Visualizzazione post con etichetta societa_civile. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta societa_civile. Mostra tutti i post

venerdì 2 settembre 2011

Next society: l'innovazione sociale al di la' dello stato e del mercato

La crisi e' sotto gli occhi di tutti (quelli che hanno occhi sfoderati), da tempo. Incominciamo ora a vedere che non sara' piu' garantito il nostro "welfare", cosi' prezioso eppure quotidianamente disponibile e dunque scarsamente apprezzato. Prima erano in pochi ad accorgersene, ma gli ultimi eventi di quest'estate, e la conseguente manovra, non lasciano ormai dubbi. E' tempo di mettere le mani nelle tasche degli italiani, e di toccare il welfare dorato in cui abbiamo vissuto finora.

Esplode cosi' la questione di sempre, la madre di tutte le questioni, cioe' se i servizi essenziali a cui viene associata la "qualita' della vita", le risposte ai bisogni alla base della piramide di Maslow, debbano essere garantiti dallo stato e dunque a spese della collettivita' secondo un equo (?) sistema tributario, o se e' lecito (e prudente) affidarne pezzi importanti alla libera impresa, che si suppone essere piu' efficiente (?) e pero' interessata solo alla remunerazione del capitale investito.

Nei paesi anglosassoni la questione e' affrontata con maggiore pragmatismo (con discutibile successo, ma almeno si puo' discutere di azioni e non di teorie), e sotto il governo Cameron e' stato lanciato (2010) un programma chiamato Big Society, che prevede una Big Society Bank e un "servizio civile nazionale", che si articola su 5 priorita':
  1. Dare piu' potere alle comunita' locali (localismo e devolution)
  2. Incoraggiare ogni forma di  volontariato
  3. Decentralizzare poteri decisionali dal governo centrale a quelli locali
  4. Sostenere iniziative private ancorche' regolamentate opportunamente, quali cooperative, mutuals, charities e social enterprises
  5. Assicurare la massima trasparenza pubblicando tutti i dati sulle attivita' di governo (open/transparent government)
L'applicazione di questo programma e' controversa, soprattutto per la fretta nello smantellare lo stato sociale, tanto che e' stato accusato da Steve Bell di rispondere ad un bisogno di avidita', sfruttando la debolezza dei ceti meno forti. In realta' alcuni punti sono presi pari pari dal precedente lavoro intrapreso dal governo Blair, con il contributo della storica Young Foundation, che si occupa di ricerca sui nuovi trend della societa' ed economia, incubazione di nuove imprese, di specifici progetti locali e sostiene la comunita' internazionale SIX (Social Innovation Exchange).

Social innovation consiste infatti nel progettare, sviluppare e promuovere nuove idee che funzionano e rispondono a bisogni sociali urgenti e non sufficientemente indirizzati. Esiste gia' una lunga storia di innovatori sociali e di iniziative che meritano questa "nuova" etichetta (dagli asili di comunita' all'assistenza agli anziani, dalle cooperative al microcredito), sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, che spesso viene chiamato Terzo Settore proprio perche'si colloca tra lo Stato e il Mercato. Eppure in questa fase storica la Social Innovation non rappresenta solo un'alternativa, ma la base per un cambiamento paradigmatico della societa' e dell'economia, che tanti, troppi segnali mostrano quanto sia urgente. Obama ha istituito un nuovo Ufficio per l'Innovazione Sociale nel 2009, el'Unione Europea ha adottato gia' un anno fa la strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva (EUROPA 2020).

Il piano europeo si prefigge cinque traguardi principali, tradotti in specifiche iniziative faro, che sono:
-       il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro;
-       il 3% del PIL dell’UE deve essere investito in ricerca e sviluppo (R&S);
-       i traguardi “20/20/20” in materia di clima/energia devono essere raggiunti;
-       il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve avere una laurea o un diploma; .
-       20 milioni di persone in meno devono essere a rischio povertà.

Forse vale la pena ricordare a questo punto, tramite le parole di Giacomo Vaciago, che
"La forza di un Paese sta nella società civile; non è né un buon governo, né un buon mercato. La forza del Paese è la società civile, che poi si dota di un buon Stato e di un buon mercato al fine di risolvere quei problemi che da sola non può superare. Gli Stati cessano per il fallimento delle società civili, non per un malgoverno o un cattivo mercato."


mercoledì 25 agosto 2010

Sciami e glomeri: gradi di coagulazione nella rete liquida

David WeinbergerVi segnalo questo bell'articolo di Giorgio Jannis sulla grumosita' della rete. A differenza del modello dei padri di internet (vedi Small Pieces Loosely Joined), a mio parere non ancora confutato, da tempo si stanno manifestando in rete, con sempre maggiore evidenza, modelli comportamentali generali che riportano alle consuetudini ante-internet. Altrove avevo indicato questo come il fatto (il rischio) che "il territorio si riperenda la rete", e l'avevo contrapposto all'obiettivo che "la rete si diffonda nel territorio", su cui si fonda il progetto "ecosistema 2.0".

Questa evoluzione non e' poi cosi' sorprendente, e in un certo senso porta ad una maggiore evidenza fenomeni che erano gia' latenti, o proprio presenti anche se in misura minore, fin dall'inizio. Volendo cogliere l'importanza di quanto veniva consentito per la prima volta nella storia del genere umano, grazie alla Rete, la presenza di questi fenomeni anche in Rete, e' stata (giustamente) poco considerata finora. Ma la diffusione di internet, e in particolare l'affermazione dei social network (facebook e gli altri), sta rendendo necessaria una maggiore attenzione. La rete e' liquida, si, ma ci sono numerosi fattori di coagulazione.

Inizialmente, in una prima era della Rete, una moltitudine di persone estremamente variegata (nessuna categoria esclusa), si ritrovava in un luogo virtuale ben preciso, riportando quindi la sensazione di un circolo apparentemente ristretto, accomunata non dai propri interessi specifici, ma dall'uso di un particolare strumento di comunicazione e socializzazione. In questo caso il mezzo non era solo il messaggio, ma perfino la classe, anche se, proprio per la sua disomogeneita' intrinseca, una classe senza identita' politica ed economica.

Ora che lo strumento in se' non e' piu' cosi' innovativo, e la diffusione del suo utilizzo e' tale da risultare quasi scontato, il semplice fatto di essere in rete non ha piu' alcun significato rilevante, ne' tanto meno risponde ad una ricerca di identita' o al bisogno di autoaffermazione. I social network in particolare, hanno reso una commodity l'appartenere ad un network. Altri sono quindi i motivi che portano ad aggregarsi in rete, e ritornano ad essere quelli di sempre: la rete ridiventa un semplice facilitatore.

Nonostante questo, e come Giorgio sottolinea nel suo articolo, riprendendo tra l'altro quello di Galatea, il valore della rete rimane nell'infrangere le barriere, nel rompere le scatole, nel gettare ponti, nello scavalcare i recinti dei giardini chiusi, nell'ibridare, nel far fluire e rigenerare la conoscenza, nel garantire dialogo confronto ascolto, nello scatenare creativita', pensiero laterale, visione a 360 gradi. Se tutto questo, nella prima era di internet, era quasi intrinseco alla rete stessa, adesso dipende dall'azione specifica di chi la vive e in essa agisce. Stiamo passando da una fase in cui la rete era un dato di fatto, ad una in cui la rete ritorna ad essere un atto da fare.

Divengono perciò importanti, sulla rete, ai fini della diffusione dell’informazione, quegli individui che hanno molteplici interessi, molti contatti e in qualche modo partecipano a molte cerchie trasversali. Questi possono permettere che informazioni presenti solo nella cerchia A passino anche alla cerchia B, che, altrimenti, potrebbe bellamente ignorarle. Non necessariamente costoro sono i cosiddetti “guru” del web, o blogstar: anzi, di solito l’autore di un sito o di un blog tende a crearsi una personalità ben riconoscibile, e affrontare quindi solo determinati argomenti. Questi “ponti” fra le cerchie possono essere anche personaggi molto anonimi: basta che la loro rete trasversale di contatti permetta di innescare, per effetto domino, una specie di tam tam in ambienti che solitamente non sono in contatto. Un po’ come la vecchia fantesca del villaggio, che nessuno considerava un personaggio importante, ma, andando di casa in casa, finiva col diffondere in tutti gli strati sociali le novità del giorno. Internet è un villaggio globale. In tutti i sensi.

via NuoviAbitanti: Socialità in Rete di Giorgio Jannis

Leggete anche tutto l'articolo da cui parte a sua volta Galatea, di Ethan Zuckerman, dal titolo originario "A wider world, a wider web", e tradotto sulla Stampa.it.

mercoledì 2 giugno 2010

Essere, comunicare/apparire o relazionare

Rispondo a Luca e al suo articolo sul potenziale evocativo dei modelli culturali (e della democrazia presa ad esempio particolare), rispetto al caso - solo teorico - di una comunicazione perfettamente efficace. Lo invito a leggere tutto, anche perche' in poche righe condensa molti interessantissimi spunti, e perche' si chiude con parole molte belle (perche' Luca e' un "abile comunicatore" ;-):


L'idea che la democrazia viva di una comunità consapevole che sceglie in base a informazioni metodologicamente corrette è in larga parte una bella e buona utopia. Il che non ne riduce l'importanza. Semplicemente ci insegna a pensare che il bello e il buono di quell'idea che è già diventato realtà è meno grande di quello che resta ancora da costruire.

Almeno questa consapevolezza dovrebbe diventare largamente esplicita. Se vogliamo migliorare il modo che abbiamo di informarci. Per scegliere.

Dunque, grazie ad un background culturale comune, anche comunicazioni non proprio efficaci possono portare una societa' ad agire in modo sufficientemente coordinato, e a progredire in una direzione coerente con la cultura stessa prima ancora che con le comunicazioni che vi intercorrono (cosi' ho inteso il senso della nota).

Mara CarfagnaLuca LucianiMa in un contesto sociale come il nostro, dove la "comunicazione" ha assunto un ruolo cruciale da molto tempo, e' andata diffondendosi una certa padronanza dell'uso dei media e dei linguaggi, ed e' grazie a questa abilita' "tecnica" che si riescono a coordinare azioni e modelli di comportamento, non in base ad una "cultura" condivisa, a meno che non si voglia parlare di "cultura della comunicazione".

In questo particolare contesto, gli esperti di comunicazione, o semplicmente i competenti in materia, a qualunque livello della scala del potere, sfruttano intenzionalmente la comunicazione subliminale per indirizzare il meccanismo comunicazione-azione secondo scopi predefiniti, e poco condivisi consapevolmente.

Interessante sara' a questo punto, monitorare i cambiamenti prodotti dalla diffusione del "web partecipato", e la rivalutazione della "relazione" proprio come strumento di emancipazione di quella parte della societa' che era stata esclusa dalla leva del potere della "comunicazione". Assisteremo ad uno shift dalla cultura della comunicazione alla "cultura della relazione", e nasceranno nuovi professionisti, abili nell'utilizzo di tecniche nell'ambito delle relazioni sociali.

Il lato B e' che si trattera' ancora di culture fondate su un unico valore piuttosto superficiale: relazionare (al posto di comunicare/apparire). Si sviluppera' - io lo temo, non lo auguro - un modello di societa' ancora poco orientato a progettualita' di prospettiva, ad elaborare e sostenere "visioni del mondo" illuminate, e a dare risposte a problematiche complesse. Non piu' "avere o essere", e nemmeno "essere o apparire", ma "essere o relazionare" sara' il prossimo dilemma dominante (tutte rivisitazioni di "essere o non essere", comunque).

Inevitabile? No. Ma dobbiamo esserne coscienti. Questa volta giochera' in positivo il fatto che la relazione e' vincente se e' 1:1, dunque non si puo' "industrializzare" come la comunicazione. Ma dobbiamo anche essere consapevoli dei costi in termini di impegno personale che la relazione richiede, proprio per questo motivo: un impegno che sottrae evidentemente energie a qualcosa di piu' sostanziale e programmatico.

Sara' quindi importante non cadere nell'errore, anche se per motivi diversi, di considerare il "relazionare" (come oggi il comunicare, l'apparire) come un valore a se' stante, se non l'unico valore, e tenere distinto il piano valoriale da quello strumentale. Visto com'e' andata negli ultimi anni, se vogliamo dimostrare che abbiamo imparato la lezione (?), educazione e stimoli appropriati sul piano culturale dovrebbero ricevere la nostra massima attenzione. Altrimenti tra cultura della comunicazione e cultura della relazione, sempre di culture fondamentalmente tecniche staremo parlando.


domenica 29 novembre 2009

La blogosfera logorata dal potere, che non ha

Qualche giorno fa, nella socialsfera ci si e' posti un po' piu' intenzionalmente il tema della "concretezza" del dibattito in rete. In realta' questo succede da anni, nella blogosfera, con ritmo piu' o meno regolare.

Qualcuno l'ha buttata sui tecnicismi.

Personalmente sono convinto che la tecnologia e' abilitante, ma non puo' sostituire la capacita' delle persone. Pero' il concetto di "platform" deve raffreddare gli entusiasmi di certi geek, ma deve anche essere un monito per i piu' "umanisti". Grazie a piattaforme che hanno proprio lo scopo di rendere facile lo sviluppo di soluzioni e servizi, ormai la tecnologia rientra nella cassetta degli attrezzi di chiunque, per comunicare e fare, insieme al dizionario e alla formazione di base (ok, qui c'e' dell'utopia, e' ovvio). D'altra parte, come ricorda Ross Mayfield, le persone sono la vera piattaforma.

Qualcuno l'ha buttata sull'italianita'.

Ora, che gli italiani debbano sempre disprezzarsi "collettivamente", pur ritenendosi ciascuno una "provvidenziale eccezione", e' un noto luogo comune. Certamente ci sono alcuni aspetti culturali, e penso che debbano essere identificati con lucidita', se ce ne vogliamo affrancare progressivamente (ammesso che sia possibile). Non mi ritrovo tanto nella teoria che gli italiani hanno una maggiore inclinazione agli aspetti puramente conversazionali (intendendo con questo dotte disquisizioni, ma anche spesso sano e insano cazzeggio, inclusi sterili flame tra fazioni contrapposte), rispetto alla "cultura del fare", apparentemente piu' nordica (no, qui non si intende "padana", ma proprio del nord del globo, essendo noi italiani tutti, stando a questa teoria, "i terroni del globo").

Leggendo anche i commenti che sono stati fatti in questi ultimi giorni, io trovo che una delle infezioni croniche di cui soffriamo come paese, e' rappresentata dai bassi valori di "cultura di servizio" e quindi dall'alta concentrazione di "cultura del potere". Riscaldati dal sole del bel paese, in una terra che dispensa gratuitamente buonissimi e bellissimi frutti da godere col palato e con la vista, coccolati da una storia millenaria che ci consegna un preziosissimo patrimonio culturale e artistico, gravati da secoli di politica padronale e ignari del fuoco di vere rivoluzioni civili, noi italiani non siamo tanto preoccupati a risolvere i problemi che sopraggiungono, quanto a (creare e a) conservare le rendite di posizione.

Tutto, in Italia, diventa una questione di potere, e la socialsfera non ne e' esente. Per certi versi e' anche logico: dove la societa' civile ti costringe a sperimentare ogni giorno, un clima opprimente di subordinazione a poteri dominanti (lo stato con quelle leggi e quelle tasse, e quell'inefficienza; l'azienda con gli oneri e la mancanza di onori, e con carriere poco meritocratiche; la vita quotidiana in citta' continuamente offesa dalle prevaricazioni di furbetti e bulletti...), quando viene finalmente offerta la possibilita' di "realizzare" un modello di organizzazione sociale nuovo - in internet - non stupisce che affiori la mancanza di competenza e l'incapacita' di visione, e quindi che si scatenino anche i comportamenti piu' "piccoli" e discutibili, che alla fine finiscono per perpetrare quegli schemi sociali da cui ci si dovrebbe emancipare.

Non mi stupisce quindi, che la proposta di avviare attivita' piu' costruttive, e quindi piu' incisive nel territorio, abbia sollevato l'entusiasmo di alcuni, ma anche la perplessita' di altri, nella socialsfera, circa la questione del consenso e la questione del vantaggio individuale. Mi sembrano questioni intrecciate tra loro, ed entrambe riconducibili al discorso che stavo facendo sul "chiodo fisso del potere".

Sulla questione del consenso: perche' mai un'iniziativa che sta conquistando partecipazione in rete, dovrebbe essere considerata, con maliziosa sbadataggine, come priva di un necessario consenso ? Chi dovrebbe essere l'ente certificatore, se la partecipazione dal basso non e' sufficiente, considerato che nella fase iniziale non puo' essere certo elevatissima ? ma soprattutto perche' pensare che la certificazione debba arrivare da un ente terzo ? Chi e' il tronista a capo di questo fantomatico "istituto" che si sente defraudato del potere di veto e legittimazione, se il consenso monta dal basso ? soprattutto, siamo veramente preoccupati per il suo dispiacere nel vedere la poltrona che gli vacilla sotto ?

Sulla questione del vantaggio individuale: perche' pensare che un'iniziativa di crescita collettiva, di win win sociale, di emancipazione di una community se non di tutto il paese, debba essere immediatamente (de)classificata a manovra torbidamente affaristica, ovvero motivata da oscure logiche di potere ? se non se ne condividono gli obiettivi e i metodi, basta semplicemente non sottoscriverla, dunque perche' muovere pubblici attacchi a scopo distruttivo, o addirittura velenose insinuazioni dietro le spalle, per forzarne il fallimento ? se c'e' la necessita' di un riferimento, e soprattutto se c'e' la capacita' di esserlo (che altrimenti l'iniziativa non decollerebbe e non arriverebbe ad essere nemmeno "visibile"), perche' il pensiero automatico non va al beneficio che ne ricavano tutti, ma a quello che ne ricavano alcuni ? perche' mettere sullo stesso piano semplici fruitori (e spesso anche detrattori e ostacolatori) e figure dotate di visione e capacita' organizzativa e realizzativa, pretendendo che gli uni e gli altri debbano godere per principio di pari gratificazioni ?

La risposta e' semplice, perche' in Italia la questione e' sempre su chi comanda, e non su cosa di buono si faccia.

Dunque se si avvia un'iniziativa concreta (ma scopro che anche avviare una conversazione di approfondimento comporta lo stesso rischio), per l'italiano medio ci sono solo due prospettive: o esserne il capo, o vederla fallire. A prescindere dal fatto che sia utile o meno. A prescindere dal fatto che ci sia spazio o meno per eventuali alternative. L'Italia, inclusa quella che si riconosce nella socialsfera, e' logorata dal potere, che non ha. E pensare che in questo paese, invece, ci sarebbe spazio per migliaia di iniziative concrete originate dalla socialsfera e con concrete ricadute nel territorio. Ce n'e' un tale bisogno che non importa quanto utili siano effettivamente, basta che a confermare che lo sono almeno un po' sia la stessa comunita' a cui sono indirizzate. Della serie: finiamola con l'autoreferenzialita'.

Se ci fosse una cultura del servizio, automaticamente cadrebbero le soporifere discussioni sui metodi e sulle regole, dal momento che l'unica regola sarebbe quella della "utilita' evidente", e che il metodo verrebbe raffinato di tentativo in tentativo. Se ci fosse una cultura del fare (mediata dalla reticolarita' e dai suoi valori), nessuno si preoccuperebbe del fatto che di volta in volta c'e' un titolare diverso, perche' anzi si innescherebbe una gara, da cui nessuno sarebbe eslcuso a priori, a fare di piu' e meglio (per il bene comune) la volta successiva. Ma soprattutto, se ci fosse una cultura della costruzione di un bene comune, la blogosfera smetterebbe di rammollirsi seduta davanti al computer, e cercherebbe il confronto e la sfida del territorio, in cui portare le soluzioni che internet mette nelle mani delle persone, grazie alla tecnologia e al networking.


sabato 11 luglio 2009

Aggiornamenti sul Decreto Alfano e l'obbliga di rettifica

Doverosi aggiornamenti in merito al Decreto Alfano, in approvazione il 14 luglio prossimo.

Innanzitutto l'Intergruppo parlamentare 2.0, sul tema specifico dell’estensione dell’obbligo di rettifica ai “siti informatici” (art.1 comma 28 del provvedimento) ci segnala
gli interventi:

  • del Sen. Felice Belisario (Italia dei Valori), estensore di un emendamento che esclude dall’ambito di applicazione del comma 28 i “bloggers che non abbiano registrato la propria testata”.

  • del Sen. Luigi Vimercati (PD), che ha richiesto che nel parere formulato dalla Commissione Comunicazioni in merito al provvedimento venisse inserito un rilievo volto a limitare l’ambito applicativo del comma 28 alle sole testate diffuse per via telematica. Tale richiesta tuttavia non è stata accolta nel parere espresso dalla Commissione (v. resoconto) .

  • dell’On. Antonio Palmieri (PDL) che ha avviato una discussione con alcuni esperti della rete e con il Sen. Lucio Malan per “impedire che un’interpretazione estensiva del testo della legge sulle intercettazioni telefoniche colpisse con misure esagerate i blog amatoriali, come se fossero testate d’informazione registrate”. Trovate ulteriori informazioni sul suo blog (ultimi 2 post su questo tema).
blog it


Inoltre Stefano Quintarelli ci regala un'azzeccatissima vignetta, e un articolo denso di profonda saggezza (come sempre):
clipped from blog.quintarelli.it
AnonimatoProtetto

In definitiva, Internet non e' cosa terza rispetto alla vita, fa parte della vita, e delle sue regole, norme e leggi.

E cio' era cosi' anche per Mafalda, anche al telefono, e Quino giustamente ironizzava sul fatto che il pubblico, in larga misura, non lo sapeva.
blog it


Infine mi sono ritrovato perfettamente nel riepilogo di Massimo Giuliani:
ma su una cosa potete credergli: nessuno perderà il sonno per lo sciopero dei blogger.
Guardo con curosità, invece, all’iniziativa di aprire un wiki sul quale scrivere collettivamente una proposta di emendamento. E guarderei con favore a una proposta di inondare la posta elettronica del ministro Alfano di centinaia di post, selezionati dalla rete, per fargli sapere che quello di cui si sta parlando non è un passatempo da ragazzini, ma un elemento importante di una novità che altrove (negli Stati Uniti come nel tormentato Iran) sta diventando parte integrante del rapporto fra i cittadini, l’informazione e la politica. E che nessuno chiede che il web sia una specie di zona franca e senza regole (una legge sulla diffamazione esiste già ed è più che sufficiente), ma solo che chi intende legiferare sull’argomento faccia il piccolo sforzo di provare a conoscerlo.
blog it


#NoDDLintercettazioni #lodoalfano #norettifica #obbligorettifica

domenica 5 luglio 2009

Decreto Alfano: un emendamento minaccia la liberta' di parola in internet

Si accende in rete il dibattito sulla prossima approvazione del decreto Alfano, fondamentalmente finalizzato a regolamentare l'utilizzo delle intercettazioni, che introdurra' disposizioni restrittive anche sull'utilizzo di internet.

Innanzitutto stupisce ancora una volta l'approssimazione con cui i decreti legge, e questo in particolare, pretendono di regolamentare una materia di cui l'estensore evidentemente non ha una piena padronanza (lo si evince dal linguaggio inappropriato e inesatto).

Ma soprattutto, tale decreto equipara ogni generico "sito informatico" ad un organo ufficiale di informazione (gia' sottopostao alla Legge sulla Stampa), e lo assoggetta all'obbligo di rettifica: in pratica qualunque navigatore di internet, che abbia pubblicato nel suo pieno diritto democratico il proprio pensiero, discutibile fin che si vuole (purche' non oltraggioso di quanto il senso comune e la pubblica decenza non difenda gia' di per se'), potrebbe vedersi "obbligato a rettifica", pena sanzioni che si converrebbero solo ad organi di informazione debitamente registrati, ed in casi straordinari.

Il passaggio e' nel comma 28, lettera a), dell'articolo 1 del P.D.L. 9/01415-A/005, qui riportato:
"Per i siti informatici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono»;"

Segnalo alcuni indirizzi dove l'argomento e' in discussione:

articoli sui principali siti di informazione online

  • cittadinolex.kataweb.it
  • punto-informatico.it 1 (Guido Sforza)
  • punto-informatico.it 2 (Guido Sforza)
  • repubblica.it (ma non tocca la questione internet...)
  • gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it 1
  • gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it 2
  • zambardino.blogautore.repubblica.it
  • apogeonline.com (utile anche questo riepilogo)


  • politici che hanno affrontato l'argomento (di diverso schieramento)

  • antoniopalmieri.it
  • Mario Valducci (odg)


  • siti di blogger che hanno affrontato l'argomento

  • camisanicalzolari.com 1
  • camisanicalzolari.com 2
  • guidoscorza.it
  • guidoscorza.it (proposta di emendamento)
  • quintarelli.it
  • webeconoscenza.net (Gigi Cogo)
  • sergiomaistrello.it
  • ernestobelisario.eu
  • minotti.net
  • appuntidigitali.it (Donato Markingegno)


  • siti di associazioni e network e altre istituzioni, dove si sta discutendo

  • amointernet.it (Marco Pancini)
  • Intergruppo parlamentare 2.0
  • liberespressioni.com (utile aggiornamento)


  • si e' discusso molto anche su friendfeed:

  • friendfeed.com/catepol
  • friendfeed.com/akille


  • Assolutamente da non perdere anche queste iniziative nate ad hoc (perche' la rete SA anche collaborare!):

  • dirittoallarete.ning.com: un ning dove aggregarsi per discutere e lanciare nuove iniziative
  • ddl1415a.intodit.com: un wiki dove collaborare alla riscrittura dell'emendamento correttivo
  • firmiamo.it/norettifica: petizione online "No alla rettifica per tutti i "siti informatici""
  • 14luglio2009.wordpress.com: un blog multiautore per discutere


  • Oltre che prender parte a queste iniziative, ho pubblicato questo post anche qui, qui, e qui.

    In seguito ad un intervento del Presidente Napolitano, e' di queste ore la dichiarazione di Alfano che ritiene il testo del decreto "modificabile".


    #NoDDLintercettazioni #lodoalfano #norettifica #obbligorettifica

    Per seguire la discussione in rete, usa questo feed.

    martedì 6 gennaio 2009

    Facebook strumento principe del nuovo umanesimo o strumento semplicemente ?

    Proprio su Facebook, su quel tanto chiacchierato e ormai anche un po' vituperato Facebook, si e' sviluppato un interessante dibattito sul ruolo che puo' avere proprio Facebook nello sviluppo delle conoscenze e coscienze degli utenti, e in generale delle persone.

    "Promotore e conduttore" dell'iniziativa e' stato Marco Minghetti, che tra l'altro insegna Humanistic Management presso l’Università di Pavia, e scrive su Nòva24, Le Aziende InVisibili.

    Il suo intervento consiste in tre puntate, e ha generato decine di interessantissimi interventi: Il rischio di Facebook, Per una via umanistica a Facebook e Facebook come Mondo Vitale. Tra questi anche il mio, in due commenti, che qui riporto.

    ---

    Cio' che contraddistingue FB da altri social network di nicchia, e' che in FB ci si iscrive in quanto persona, cioe' il denominatore comune richiesto ai partecipanti e' il minimo in assoluto. Qui c'e' la ragione del suo successo nei numeri. Un po' come per LinkedIN, a cui ci si iscrive in quanto professionisti. Ma attenzione, non tutti gli altri social network hanno condizioni di ingresso piu' restrittive, e comunque non e' lo strumento che lo impone. Non e' Ning che richiede prima l'esistenza di un gruppo (chiuso): anche FB era nato inizialmente come lo spazio virtuale per gli studenti del college. Questo e' un punto che riguarda il processo di sviluppo di community, a cui nemmeno FB si sottrae.

    Il vero punto di forza di FB e' stato voler essere un servizio a disposizione di una tipologia di utente (giovane studente americano) che e' paradigmatico di tutti i navigatori di internet: pieno di interessi, grande dimestichezza con internet, fondamentalmente portato a divertirsi e socializzare. Tutto cio' ha portato FB alla dimensione cruciale, alla massa critica, dopo la quale ogni concorrente soccombe oppure nemmeno prende il via.

    Quello spirito di "fratellanza", quel misto di solidarieta' collaborazione e stima reciproca, che caratterizza le prime fasi di sviluppo di certe community (per esempio la blogosfera qualche anno fa, FB un anno fa, ...) tende a svanire quando a quel contesto approda la moltitudine. Attenzione, non tanto (non sempre) perche' i nuovi acquisti siano un'invasione barbarica, essendo dotati di uno spirito diverso e forse meno fine, ma proprio perche' il collante sociale stava prima proprio nel sentimento di pionerismo, di esclusivismo, di protagonismo.

    In un contesto allargato, cosi' allargato da risultare sfondato, il protagonismo non si raggiunge piu' nel semplice partecipare a qualcosa che di per se' ha gia' il carattere della specialita', e quindi la ricerca di protagonismo diventa piu' individuale, e soprattutto concorrenziale, cosi' come nei milioni di contesti tradizionali che conosciamo. In questo modo si diffonde il virus dell'egoismo, che pure sarebbe salutare in dosi piu' moderate, che porta con se' aggressivita', e la nuda e cruda rappresentazione di se', e non piu' di se' tra gli altri. E' qui che l'atmosfera umanistica, emozionale, esplorativa, viene spazzata da approcci scientifici, calcolatori, conquistatori.

    Non sorprende che il paradigma della squadra di rugby, dell'equipaggio di una barca a vela, che la session di jazzisti, che i membri di una squadra di progetto, i dipendenti di una piccola azienda... sono tutti esempi in cui la dimensione puo' essere considerata "limitata". Nella nicchia, vuoi costituita per raggiungere un obiettivo (agire), vuoi per esplorare un nuovo territorio (conoscere), la dimensione e' sufficientemente piccola per perdere la propria individualita' e ma anche per riconoscersi come fattore cruciale dell'insieme, e vivere questo senza traumi.

    Nello spazio angusto di un angolo del territorio, alcuni ego sentono di soffocare anche all'interno di piccoli gruppi, ed esplodono mandando in frantumi anche piccole squadre dal grande potenziale. Ma in rete la eco e' enorme, globale, la sensazione che ogni sussurro e ogni piccolo gesto, anche se impercettibile guardanto il singolo e tanto piu' guardando il gruppo, puo' essere in realta' colto da una platea di milioni di spettatori, e questo appaga ogni ego ipertrofico.

    La massa critica di una community diventa allora la sua forza e anche l'inizio del suo declino, a meno che non sappia rinnovare anche nel seguito quel sentimento di eccezionalita' che i membri provano iscrivendosi nei primi tempi. A mio parere FB sta vacillando su questo filo di lana, in Italia: se non si animeranno iniziative nuove e soprattutto nuove modalita' esperienziali di fare network, il suo sbocco naturale sara' quello di essere superato dal nuovo medium del secolo, e quindi relegato ad una finalita' specifica e non piu' trendy. Cosi' com'e' stato per tutti i media che l'hanno preceduto, del resto.

    [...]

    L'utilizzo di ogni strumento per quello che meglio puo' dare e' esattamente uno dei punti sottostanti il mio intervento precedente. Oggi FB abbaglia perche' e' lo strumento del momento (al radiogiornale lo citano, in televisione ne parlano, sui giornali lo spettegolano...). E come tutti i "media" che sono "new", in questo momento sono anche il "messaggio" essi stessi, capaci di sostituirsi a noi stessi nell'essere messaggio. Un po' com'e' stato quando internet se lo sono prese le aziende prima, e le persone poi, ed essere su internet e' diventato un imperativo esistenziale prima per le aziende e poi per le persone. Domani? difficile dire, perche' a differenza di internet nel suo complesso, FB ha un proprietario, e ha mostrato in alcune scelte strategiche l'orentamento verso un modello di business non sicuramente sostenibile.

    Ma nel futuro prossimo, possiamo certamente pensare di usare FB per quello che ci da meglio di qualunque altro strumento, e affidarci ad altri per il resto. Questa conversazione non avrebbe potuto infatti svilupparsi meglio su un blog o su un ning? non avremmo potuto tenere FB solo come "segnalatore" di questo interessante contenuto da raggiungere con un semplice link? Non avremmo perso nulla, e anzi ne avremmo guadagnato in fluidita' di conversazione e in maggiori possibilita' di networking.

    Ma non e' solo questo. Io credo che il modello esperienzale sia il punto. FB infondo non ha permesso un grosso passo avanti nella qualita', ed e' significativo solo per i numeri. SL invece ha segnato una svolta, ma sta anche quello segnando un rallentamento nella sua curva di sviluppo. A mio parere il passo successivo non e' nella direzione di una maggiore virtualizzazione (3D, ...) ma di una nuova ricomposizione della vita reale e virtuale. E in questo senso, l'auspicato recupero di equilibrio tra umanesimo e tecnologia non puo' che guadagnare velocita'. "Internet e territorio" e' il tema che sto approfondendo innanzi tutto per passione: un ambiente nuovo, diverso dalla somma delle due parti, con propri metodi e tecniche. Io credo che l'esperienza in uno spazio che non fa salti tra il reale e il virtuale e' la vera innovazione del XXI secolo.

    lunedì 13 ottobre 2008

    Internet e territorio

    Di seguito la nota introduttiva alla discussione aperta su Innovatori, sul tema "Internet e territorio".

    "Quello che era un ammasso di cellule improvvisamente diventa un organismo, quello che era un insieme di individui può diventare un gruppo sociale... Dunque la nozione di emergenza è essenzialmente la nozione che ci siano in natura tutta una serie di processi, retti da regole locali, con piccole interazioni locali, che messi in condizioni appropriate, danno origine a un nuovo livello a cui bisogna riconoscere una specifica identità" - F. Varela

    Le persone che da piu' o meno tempo stanno frequentando la rete e godendo della straordinaria opportunita' di un luogo sociale, partecipativo, dove le dinamiche sono semplificate, e l'informazione e la conoscenza circolano liberamente rigenerandosi "dal basso", dove le persone stesse sono al centro, sono naturalmente portate a trasferire questa esperienza nel territorio, nella vita reale.

    Fin quando in internet il comune sentire e' stato legato e condizionato dalla passione per la tecnologia, anche se in relazione al suo effetto dirompente sulla societa' e sul business, la comunita' degli utenti di internet e' rimasta ben differenziata nella societa' stessa.

    Ora pero' il clima e' cambiato. Il comune sentire si e' ora definitivamente focalizzato su un modello sociale basato sulla partecipazione, condivisione, inclusione. La tecnologia e' ridiventata solo strumentale. Il successo dei social network e business network conferma che le persone si sentono protagoniste, piu' che dello strumento stesso. Noi siamo i generatori di contenuti, e il contenuto stesso.

    E' giusto puntualizzare che la novita' e' relativa, e i visionari delle origini erano orientati proprio a questo, ma spesso la tecnologia abilitante richiede lungo tempo prima che l'utente possa impadronirsi delle sue potenzialita'.

    Questo nuovo senso comune sta permettendo l'abbattimento del confine tra internet e territorio. Le persone in internet non sono diverse da quelle sul territorio. Stesse persone, stesse esigenze, stesse aspirazioni. E come dice il mio amico Giorgio, quindi stesso territorio. Ecco che oggi la forza dirompente e rivoluzionaria di internet sta debordando nel territorio non digitale, nella vita non digitale.

    Qui pero' sorgono ancora alcune complicazioni. L'abitudine a costumi predefiniti, e orientati alla "separazione" piu' che all'inclusione. La diversita' di esperienze e linguaggio che e' ancora molto piu' vasta nella vita reale, mancando ancora in internet la rappresentanza di alcune fasce sociali e professionali. La logica economica della competizione e del mercato, in contrapposizione con quella prevalente in internet della condivisione e del dono.

    Anche questa fase richiedera' del tempo e porra' problemi di adattamento e resistenza. Anche in questa fase alcuni modelli si dimostreranno piu' solidi, alcune esperienze di successo potranno essere replicate e interpretate, e molto ci sara' da innovare e sperimentare.

    Questo vuole essere uno spazio per discutere, riconoscere, confrontarsi, proporre proprio in merito a questo passaggio.

    martedì 20 novembre 2007

    Libro: Mal di merito, di G. Floris - Rizzoli, Gen 2007 - Anobii

    In Italia, il pezzo di carta più utile non è un titolo di studio, ma una lettera di raccomandazione. La prevalenza della spintarella non è folklore o semplice malcostume: soffoca la meritocrazia, blocca la mobilità sociale e dà fuoco alle polveri della guerra tra generazioni. Tra inchiesta, denuncia e resoconto di vita vissuta (e lavorata), questo nuovo libro di Giovanni Floris non risparmia le stoccate polemiche: contro la generazione del '68, ex rivoluzionari bravissimi a occupare posizioni di potere e a non mollarlo più; contro il mito dell'efficienza del settore privato (che in realtà è stagnante quanto quello pubblico); contro la sinistra stessa, incapace di comprendere che il ritorno della meritocrazia dovrebbe essere la chiave della sua azione politica. Per impedire che chi nasce ricco continui ad arricchirsi, mentre i poveri muoiono poveri.