedere chi fa cosa? E chi e' ipovedente?

La Pubblica Amministrazione, che per definizione deve erogare un servizio pubblico, deve evidentemente porsi queste domande. Opensource o l'offerta chiavi in mano di qualche grosso vendor? di quale infrastruttura e' dotato un territorio e, soprattutto, chi la controlla? quale terminale possiamo immaginare che abbia l'ultimo dei pensionati e dei giovani in eta' scolare? Quali regole di accessibilita' dei contenuti?

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Farsi prendere dalle questioni tecnologiche, cruciali perche' inerenti l' "abilitazione" di tali servizi, non deve pero' distogliere dalle questioni effettivamente piu' fondamentali.
Quali servizi innovare? Come ottenere un effettivo taglio di costi a parita' di qualita' di servizio erogata, se non maggiore? Come favorire e in un certo senso sfruttare l'accresciuta partecipazione dei cittadini? Come innescare un virtuoso circolo di dialogo e conoscenza reciproca tra Pubblica Amministrazione e cittadinanza, che possa di fatto migliorare l'indirizzo della prima e quindi la soddisfazione dei secondi, che in gergo viene chiamata "edemocracy"?

I servizi che raggiungono piu' spesso la ribalta gia' oggi, sono sostanzialmente quelli che consentono
- il presidio del territorio da parte dei cittadini stessi, in materia di ordine pubblico e controllo dell'efficienza dei pubblici servizi decentrati
- la trasparenza sulle attivita' svolte dagli organi politici, e dai politici in particolare, in modo da assicurare la rappresentanza degli stessi dopo le elezioni
- la diffusione di informazioni utili tra cittadini, e con i referenti del servizio pubblico, in modo da aumentare la conoscenza del contesto reale, e assicurare che il pubblico servizio sia sempre piu' adatto a fornire risposte efficaci

La maggior parte di queste iniziative sono registrate all'estero, ma anche in italia qualcosa si sta muovendo. Esiste una differenza culturale tra questi paesi, oltre al gap tecnologico che comunque va considerato? Soprattutto c'e' abbastanza divulgazione di queste iniziative cosi' che gli italiani sappiano cosa effettivamente si puo' fare fin da oggi?

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Infine, con questi presupposti, si apre alla Pubblica Amministrazione la possibilita' di erogare un ulteriore tipologia di servizi: liberare i dati in proprio possesso. Si tratta di quantita' impressionante di dati, che riguardano un po' tutto, le persone, l'ambiente, l'economia...

La conoscenza di questi dati e' cruciale perche' la cittadinanza possa effettivamente conoscere se' stessa e il contesto in cui vive e lavora. Si innesca cosi' un processo virtuoso che potrebbe generare nuovi servizi, e migliorare quelli esistenti, e rendere le stesse decisioni, prese a vari livelli, piu' appropriate ed efficaci.

D'altra parte la circolazione di questa ulteriore massa di informazioni pone e porra' problemi analoghi a quanto abbiamo gia' visto nella prima fase di espansione di internet. A poco sara' servito se i dati liberati non saranno reperibili, consultabili e facilmente elaborabili. Occorre quindi assicurarsi che lo sforzo sia "utile" e che il risultato non sia fonte di piu' problemi di quanti non ne risolva.

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Un'ultima considerazione, su questo tema, rilancia una visione di maggiore prospettiva. Possiamo aumentare la conoscenza fattuale, sia in termini di servizi che di dati grezzi, ma siamo consapevoli che e' la capacita' di elaborazione di conoscenza la vera sfida che ci viene posta oggi? Se l'economia della conoscenza e' quella in cui viviamo, e vivremo sempre di piu', non e' forse arrivato anche il momento di ragionare veramente in termini di nuove professionalita', nuovi settori economici, e di nuovi parametri della qualita' della vita?

mercoledì 5 gennaio 2011

Verso una piramide piu' alta di quella di Maslow

Prevedere cosa succedera' nel 2011 e' un po' come fare l'oroscopo: o perche' si scrivono scontate banalita', o perche' si azzarda uno scenario che sara' presto verificato, la propria reputazione potrebbe rapidamente portarsi ai livelli del mago Otelma.

Il mio pensiero quindi non si limita al 2011, e non formula tanto una previsione quanto un auspicio. E dal momento che viviamo in un mondo fortemente interconnesso, non mi concentrero' solo sul settore delle tecnologie digitali: in contraddizione con coloro che credono che l'innovazione sia dettata dalla tecnologia, cerchero' di riconoscere trend economici e sociali piu' generali, e di utilizzare l'emergenza di nuove tecnologie come verifica di quei trend. Faro' quindi riferimento ad una nuova tipologia di "bisogni ecosistemici", che Maslow aveva semplicemente escluso terminando la sua piramide al quinto livello, perche' a quel tempo non c'era sufficiente diffusione di ricchezza, la maggioranza non aveva ancora potuto scalare i primi gradini della piramide, e gli equilibri mondiali erano decisi esclusivamente nelle stanze dei bottoni. Solo oggi questi nuovi bisogni stanno emergendo, e possono e dovranno essere posti a motore dell'economia prossima futura.

Con riferimento alle tecnologie, questi bisogni emergenti hanno determinato il successo delle tecnologie "social" in questi anni, e nell'immediato futuro saranno la spinta per una sempre maggiore diffusione delle tecnologie per l'interconnessione di ecosistemi territoriali, ad incominciare dall'"internet delle cose". Il trend dovrebbe essere: "real life vs internet" > "life streaming on internet" > "living in augmented reality" > new eco living using internet as one of the supporting technologies.

Mi spiego meglio. Che ci sia un radicale cambio di civilta' in atto, qui in occidente, e' indubbio, tant'e' che ancora usiamo l'espressione "post industriale", perche' evidentemente sappiamo solo esprimerci su cosa non c'e' piu'. L'equilibrio precedente dipendeva dalla compresenza nello stesso territorio di un livello minimo di capitale, impianti produttivi e consumatori: quando la produzione ha iniziato ad essere pesantemente delocalizzata, e la crescita delle multinazionali ha trasferito il centro di comando in un iperuranio sovranazionale, sappiamo bene che il meccanismo si e' rotto. Concentrazione, consumo, e individuo sono schemi mentali in declino.

L'avvento dell'"economia della conoscenza", o di altri asset immateriali (dalla capacita' di innovazione alla capacita' di relazione con il crowd), non ha portato ad una nuova fase economica, come il termine suggeriva equivocamente, perche' non puo' esserci una nuova economia di mercato centrata sulla conoscenza, pur essendo la conoscenza fattore chiave in qualunque economia emergente. Siamo infatti convinti che lo sviluppo e l'utilizzo di conoscenza, che l'intelligenza collettiva, che la forza della rete non possano esprimere il proprio potenziale al massimo se non a condizione di essere preservati dalle implicazioni economiche e dalle logiche di business.

Dunque quale modello economico e sociale possiamo augurarci di vedere emergere (qui in occidente, in europa, in italia), a partire dal 2011, almeno a parziale integrazione del precedente, i cui prodromi sono gia' in qualche modo riconoscibili? Un sistema economico profondamente diverso, dove sono indirizzati bisogni della collettivita' prima che individuali (fabbisogno di energie pulite, salvaguardia dell'ambiente, servizi sociali in tutti i campi dalla sanita' alla sicurezza, momenti di socializzazione...). Bisogni che Maslow non aveva previsto, troncando la propria piramide al quinto livello, ancora basato sul "self".

Bisogni che essendo quindi "tipicamente territoriali" non possono che essere realizzati (completati) ed erogati "in loco", garantendo un maggiore equilibrio economico a livello locale. Infatti l'adattamento al contesto locale renderebbe inevitabile l'impiego di competenze e componenti autoctone, sarebbero necessari produttori di componenti e adattaori, e installatori e manutentori, esperti di usi e culture territoriali, tutti rigorosamente "locali". A questi bisogni, infatti, corrisponderebbero nuovi "servizi ecosistemici", e non solo quelli relativi agli ecosistemi ambientali anche se probabilmente analizzabili con analogo approccio. Questi servizi sarebbero resi disponibili da un comparto economico comprendente un indotto di proporzioni potenzialmente gigantesche, e darebbero vita veramente ad una nuova economia, un'"economia di ecosistema".

Naturalmente le tecnologie utilizzate e le metodologie consolidate possono (e devono) essere sviluppate grazie all'intelligenza collettiva globale e all'eccellenza di paesi tecnologicamente avanzati, i quali potrebbero adottare una logica produttiva industriale per l'hardware, e di tipo "opensource" per il software (per esempio l'energia da correnti marine dai paesi baltici, il fotovoltaico di nuova generazione americano, la bioingegneria italiana, i nanomateriali tedeschi, l'elettronica di consumo asiatica, e far girare tutto sul cloud e con l'opensource prodotto in rete...), garantendo contemporaneamente un basso livello dei prezzi dei componenti di primo livello, e possibilita' di investimento in ricerca per le infrastrutture.

E per quanto riguarda gli scenari digitali? la tecnologia utilizzata sara' profondamente cablata nel territorio, e contemporaneamente connessa in rete. Sappiamo che le tecnologie digitali hanno abilitato da tempo lo sviluppo della dimensione del "noi", della relazione, della condivisione, e che dal virtuale si stanno spostando nel reale e locale. Se questa e' la direzione, allora esploderanno presto tutte le tecnologie che vanno oggi sotto il nome di "internet delle cose", e che stanno gia' rendendo possibili radicali trasformazioni di settori quali la domotica, il monitoraggio di cose e persone per motivi di sicurezza o di tracciabilita', il settore della mobilita', i servizi sociali in house, il telelavoro, la produzione locale di energie pulite, l'intelligence basata sulla consultazione del crowd...

Quanto di tutto questo potrebbe accadere nel 2011? Poco, anzi pochissimo. Ma se a fine anno andremo a fare shopping solo dopo un giro su "Street View" e nella vetrina degli e-shop, e troveremo online le informazioni dei cittadini che si sono gia' orientati nei recessi della burocrazia della PA e le hanno condivise, e ci regoleremo nei nostri spostamenti con i servizi di geolocalizzazione e car-pooling risparmiando cosi' qualche decina di euro a settimana, e le nostre aziende realizzeranno prodotti e servizi che terngono conto delle banche di open data nel frattempo liberati... avremo fatto tutti noi un piccolo passo avanti nella direzione di un grande balzo per l'umanita'. E non stiamo parlando della luna, ma della nostra terra.

[pubblicato in Scenari Digitali 2011]

venerdì 22 ottobre 2010

Reti in azienda, reti tra aziende: un altro passo importante nella valorizzazione di ecosistemi 2.0

Ieri a SMAU Milano 2010, si e' tenuto il ciclo di interventi sul tema "Reti in azienda, reti tra aziende", promosso da Ecosistema 2.0, e che ha compreso gli interventi di:

- Mario Gastaldi: Reti…tra le Imprese e all’interno delle Aziende: Facilitazione di interazioni per la costruzione di Reti (slide)
- Stefano Schiavo: Diventare "surfisti": il 2.0 nello sviluppo organizzativo (slide)
- Emanuele Quintarelli: Il Social CRM mette l’individuo al centro del business (slide)
- Michele D'Alena: La comunicazione nei social media di una rete d’imprese: l’esempio della Camera di Commercio Italiana in Slovacchia (slide)
- Michele Vianello: Investire in Enterprise 2.0 per competere sul mercato globale VEGALAB: l’innovazione di processo produttivo per le PMI (slide)
- Gino Tocchetti: Reti in azienda, reti tra aziende: Reti per l'aggiornamento professionale (slide), insieme a Christian Zocchetta: Il Social Network dei Gruppi di Studio in CPV (slide)

L'evento ha suscitato un grande interesse come dimostrato dall'affluenza e dal prolungarsi dell'open talk finale, che e' finito alle 17:30 invece che alle 17. Anzi proprio quest' ultimo spazio e' stato particolarmente apprezzato, cosa che rende particolarmente orgogliosi visto che nelle iniziative di Ecosistema 2.0 si cerca proprio di scardinare gli schemi classici dei seminari (un po' troppo chiusi e frammentati), senza pero' arrivare all'approccio completamente destrutturato dei barcamp.

L'organizzazione di SMAU, e in particolare Erika Maiutto e Valentina Sorgato sono state bravissime e disponibilissime, e insieme abbiamo concordato un format perfettamente inserito nella efficace soluzione dell'Arena, gia' collaudata nelle precedenti edizioni di Padova e Bari, eppure con un paio di elementi rappresentativi dell'approccio di Ecosistema 2.0, appunto, quali il momento di discussione aperto ed esteso quanto piu' possibile, e la concentrazione in una finestra temporale limitata (in questo caso dalle 13:30 alle 17) di una serie di interventi congeniati per dare piu' punti di vista e differenti piani di lettura sullo stesso tema.

Questa volta spero di poter tornare con diversi post sull'esperienza allo SMAU, come avrei voluto fare anche in passato, negli interventi nel Veneziacamp del 2009 e 2010, senza pero' riuscirci. Queste esperienze che sto facendo con Ecosistema 2.0 sono infatti piacevolissime, grazie agli amici che partecipano come relatori e come pubblico attivo, e tra l'altro mi permettono di conoscere e apprezzare anche meglio le persone che stanno dietro ai loro avatar e alle loro prestazioni professionali e di internet startupper. Ma sono anche estremamente preziose per comprendere proprio le articolate dinamiche della rete che si forma tra queste persone e questi professionisti, e che puo' quindi fare da riferimento per molte altre reti analoghe.

Ad un certo punto, dal pubblico e' arrivata la domanda "A chi dovrei dare fiducia, visto che ci state proponendo diverse figure consulenziali, tutte esperte sul tema delle reti?". Mi sono sentito sinceramente di raccomandare gli autori dei brillanti interventi appena ascoltati, che stimo moltissimo e il cui valore e' testimoniato proprio dalla rete stessa. Ma proprio per la considerazione che facevo sopra, e quindi, nel progettare (piu' corretto sarebbe dire attivare) una rete, chiederei un parere soprattutto a chi la rete la fa davvero, dal momento che le competenze richieste sono cosi' diversificate (metodologiche ma anche emozionali, comunicative ma anche tecniche) e la loro effettiva padronanza non discende automaticamente dalla conoscenza teorica, e non puo' essere testimoniata che dal raggiungimento di risultati concreti in iniziative di rete.

Ieri e' emerso (un pezzo del)l'ecosistema di chi si fa parte attiva nella generazione e sviluppo di reti tra professionisti e aziende. Non hanno dato solo un contributo individuale, ma hanno collaborato apertamente e gioiosamente nelle fasi preliminari, mettendo da parte la proverbiale propensione a considerarsi primedonne, e dimostrando di aver compreso il valore di fare rete. Voi direte che e' il minimo che ci si possa aspettare da chi pensa di poter parlare di reti, ma vi assicuro che invece e' il frutto di profonda consapevolezza, e di un approccio collaudato nel tempo.

Per questo spero di raccontarvi un po' della storia di Ecosistema 2.0, perche' credo che sia istruttiva su quali opportunita' e ostacoli si possono incontrare, e come si possono affrontare efficacemente. E ringrazio a maggior ragione tutti coloro che hanno preso parte a questa storia, e che hanno permesso che diventasse significativa, e che ci portasse fino a questo punto. Non so qual'e' la destinazione di questo percorso, o anche sapendolo non so se ci arriveremo, quando e come: pero' so che e' un bel percorso!

venerdì 27 agosto 2010

Enterprise 2.0 per le PMI: come non vederlo?

Il tema dell'Enterprise 2.0, la versione "aziendale" del "web 2.0", e' finito da tempo nelle mani dei "comunicatori" ed e' stato quindi prima abusato (e tuttora lo e'), che gia' rischia di essere "consumato" e "rottamato". Per certi aspetti, chi si occupa di Enterprise 2.0 commette spesso proprio l'errore che dovrebbe insegnare a non fare: "non comunicarlo soltanto, ma applicarlo effettivamente a se' stessi".

Andrew Mc Afee, colui che ha coniato il termine nel 2006 e la cui biografia merita sempre una veloce ripassata, spiega anche nel suo ultimo libro ("Enterprise 2.0: New Collaborative Tools for Your Organization’s Toughest Challenges", Harvard Business Publishing, Novembre 2009), attraverso esempi concreti, che non e' solo una questione di comunicazione (*), anzi
These examples will show how leaders are applying new tools, new approaches, and new philosophies to challenges such as accurately predicting the future (in domains where traditional forecasting methods have a poor track record); creating, gathering, and sharing knowledge; increasing rates of innovation; locating answers and expertise; and identifying and solving problems more quickly

e che l'approccio a questi nuovi modelli e tecniche, presuppone una cultura ed un'esperienza coerenti, tali da costituire un'attitudine, perche'
this trend is the use of technology to bring people together and let them interact, without specifing how they should do so. While this sounds like a receipe of chaos, it's actually just the opposite; the technology of Web 2.0 and Enterprise 2,0 has the wonderful property of causing patterns and structure to appeare over time, even though they are not specified up front.

Per capire meglio questo, e quanto sia piu' significativo proprio in una piccola impresa, approfitto dell'ottimo esempio illustrato da Alessandra Farabegoli, tratto dall'esperienza fatta questa estate. Ripropongo di seguito il "caso" di Alessandra, e, seguite da ">", l'interpretaziona piu' in generale, che dovrebbe facilitare la riusabilita' di questa esperienza nel contesto di altre piccole e medie aziende.

Alessandra deve organizzare le proprie vacanze estive, e vorrebbe passarle in un agriturismo. La prima cosa che Alessandra ha fatto e' chiedere pareri utili "pubblicamente" su Friendfeed, un social network che facilita la conversazione tra amici e sconosciuti
> Prima di ogni forma di pubblicita', si rivolge al passaparola di persone note, o perlomeno "non interessate"
> Occorre riconsiderare l'investimento in promozione sui media tradizionali, destinando una quota ai nuovi media, considerata la loro grande efficacia

Alessandra sceglie la destinazione facendosi ispirare dal "racconto di una mamma come lei", e dalla sua precedente esperienza. Cosi' facendo Alessandra "compra" innanzitutto "il tipo di vacanza" che riconosce essere un buon compromesso tra quello che le serve e quello che le piace.
> Nei nuovi media, la qualita' del servizio e dell'esperienza che altri clienti testimoniano, e' fuori dal controllo diretto del fornitore, proprio perche' la testimonianza e' spontanea.
> Non si tratta quindi di progettare una comunicazione diretta, ma una relazione di fiducia con chi poi si attivera' spontaneamente nel testimoniarla
> In questa prima fase, del resto, non e' subito in gioco la vendita, ma la possibilita' di intervenire sui primi passi del processo di selezione del cliente. I fornitori direttamete concorrenti, in questa fase, possono essere perfino alleati, "per vincere la competizione con altre reti di concorrenti".

Procedendo nella selezione, Alessandra entra in contatto coi singoli fornitori via web, e via via scarta quelli che non sono facilmente identificabili, o contattabili, o che forniscono informazioni in modo incompleto, o con una modalita' poco soddisfacente. Altri fattori potrebbero condizionare la scelta finale (come la posizione geografica nella valle) ma nessuno risulta pesare quanto la velocita' e la qualita' del primo contatto. Alla fine la relazione con la persona di Frau Hilda sara' decisiva.
> Sempre piu' spesso il cliente sceglie in base alla qualita' dell'esperienza, che inizia fin dai primi contatti col fornitore. Questo vale soprattutto nei casi in cui il prezzo non e' il fattore chiave, o perche' non ci sono sostanziali differenze, o perche' il cliente ha individuato - vedi passo precedente - quale livello di prezzo gli sembra congruo.
> Perche' il fornitore sia in grado di garantire una elevata qualita' del servizio, deve essere ovviamente organizzato per farlo. Inoltre occorre utilizzare i mezzi di comunicazione piu' adatti, e le possibilita' di interazione via web sono imbattibili dal punto di vista della velocita' e della personalizzazione della risposta. Occorre pero' che le informazioni siano disponibili in azienda velocemente, che siano comunicate con trasparenza, che siano pronte risposte alle piu' diverse richieste a conferma che le necessita' del cliente sono ascoltate e tenute in considerazione, che il punto di contatto sia preferibilmente unico, che il rapporto sia "ad personam", che la traccia delle comunicazioni sia registrata, (in modo) che la relazione col cliente sia empatica...

Le conclusioni sono gia' molto ben riassunte da Alessandra, che in particolare sottolinea:
Insomma, la valle vince su tutti e tre i fondamentali ("creating a safe, clean and friendly environment") indicati da Beth Freedman in un articolo su Marketing:travel e richiamati da Roberta Milano in un suo recente post. [...]
Certo, dalla Val Casies non escono esempi di campagne marketing particolarmente innovative; ma, come scrive oggi Augie Ray sul Forrester Blog,
Do you want people buzzing about your marketing or about your product or service?

Aggiungo solo alcune utili considerazioni "di progetto".
- La tecnologia puo' essere veramente molto economica dal punto di vista dei costi e del tempo speso, ma occorre sapere cosa usare e come: purtroppo, proprio quando i budget sono risicati, gli errori potrebbero rendere facilmente l'investimento, anche se sempre contenuto, non piu' sostenibile.
- Il linguaggio e le modalita' di comportamento in rete richiedono un minimo di pratica. E' quindi opportuno esercitarsi inizialmente in un ambiente protetto.
- La propensione alla qualita' del prodotto/servizio dev'essere onestamente un valore gia' acquisito nella cultura aziendale, perche' imbrogliare su questo non e' possibile, e anzi sarebbe molto controproducente
- L'organizzazione interna potrebbe richiedere una minima revisione, a condizione che sia gia' orientata da tempo a facilitare e valorizzare l'ascolto del cliente
- Relazione ed empatia saranno variabili cruciali, quindi occorre farsi un esame di coscienza e individuare e risolvere eventuali difetti nella relazione col cliente, precedentemente sottovalutati
- Ultimo, ma non meno importante: considerare la relazione con tutto l'ecosistema coinvolto, e non solo col potenziale cliente. Perfino fare rete col diretto concorrente puo' aiutare a raggiungere un maggiore successo (e piu' spesso di quanto non si creda).

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(*) A questo proposito si veda anche l'efficace diagramma di Susan Scrupski.


mercoledì 25 agosto 2010

Sciami e glomeri: gradi di coagulazione nella rete liquida

David WeinbergerVi segnalo questo bell'articolo di Giorgio Jannis sulla grumosita' della rete. A differenza del modello dei padri di internet (vedi Small Pieces Loosely Joined), a mio parere non ancora confutato, da tempo si stanno manifestando in rete, con sempre maggiore evidenza, modelli comportamentali generali che riportano alle consuetudini ante-internet. Altrove avevo indicato questo come il fatto (il rischio) che "il territorio si riperenda la rete", e l'avevo contrapposto all'obiettivo che "la rete si diffonda nel territorio", su cui si fonda il progetto "ecosistema 2.0".

Questa evoluzione non e' poi cosi' sorprendente, e in un certo senso porta ad una maggiore evidenza fenomeni che erano gia' latenti, o proprio presenti anche se in misura minore, fin dall'inizio. Volendo cogliere l'importanza di quanto veniva consentito per la prima volta nella storia del genere umano, grazie alla Rete, la presenza di questi fenomeni anche in Rete, e' stata (giustamente) poco considerata finora. Ma la diffusione di internet, e in particolare l'affermazione dei social network (facebook e gli altri), sta rendendo necessaria una maggiore attenzione. La rete e' liquida, si, ma ci sono numerosi fattori di coagulazione.

Inizialmente, in una prima era della Rete, una moltitudine di persone estremamente variegata (nessuna categoria esclusa), si ritrovava in un luogo virtuale ben preciso, riportando quindi la sensazione di un circolo apparentemente ristretto, accomunata non dai propri interessi specifici, ma dall'uso di un particolare strumento di comunicazione e socializzazione. In questo caso il mezzo non era solo il messaggio, ma perfino la classe, anche se, proprio per la sua disomogeneita' intrinseca, una classe senza identita' politica ed economica.

Ora che lo strumento in se' non e' piu' cosi' innovativo, e la diffusione del suo utilizzo e' tale da risultare quasi scontato, il semplice fatto di essere in rete non ha piu' alcun significato rilevante, ne' tanto meno risponde ad una ricerca di identita' o al bisogno di autoaffermazione. I social network in particolare, hanno reso una commodity l'appartenere ad un network. Altri sono quindi i motivi che portano ad aggregarsi in rete, e ritornano ad essere quelli di sempre: la rete ridiventa un semplice facilitatore.

Nonostante questo, e come Giorgio sottolinea nel suo articolo, riprendendo tra l'altro quello di Galatea, il valore della rete rimane nell'infrangere le barriere, nel rompere le scatole, nel gettare ponti, nello scavalcare i recinti dei giardini chiusi, nell'ibridare, nel far fluire e rigenerare la conoscenza, nel garantire dialogo confronto ascolto, nello scatenare creativita', pensiero laterale, visione a 360 gradi. Se tutto questo, nella prima era di internet, era quasi intrinseco alla rete stessa, adesso dipende dall'azione specifica di chi la vive e in essa agisce. Stiamo passando da una fase in cui la rete era un dato di fatto, ad una in cui la rete ritorna ad essere un atto da fare.

Divengono perciò importanti, sulla rete, ai fini della diffusione dell’informazione, quegli individui che hanno molteplici interessi, molti contatti e in qualche modo partecipano a molte cerchie trasversali. Questi possono permettere che informazioni presenti solo nella cerchia A passino anche alla cerchia B, che, altrimenti, potrebbe bellamente ignorarle. Non necessariamente costoro sono i cosiddetti “guru” del web, o blogstar: anzi, di solito l’autore di un sito o di un blog tende a crearsi una personalità ben riconoscibile, e affrontare quindi solo determinati argomenti. Questi “ponti” fra le cerchie possono essere anche personaggi molto anonimi: basta che la loro rete trasversale di contatti permetta di innescare, per effetto domino, una specie di tam tam in ambienti che solitamente non sono in contatto. Un po’ come la vecchia fantesca del villaggio, che nessuno considerava un personaggio importante, ma, andando di casa in casa, finiva col diffondere in tutti gli strati sociali le novità del giorno. Internet è un villaggio globale. In tutti i sensi.

via NuoviAbitanti: Socialità in Rete di Giorgio Jannis

Leggete anche tutto l'articolo da cui parte a sua volta Galatea, di Ethan Zuckerman, dal titolo originario "A wider world, a wider web", e tradotto sulla Stampa.it.

martedì 17 agosto 2010

Fattori chiave per un "vero" Enterprise 2.0

Introdurre in azienda "effettivamente" l'Enterprise 2.0 non e' una questione di tecnologia o di marketing, ma ha piu' a che fare con il "ripensamento dell'intera azienda". Questa e' un'affermazione che ormai viene ripetuta spesso nel settore, e quindi non dovrebbe piu' sorprendere.

Questo ripensamento puo' (e deve) richiedere molto tempo: ma della sua pervasivita' se ne puo' stare certi. Si potrebbe quindi gia' concludere che l' Enterprise 2.0 non e' per tutti, ma per coloro, aziende o persone, che hanno gia' maturato la volonta' di un cambiamento profondo, oppure e soprattutto, che avendolo gia' avviato, lo vogliono sostenere con metodi e tecniche appropriate.

Se non siamo in uno di questi due casi, e anzi c'e' qualche radicata abitudine e profondo convincimento che tale cambiamento e' vissuto come un "male necessario", e' importante non illudersi che l'introduzione in azienda di nuove tecnologie abilitanti, e di qualche nuovo modello comportamentale basato sulla condivisione (semplicmente scritto in qualche procedura interna), saranno sufficienti a scatenare il cambiamento atteso. Tanto meno in poco tempo.

Quali sono quindi i fattori chiave per un "vero" Enterprise 2.0, che vanno verificati come esistenti o desiderati prima di incominciare? Ci aiuta questa check list di Deb Lavoy, ora Product Marketing for Social Media in OpenText.

1) Il valore deve essere riconosciuto a chi condivide, non a chi si rende collo di bottiglia.

2) La perfezione, l'esattezza non esistono, ne' lo saranno mai. Questo non significa che l'approssimazione e l'incompetenza debbano prendere il sopravvento, ma che il timore per le critiche e gli insuccessi non deve rallentare e compromettere la determinazione nell'innovazione e nella ricerca di miglioramento. Inutile quindi negare e nascondere cosa e' andato male. Naturalmente bisogna quindi dimostrare di sapere imparare (bene e presto) dagli errori fatti (detto anche "fail fast")

3) Dal punto precedente, consegue anche che si puo', e si deve essere trasparenti. Piu' facilmente e utilmente, internamente all'azienda.

4) A cascata dai punti precedenti, si puo' e si deve aumentare la partecipazione. Occorrono piu' punti di vista, piu' capacita' creativa, piu' conoscenza "di insieme": piu' partecipazione non e' solo sintomo e causa di un maggiore benessere aziendale, ma di maggiore efficienza e profitto.

5) E il capo che fine fa? (in molti se lo staranno chiedendo). Il vero capo e' riconosciuto per la capacita' di inquadrare il contesto, coinvolgere le persone e orchestrare l'azione. E' una rara combinazione di affidabilita' e umilta'. Charlene Li la chiama Open Leadership (vedi qui sotto una presentazione del suo ottimo libro omonimo ). Un'altra persentazione di Deb Lavoy qui.

6) A questo punto un reale modello collaborativo puo' attivarsi, in cui sono valorizzati i punti di forza dei singoli, e sminuiti quelli di debolezza. Purche' ci sia:
  • Una missione condivisa
  • Rispetto reciproco
  • Fiducia
  • Determinazione in un continuo miglioramento

Dunque i modelli che finora hanno dominato in azienda ("comando e controllo", "divide et impera" ...) sono da abbandonare definitivamente? Ci sono contesti e contesti: l'importante e' riconoscere che in nuove situazioni, e fronteggiando nuovi problemi, un nuovo approccio e' possibile.

martedì 22 giugno 2010

Ecosistemi aumentati: reti che attivano territori

Anche quest'anno, nell'ambito del VeneziaCamp2010 (dal 1 al 3 luglio, all'Arsenale), il network "Ecosistema 2.0", e' stato invitato a coordinare un evento di sensibilizzazione e diffusione dei modelli a rete aperta e sociale, cosi' come sono promossi e sostenuti da internet, e che abbiano incidenza nel territorio.
L'evento sara' il giorno venerdi 2 luglio, dalle 9:30 alle 18.

Il tema di quest'anno, coerentemente con la trasformazione del Veneziacamp in Festival dell'innovazione digitale, e' "Ecosistemi aumentati: reti che attivano territori" ed e' dedicato a tratteggiare lo stato dell'arte nello sviluppo di reti aperte nei territori. Fa dunque seguito a quello della passata edizione del Veneziacamp, dedicato alla Cittadinanza DIgitale, e che aveva il titolo "Civicita': una citta' glocale tra reale e virtuale".

Sara' anche l'occasione per un'altra grande festa del social business networking con gli amici, vecchi e nuovi.

L'evento e' organizzato in 4 panel distinti ma non separati, che andranno a costituire una "valigetta degli attrezzi" per chi si occupa di reti nei territori. I temi e i contributi invitati (in ordine alfabetico) sono:

1) Motori di sviluppo e sostegno di reti aperte nei territori
modera: Gino Tocchetti (Ecosistema 2.0)
- Alberto Cottica (Kublai, Min Sviluppo Economico)
- Flavia Marzano (District Lab, Sardegna Ricerche)
- Gabriele Persi (Area Science Park, Trieste)
- Ilda Mannino (Center for Thematic Environmental Networks, VIU)
- Marco Combetto (Informatica Trentina, Trentino as a Lab)
- Michele Vianello (Parco Scientifico Teconologico VEGA, Venezia)
- Paolo Privitera (internet startupper)

2) Sostenibilita' economica delle reti territoriali aperte
modera: Marina Trentin (environment and international cooperation)
- Gianfranco Padovan (EnergoClub Onlus)
- Gloria Testoni (Distretto di Economia Solidale di Verona)
- Mariano Carozzi (Prestiamoci.it)
- Marco Gialdi (Ufficio Sostenibile)
- Nicolo' Borghi (The Hub Milano)
- Stefano Corro' (Rete Energie)

3) Nuovi servizi territoriali a rete aperta
modera: Rachele Zinzocchi
- Alberto D'Ottavi (Blooming)
- Alessandro Cappellotto (Zooppa)
- Dario Bonaldo (Seedelio)
- Linnea Passaler (Pazienti.org)
- Walter Giacovelli (LoAd), Susanna Cristalli (Qype)
- Matteo Brunati (open web addicted)

4) Nuove culture per le reti aperte
modera: Maddalena Mapelli (Ibridamenti, Universita' di Venezia)
- Emilia Peatini (Rete Storia), Franco Torcellan (Agenzia per la scuola), Dino Bertocco (Aequinet)
- Emina Cevro Vukovic (LunediSostenibili.org)
- Maria Cristina Frigna (Villaggio Artigianale - Cities, Comune di Modena)
- Michele D'Alena (Laboratorio TagBologna, Universita' di Bologna)
- Stefano Bellanda, Andrea Celli (Intercultural Lab, Universita' di Padova)

Ogni giro di presentazioni (brevi, secondo una versione "italianizzata" di ignite) e' seguito da uno spazio di approfondimento e discussione con i partecipanti a qualsiasi panel, mantenendo cosi' integro il fil rouge della giornata.

Si prega di dare conferma sulla pagina dell'evento, creata su facebook (http://www.facebook.com/event.php?eid=107020039346666). Tutti i dettagli sono sulla pagina ufficiale del VeneziaCamp2010, all'indirizzo (http://www.veneziacamp.it).

"Ecosistema 2.0" (http://www.ecosistema20.it,
http://www.facebook.com/ecosistema20) e' un think-tank non convenzionale, sostenuto da una rete di social business networking, che focalizza (dall'inizio 2009) su un tema, la convergenza dell'ecosistema tradizionale e territoriale, e quello digitale, non altrimenti adeguatamente considerato.

La rete che si aggrega intorno a questo progetto, e' aperta trasparente partecipativa e basata su principi di fiducia e generosita', e per questo non confligge ma fa sinergia con altre iniziative che sono coerenti con questo approccio. Lo stesso evento in questione e' da intendere come un dono a tutti coloro che credono nel potenziale delle reti diffuse nel territorio, e intendono adoperarsi per lanciare iniziative di questo tipo.

Si prega di dare conferma sulla pagina dell'evento creata su facebook (http://www.facebook.com/event.php?eid=107020039346666). Tutti i dettaglisono sulla pagina ufficiale del VeneziaCamp2010, all'indirizzo (http://www.veneziacamp.it).

A presto a Venezia! ...e mi raccomando, spargete la voce ;-)

mercoledì 2 giugno 2010

Essere, comunicare/apparire o relazionare

Rispondo a Luca e al suo articolo sul potenziale evocativo dei modelli culturali (e della democrazia presa ad esempio particolare), rispetto al caso - solo teorico - di una comunicazione perfettamente efficace. Lo invito a leggere tutto, anche perche' in poche righe condensa molti interessantissimi spunti, e perche' si chiude con parole molte belle (perche' Luca e' un "abile comunicatore" ;-):


L'idea che la democrazia viva di una comunità consapevole che sceglie in base a informazioni metodologicamente corrette è in larga parte una bella e buona utopia. Il che non ne riduce l'importanza. Semplicemente ci insegna a pensare che il bello e il buono di quell'idea che è già diventato realtà è meno grande di quello che resta ancora da costruire.

Almeno questa consapevolezza dovrebbe diventare largamente esplicita. Se vogliamo migliorare il modo che abbiamo di informarci. Per scegliere.

Dunque, grazie ad un background culturale comune, anche comunicazioni non proprio efficaci possono portare una societa' ad agire in modo sufficientemente coordinato, e a progredire in una direzione coerente con la cultura stessa prima ancora che con le comunicazioni che vi intercorrono (cosi' ho inteso il senso della nota).

Mara CarfagnaLuca LucianiMa in un contesto sociale come il nostro, dove la "comunicazione" ha assunto un ruolo cruciale da molto tempo, e' andata diffondendosi una certa padronanza dell'uso dei media e dei linguaggi, ed e' grazie a questa abilita' "tecnica" che si riescono a coordinare azioni e modelli di comportamento, non in base ad una "cultura" condivisa, a meno che non si voglia parlare di "cultura della comunicazione".

In questo particolare contesto, gli esperti di comunicazione, o semplicmente i competenti in materia, a qualunque livello della scala del potere, sfruttano intenzionalmente la comunicazione subliminale per indirizzare il meccanismo comunicazione-azione secondo scopi predefiniti, e poco condivisi consapevolmente.

Interessante sara' a questo punto, monitorare i cambiamenti prodotti dalla diffusione del "web partecipato", e la rivalutazione della "relazione" proprio come strumento di emancipazione di quella parte della societa' che era stata esclusa dalla leva del potere della "comunicazione". Assisteremo ad uno shift dalla cultura della comunicazione alla "cultura della relazione", e nasceranno nuovi professionisti, abili nell'utilizzo di tecniche nell'ambito delle relazioni sociali.

Il lato B e' che si trattera' ancora di culture fondate su un unico valore piuttosto superficiale: relazionare (al posto di comunicare/apparire). Si sviluppera' - io lo temo, non lo auguro - un modello di societa' ancora poco orientato a progettualita' di prospettiva, ad elaborare e sostenere "visioni del mondo" illuminate, e a dare risposte a problematiche complesse. Non piu' "avere o essere", e nemmeno "essere o apparire", ma "essere o relazionare" sara' il prossimo dilemma dominante (tutte rivisitazioni di "essere o non essere", comunque).

Inevitabile? No. Ma dobbiamo esserne coscienti. Questa volta giochera' in positivo il fatto che la relazione e' vincente se e' 1:1, dunque non si puo' "industrializzare" come la comunicazione. Ma dobbiamo anche essere consapevoli dei costi in termini di impegno personale che la relazione richiede, proprio per questo motivo: un impegno che sottrae evidentemente energie a qualcosa di piu' sostanziale e programmatico.

Sara' quindi importante non cadere nell'errore, anche se per motivi diversi, di considerare il "relazionare" (come oggi il comunicare, l'apparire) come un valore a se' stante, se non l'unico valore, e tenere distinto il piano valoriale da quello strumentale. Visto com'e' andata negli ultimi anni, se vogliamo dimostrare che abbiamo imparato la lezione (?), educazione e stimoli appropriati sul piano culturale dovrebbero ricevere la nostra massima attenzione. Altrimenti tra cultura della comunicazione e cultura della relazione, sempre di culture fondamentalmente tecniche staremo parlando.


martedì 25 maggio 2010

Internet Marketing: comunicazione e relazione nell'era di internet

L´avvento di tecnologie che hanno potenziato e rivoluzionato l´utilizzo di internet, e la conseguente diffusione di nuovi modelli comportamentali nei potenziali clienti e partner, rendono necessario e opportuno sfruttarne il potenziale in termini di accesso al mercato, i cui benefici possono ricadere su tutto il processo di relazione col cliente.

Nonostante internet sia un successo di partecipazione che si rinnova ogni anno, secondo una progressione sbalorditiva, nel contesto aziendale registriamo un tasso di confidenza con queste tecniche ancora piuttosto limitato, che apparentemente non si giustifica. Ci sono quattro ordini di ragioni, a ben guardare.

La prima riguarda la consapevolezza delle dimensioni raggiunte dal fenomeno internet, anche in Italia, e del tasso di crescita, che per imprenditori e manager ancora sostanzialmente "estranei", non sono immediatamente evidenti: un numero sempre piu' significativo di clienti, fornitori e collaboratori e' a portata di clic, ma spesso questo non e' chiaramente percepito.

La seconda riguarda la difficolta' di comprensione delle tecniche e i metodi con cui sfruttare questa opportunita' a vantaggio del proprio business, e su questo punto e' opportuno che molti evangelizzatori si interroghino sulla efficacia della loro intermediazione.

La terza riguarda l'effettivita' disponibilita' di servizi e strumenti che possano essere facilmente inseriti nel contesto e nell'organizzazione aziendale di piccola e media dimensione, che e' minore rispetto a quanto offerto al comparto delle grandi aziende, nonostante siano piu' significativi i vantaggi alla portata delle PMI.

L'ultima, ma non meno importante e forse addirittura prioritaria, e' una questione culturale, dal momento che a molti imprenditori e professionisti viene richiesto non solo di comprendere l'importanza della comunicazione, e oggi soprattutto della "relazione" col proprio mercato, ma anche di accettare la sfida della trasparenza, del dialogo, e in definitiva della riduzione del proprio controllo sui propri clienti, acquisiti e potenziali.

L'enorme valore che puo' essere liberato in internet, e in particolare nel web2.0, che oggi e' possibile anche per le aziende, richiede che siano messe al centro le persone, ovvero i clienti, ogni interlocutore di riferimento, e gli uomini che rappresentano le aziende stesse. Un passaggio che richiede capacita' di cambiamento e padronanza di nuove tecniche e metodi. D'altra parte, un passaggio a cui non ci si puo' sottrarre, senza perdere in competitivita', e quindi innanzi tutto in possibilita' di sopravvivenza, e poi di successo.

Queste considerazioni sono state sviluppate nella presentazione "Internet Marketing: comunicazione e relazione nell'era di internet", che si e' tenuta nella sede di Confindustria Padova Del. Ovest Colli giovedi scorso, di cui sono riproposte le slide qui di seguito. La presentazione introduce ai corsi del Catalogo Fòrema 2009/10, "L´impatto di Internet e dei new media sul marketing e sulla comunicazione delle imprese" (22/6/2010) e "Commercio in internet ed assistito da internet" (6/7/2010).



mercoledì 6 gennaio 2010

Lo zen e l'arte delle relazioni 2.0

amiciziaNelle scorse settimane, complice il periodo dei bilanci, e' rispuntata da piu' parte la questione del valore delle relazioni sociali ai tempi di internet (anzi qualcuno intendeva proprio ai tempi di facebook). Mi riferisco a Maria Laura Rodota' e Roberto Cotroneo che hanno lanciato strali contro il degrado e lo svuotamento delle relazioni "imposto" da internet/facebook. Mi riferisco anche alle risposte rapide e passionali, e a quelle piu' ponderate che si sono immediatamente sollevate in rete. E mi riferisco anche ad altri episodi vissuti sia in internet che dal vivo (nel territorio).

Si potrebbe discutere dell'equivoco banale che sta tutto nell'utilizzo del termine "friend", e ricordare che le piattaforme di social network sono americane, e quindi riflettono indubbiamente modelli culturali e scale prossemiche tipicamente americane. Senza fare di ogni erba un fascio, quel popolo sembra "ingenuo" e "superficiale nelle relazioni umane" a molti, cosa che inevitabilmente viene espressa nel linguaggio, cosi' che sia "friend" che "love" vengono usati nelle conversazioni quotidiane con grande leggerezza (e imbarazzo da parte di chi deve tradurre, qui in europa).

Eppure gli stessi americani si sono posti il problema di come cambiano le relazioni quando c'e' di mezzo internet - ed e' facile che l'idea della Rodota', di dare una lettura italiana, sia sostanzialmente dettata da questa imbeccata, piuttosto che da una reale esperienza sul campo - ma hanno semplicemente e pragmaticamente coniato un nuovo termine (friending, che potrebbe suonare come amicheggiare, amichetteria...), senza tanto svagarsi in vaticinii apocalittici. Del resto, proprio a novembre era stato pubblicato uno studio americano (della Pew Research) che dimostrava come i piu' assidui nella frequentazione dei social network sono anche piu' aperti nelle relazioni di vicinato "dal vivo" (e direi che e' anche logico).

Roberto CotroneoMaria Laura Rodota'Si potrebbe allora andare a leggere i wall di Maria Laura e Roberto, e le loro rispettive fan page, e alcune spiegazioni salterebbero all'occhio anche ai piu' profani, e sarebbe facile indicare un modo piu' vero, e quindi efficace, di intrattenersi col proprio pubblico. Ma sarebbe nascondere lo sguardo dietro il dito.

La "pornografia delle relazioni", come qualcuno ha subito sentenziato, amplificando come solo un malato passaparola distorcente puo' riuscire, e' veramente il dono traditore di questo nuovo Leviatano moderno? Qualcuno sta dicendo che, per contro, nel mondo reale la capacita' di relazionarsi si e' mantenuta integra e gravida di meravigliose ed appaganti amicizie, come di luminosi momenti di vita quotidiana? O forse avete notato anche voi il segno dell'evoluzione dell'atteggiamento sempre piu' diffuso in coda in tangenziale o all'uscita della metro, alla ricerca di un parcheggio o davanti allo sportello delle poste, o nella competizione nel contesto lavorativo? E che dire delle relazioni umane a vario titolo che vengono rappresentate (specchio e manuale illustrato) in televisione, e sui giornali? O siamo di fronte all'ennesimo tentativo dei piu' reazionari conservatori, impauriti di fronte al nuovo che avanza, ma soprattutto, causa il ritardo quasi incolmabile, obiettivamente preoccupati di risultare ridicoli nel "nuovo mondo", e anche troppo facili vittime, perfino piu' dei turisti giapponesi in Piazza San Marco.

mandalaLa verita' che l'argomento si potrebbe trasformare in un romanzesco saggio sullo zen e l'arte della manutenzione dei rapporti 2.0. I social media sono come mandala nella cui paziente e concentrata cura possiamo ritrovare noi stessi, e l'armonia con l'universo. Inclusa l'impersistenza della (maggioranza delle) relazioni umane. Lo sviluppo di una relazione sul web2.0 non puo' essere sostituita dalla pubblicazione di qualche battuta ironica, o dall'iscrizione goliardica a qualche gruppo dal titolo dissacratore: poco importa che a molti questo possa bastare, come d'altra parte basterebbe anche senza internet.

Small Pieces Loosely JoinedChi ha consapevolezza che i rapporti interpersonali sono potenzialmente il ponte verso una vita serena, se non felice, e piu' piena, se non realizzata, sa che ci vuole tempo, impegno, sensibilita' e intelligenza. Sa dare, generosamente, e aspettare, pazientemente. In internet come nel territorio. Quello che cambia e' che in internet sono richieste in piu' la padronanza di alcune tecniche, ma attenzione, queste sono sempre meno tecnologiche e sempre piu' psicologiche. E certo, sono richieste alcune competenze in meno, quelle legate alla fisicita', ma di nuovo attenzione, semplicmente perche' non e' questo l'ambito. Nessuno ha mai detto che l'esperienza nel virtuale debba sostituire quella nel reale (di legami deboli parlavano gia' fin dall'inizio i "veri" guru). Inutile guardare alla soluzione tecnologica, come alla panacea che rimediera' alle nostre incapacita' e incomprensioni profonde.

Ecosistema 2.0Abbiamo di fronte la possibilita' di vivere meglio il reale grazie al supporto del virtuale. perche' abitiamo un ecosistema che non fa salti tra reale e virtuale: ecco, tutto qua. Non siamo diversi in internet, ne' facciamo cose diverse: viviamo come sempre, viviamo di piu'. Ma non e' cosi' semplice da spiegare: sarebbe come spiegare il vivere. Per questo citavo prima il testo sacro di Pirsig, e vado ripetendo a chi me li chiede, no non ci sono buoni manuali, ne' un amico abbastanza esperto che, nel tempo sufficiente per un paio di birre, ti spiega le tre regolette fondamentali. "Si impara solo facendo", cioe' partecipando, vivendo appunto.
Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta