venerdì 27 agosto 2010

Enterprise 2.0 per le PMI: come non vederlo?

Il tema dell'Enterprise 2.0, la versione "aziendale" del "web 2.0", e' finito da tempo nelle mani dei "comunicatori" ed e' stato quindi prima abusato (e tuttora lo e'), che gia' rischia di essere "consumato" e "rottamato". Per certi aspetti, chi si occupa di Enterprise 2.0 commette spesso proprio l'errore che dovrebbe insegnare a non fare: "non comunicarlo soltanto, ma applicarlo effettivamente a se' stessi".

Andrew Mc Afee, colui che ha coniato il termine nel 2006 e la cui biografia merita sempre una veloce ripassata, spiega anche nel suo ultimo libro ("Enterprise 2.0: New Collaborative Tools for Your Organization’s Toughest Challenges", Harvard Business Publishing, Novembre 2009), attraverso esempi concreti, che non e' solo una questione di comunicazione (*), anzi
These examples will show how leaders are applying new tools, new approaches, and new philosophies to challenges such as accurately predicting the future (in domains where traditional forecasting methods have a poor track record); creating, gathering, and sharing knowledge; increasing rates of innovation; locating answers and expertise; and identifying and solving problems more quickly

e che l'approccio a questi nuovi modelli e tecniche, presuppone una cultura ed un'esperienza coerenti, tali da costituire un'attitudine, perche'
this trend is the use of technology to bring people together and let them interact, without specifing how they should do so. While this sounds like a receipe of chaos, it's actually just the opposite; the technology of Web 2.0 and Enterprise 2,0 has the wonderful property of causing patterns and structure to appeare over time, even though they are not specified up front.

Per capire meglio questo, e quanto sia piu' significativo proprio in una piccola impresa, approfitto dell'ottimo esempio illustrato da Alessandra Farabegoli, tratto dall'esperienza fatta questa estate. Ripropongo di seguito il "caso" di Alessandra, e, seguite da ">", l'interpretaziona piu' in generale, che dovrebbe facilitare la riusabilita' di questa esperienza nel contesto di altre piccole e medie aziende.

Alessandra deve organizzare le proprie vacanze estive, e vorrebbe passarle in un agriturismo. La prima cosa che Alessandra ha fatto e' chiedere pareri utili "pubblicamente" su Friendfeed, un social network che facilita la conversazione tra amici e sconosciuti
> Prima di ogni forma di pubblicita', si rivolge al passaparola di persone note, o perlomeno "non interessate"
> Occorre riconsiderare l'investimento in promozione sui media tradizionali, destinando una quota ai nuovi media, considerata la loro grande efficacia

Alessandra sceglie la destinazione facendosi ispirare dal "racconto di una mamma come lei", e dalla sua precedente esperienza. Cosi' facendo Alessandra "compra" innanzitutto "il tipo di vacanza" che riconosce essere un buon compromesso tra quello che le serve e quello che le piace.
> Nei nuovi media, la qualita' del servizio e dell'esperienza che altri clienti testimoniano, e' fuori dal controllo diretto del fornitore, proprio perche' la testimonianza e' spontanea.
> Non si tratta quindi di progettare una comunicazione diretta, ma una relazione di fiducia con chi poi si attivera' spontaneamente nel testimoniarla
> In questa prima fase, del resto, non e' subito in gioco la vendita, ma la possibilita' di intervenire sui primi passi del processo di selezione del cliente. I fornitori direttamete concorrenti, in questa fase, possono essere perfino alleati, "per vincere la competizione con altre reti di concorrenti".

Procedendo nella selezione, Alessandra entra in contatto coi singoli fornitori via web, e via via scarta quelli che non sono facilmente identificabili, o contattabili, o che forniscono informazioni in modo incompleto, o con una modalita' poco soddisfacente. Altri fattori potrebbero condizionare la scelta finale (come la posizione geografica nella valle) ma nessuno risulta pesare quanto la velocita' e la qualita' del primo contatto. Alla fine la relazione con la persona di Frau Hilda sara' decisiva.
> Sempre piu' spesso il cliente sceglie in base alla qualita' dell'esperienza, che inizia fin dai primi contatti col fornitore. Questo vale soprattutto nei casi in cui il prezzo non e' il fattore chiave, o perche' non ci sono sostanziali differenze, o perche' il cliente ha individuato - vedi passo precedente - quale livello di prezzo gli sembra congruo.
> Perche' il fornitore sia in grado di garantire una elevata qualita' del servizio, deve essere ovviamente organizzato per farlo. Inoltre occorre utilizzare i mezzi di comunicazione piu' adatti, e le possibilita' di interazione via web sono imbattibili dal punto di vista della velocita' e della personalizzazione della risposta. Occorre pero' che le informazioni siano disponibili in azienda velocemente, che siano comunicate con trasparenza, che siano pronte risposte alle piu' diverse richieste a conferma che le necessita' del cliente sono ascoltate e tenute in considerazione, che il punto di contatto sia preferibilmente unico, che il rapporto sia "ad personam", che la traccia delle comunicazioni sia registrata, (in modo) che la relazione col cliente sia empatica...

Le conclusioni sono gia' molto ben riassunte da Alessandra, che in particolare sottolinea:
Insomma, la valle vince su tutti e tre i fondamentali ("creating a safe, clean and friendly environment") indicati da Beth Freedman in un articolo su Marketing:travel e richiamati da Roberta Milano in un suo recente post. [...]
Certo, dalla Val Casies non escono esempi di campagne marketing particolarmente innovative; ma, come scrive oggi Augie Ray sul Forrester Blog,
Do you want people buzzing about your marketing or about your product or service?

Aggiungo solo alcune utili considerazioni "di progetto".
- La tecnologia puo' essere veramente molto economica dal punto di vista dei costi e del tempo speso, ma occorre sapere cosa usare e come: purtroppo, proprio quando i budget sono risicati, gli errori potrebbero rendere facilmente l'investimento, anche se sempre contenuto, non piu' sostenibile.
- Il linguaggio e le modalita' di comportamento in rete richiedono un minimo di pratica. E' quindi opportuno esercitarsi inizialmente in un ambiente protetto.
- La propensione alla qualita' del prodotto/servizio dev'essere onestamente un valore gia' acquisito nella cultura aziendale, perche' imbrogliare su questo non e' possibile, e anzi sarebbe molto controproducente
- L'organizzazione interna potrebbe richiedere una minima revisione, a condizione che sia gia' orientata da tempo a facilitare e valorizzare l'ascolto del cliente
- Relazione ed empatia saranno variabili cruciali, quindi occorre farsi un esame di coscienza e individuare e risolvere eventuali difetti nella relazione col cliente, precedentemente sottovalutati
- Ultimo, ma non meno importante: considerare la relazione con tutto l'ecosistema coinvolto, e non solo col potenziale cliente. Perfino fare rete col diretto concorrente puo' aiutare a raggiungere un maggiore successo (e piu' spesso di quanto non si creda).

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(*) A questo proposito si veda anche l'efficace diagramma di Susan Scrupski.


mercoledì 25 agosto 2010

Sciami e glomeri: gradi di coagulazione nella rete liquida

David WeinbergerVi segnalo questo bell'articolo di Giorgio Jannis sulla grumosita' della rete. A differenza del modello dei padri di internet (vedi Small Pieces Loosely Joined), a mio parere non ancora confutato, da tempo si stanno manifestando in rete, con sempre maggiore evidenza, modelli comportamentali generali che riportano alle consuetudini ante-internet. Altrove avevo indicato questo come il fatto (il rischio) che "il territorio si riperenda la rete", e l'avevo contrapposto all'obiettivo che "la rete si diffonda nel territorio", su cui si fonda il progetto "ecosistema 2.0".

Questa evoluzione non e' poi cosi' sorprendente, e in un certo senso porta ad una maggiore evidenza fenomeni che erano gia' latenti, o proprio presenti anche se in misura minore, fin dall'inizio. Volendo cogliere l'importanza di quanto veniva consentito per la prima volta nella storia del genere umano, grazie alla Rete, la presenza di questi fenomeni anche in Rete, e' stata (giustamente) poco considerata finora. Ma la diffusione di internet, e in particolare l'affermazione dei social network (facebook e gli altri), sta rendendo necessaria una maggiore attenzione. La rete e' liquida, si, ma ci sono numerosi fattori di coagulazione.

Inizialmente, in una prima era della Rete, una moltitudine di persone estremamente variegata (nessuna categoria esclusa), si ritrovava in un luogo virtuale ben preciso, riportando quindi la sensazione di un circolo apparentemente ristretto, accomunata non dai propri interessi specifici, ma dall'uso di un particolare strumento di comunicazione e socializzazione. In questo caso il mezzo non era solo il messaggio, ma perfino la classe, anche se, proprio per la sua disomogeneita' intrinseca, una classe senza identita' politica ed economica.

Ora che lo strumento in se' non e' piu' cosi' innovativo, e la diffusione del suo utilizzo e' tale da risultare quasi scontato, il semplice fatto di essere in rete non ha piu' alcun significato rilevante, ne' tanto meno risponde ad una ricerca di identita' o al bisogno di autoaffermazione. I social network in particolare, hanno reso una commodity l'appartenere ad un network. Altri sono quindi i motivi che portano ad aggregarsi in rete, e ritornano ad essere quelli di sempre: la rete ridiventa un semplice facilitatore.

Nonostante questo, e come Giorgio sottolinea nel suo articolo, riprendendo tra l'altro quello di Galatea, il valore della rete rimane nell'infrangere le barriere, nel rompere le scatole, nel gettare ponti, nello scavalcare i recinti dei giardini chiusi, nell'ibridare, nel far fluire e rigenerare la conoscenza, nel garantire dialogo confronto ascolto, nello scatenare creativita', pensiero laterale, visione a 360 gradi. Se tutto questo, nella prima era di internet, era quasi intrinseco alla rete stessa, adesso dipende dall'azione specifica di chi la vive e in essa agisce. Stiamo passando da una fase in cui la rete era un dato di fatto, ad una in cui la rete ritorna ad essere un atto da fare.

Divengono perciò importanti, sulla rete, ai fini della diffusione dell’informazione, quegli individui che hanno molteplici interessi, molti contatti e in qualche modo partecipano a molte cerchie trasversali. Questi possono permettere che informazioni presenti solo nella cerchia A passino anche alla cerchia B, che, altrimenti, potrebbe bellamente ignorarle. Non necessariamente costoro sono i cosiddetti “guru” del web, o blogstar: anzi, di solito l’autore di un sito o di un blog tende a crearsi una personalità ben riconoscibile, e affrontare quindi solo determinati argomenti. Questi “ponti” fra le cerchie possono essere anche personaggi molto anonimi: basta che la loro rete trasversale di contatti permetta di innescare, per effetto domino, una specie di tam tam in ambienti che solitamente non sono in contatto. Un po’ come la vecchia fantesca del villaggio, che nessuno considerava un personaggio importante, ma, andando di casa in casa, finiva col diffondere in tutti gli strati sociali le novità del giorno. Internet è un villaggio globale. In tutti i sensi.

via NuoviAbitanti: Socialità in Rete di Giorgio Jannis

Leggete anche tutto l'articolo da cui parte a sua volta Galatea, di Ethan Zuckerman, dal titolo originario "A wider world, a wider web", e tradotto sulla Stampa.it.

giovedì 19 agosto 2010

Facebook e il decadentismo digitale

Interessanti spunti di Sergio Maistrello e sul Post, sulla piattaforma piu' amata ed odiata al mondo... anzi la piu' usata, ma non amata:
Usiamo Facebook, forse anche troppo, ma non ci piace davvero. Questo almeno è quello che che rivela uno studio di ForeSee Results, che mette a confronto la quantità di utenti di un prodotto o servizio con la loro soddisfazione. Quando una piattaforma è la più usata è difficile distaccarsene, un po’ per pigrizia e un po’ per abitudine, soprattutto nel caso di un servizio come Facebook che richiede l’adesione di una quantità molto elevata di utenti per poter davvero funzionare. Spiega Businessweek:
Probabilmente è una variazione del concetto di «satisficing». La parola «satisfice», coniata nel ‘56 da Herbert Simon, economista e psicologo della Canergie Mellon University, combina le due parole «satisfy» (essere soddisfatto) e «suffice» (essere abbastanza), e descrive il modo in cui i consumatori fanno le loro scelte seguendo la strada più comoda. Nel caso dei social media, vai dove sono i tuoi amici.

Diverse le possibili spiegazioni di questo rapporto cosi' prosaico, con uno strumento che in molti casi assorbe incredibili quantita' di tempo ed attenzione. Sergio parla di aspetti funzionali e di experience, mentre nel pezzo citato qui sopra si parla di policy ostili.

Io aggiungerei anche la questione del saldo non sempre positivo, tra tempo investito e benessere e vantaggio guadagnato. Per quanto possiamo essere d'accordo sull'importanza delle reti sociali, della condivisione della conoscenza, della creativita' allo stato liquido, rimane sempre incompleto il livello di realizzazione di se', mancando almeno due grosse componenti: quella fisica, e quella progettuale. E per entrambi e' necessario il collegamento col territorio.

Facebook, come altre piattaforme di social networking, se considerate come strumento isolato, sono per la relazione fine a se' stessa. Questa non e' certo un'esperienza di scarso valore, e il suo potenziale in termini di benessere interiore, approfondimento conoscitivo e sviluppo di un senso comune sono importantissimi, specie dopo anni votati ad un individualismo che si trasformava molto spesso in isolamento. Ma superata la sbornia, e raffinate le esigenze, per relazioni piu' efficaci e per esperienze piu' profonde, inevitabilmente, la piattaforma (qualunque essa sia) mostra i suoi limiti, e il gioco alla fine stanca.

Da questo punto di vista Facebook non ha nulla di meno delle altre, se non forse la "colpa" di creare maggiori aspettative. Mi rendo conto che non ho risposto alla domanda di partenza dei due articoli (perche' scelgono tutti Facebook e non un'altra piattaforma?), ma sinceramente, a questo punto (509 milioni di utenti nel mondo, e quasi 17 in Italia - dati in tempo reale), non c'e' storia: la risposta e' perche' sono tutti qui.

Per capire l'ascesa di Facebook (argomento obsoleto, ma forse a qualcuno interessa ancora), io faccio sempre il paragone con Microsoft: all'inizio era l'unica risposta alle esigenze dell'utente "primitivo", poi, dopo la penetrazione del mercato a quote bulgare, e' diventato lo standard de facto. La lezione da imparare? sempre quella: saper cogliere l'attimo in cui milioni di utenti sono pronti per entrare in scena, ma tutti gli strumenti fino a quel momento offerti sono troppo complessi, adatti solo ad utenti geek. Un altro e' stato Skype.

Ma a questo punto la vera questione da porsi e' "cosa verra' dopo Facebook". Il recente articolo provocatore di Wired, sulla morte del web, segnala che nuove modalita' di utilizzo di internet (cioe' della infrastruttura di connessione sottostante il web) si stanno affermando. Inoltre, e di conseguenza, nuove reti saranno piu' agevoli (reti di cose, reti di posti... reti di dati...): ma queste cambieranno la nostra vita quotidiana (anche profondamente) da un punto di vista informativo e operativo. Su questa strada si potra' essere sempre piu' prosumer raffinati di contenuti, certosini cesellatori di nuove architetture informative, perfino barocchi impaginatori e manieristi dei messaggi, cicisbei nel social networking come cortigiani del Re Sole, per non parlare del dandysmo gia' dialagante nella scelta dei device di moda.

Cosa si prospetta invece del punto di vista relazionale (esperienziale) e cognitivo? Un salto quantico potrebbe effettivamente aversi sul piano semantico, sempre che questo ci consenta di spostarci ad un livello meta con la stessa funzionalita' e completezza con cui da qualche millennio usiamo le parole invece dei gesti. Qualcosa di piu' vicino temporalmente parlando, e di grandissimo potenziale potrebbe arrivare quando saremo in grado di dare il dono della parola agli oggetti. Qualcosa di altrettanto potente, potrebbe arrivare nel campo dei video, sfruttando le tecnologie ancora coperte da segreto militare nel pattern recognition e nell'analisi delle immagini. Riuscite ad immaginare cosa sarebbe in termini esperienziali relazionali e cognitivi, se si potesse passare dal linguaggio visivo a quello testuale e vocale in modo (semi) automatico ?

LinkedIn: i gruppi hanno rivoluzionato l'idea originale

Riporto qui la risposta che ho dato ad Alessandra Farabegoli, che si chiedeva nel suo blog se avesse ancora senso utilizzare LinkedIn nella maniera raccomandata inizialmente, cioe' registrando come contatto solo le persone effettivamente conosciute.
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Anch’io, Alessandra, mi sono posto la stessa domanda annni fa.

Da un lato gli stessi gestori raccomandano di “registrare” sulla piattaforma solo i contatti “veri”, e di lasciare alla piattaforma stessa il compito di percorrere tutte le catene lungo i vari gradi di separazione, contando su una referenziazione da parte delle persone coinvolte nei passaggi intermedi. Questo e’ fondamentale nel caso di contatti “delicati”, come per esempio quelli che riguardano progetti e clienti. Dall’altro il pragmatismo di avere un contatto diretto con molte piu’ persone di quelle gia’ conosciute, per avvicinarle piu’ velocemente e senza intermediazione. Questo e’ utile solo nel caso di contatti “superficiali”, in cui l’obiettivo e’ semplicmente quello di invitare ad un evento, o di segnalare un’iniziativa.

Anche se le due situazioni sono diverse, lo stesso professionista puo’ avere motivo di usare LinkedIn, sia nel primo che nel secondo modo. A questo si aggiunge il fatto che moltissimi adottano il banale comportamento di accumulare tra i propri contatti l’universo mondo, finendo quindi per essere “presenti” in ogni catena, ma non rappresentando affatto un modo congruo per concretizzare certi contatti. Entrambe queste cose mi hanno convinto che non e’ conveniente essere troppo selettivi, ma che certamente occorre comunque conoscere bene qual’e’ l’affidabilita’ delle persone che potrebbero completare la catena.

Dal 2007, LinkedIn ha introdotto i gruppi, e una nuova modalita' di comportamento si e' resa possibile. Per chi come me, e come te immagino, fa parte di molti gruppi con molti iscritti, e’ diventato molto facile avere la possibilita’ di entrare in contatto con la persona che interessa, grazie al fatto che si e’ membri dello stesso gruppo. Tutte le persone dello stesso gruppo possono entrare in contatto diretto tra di loro, almeno nella maggioranza dei grandi gruppi. Questa e’ diventata una importante via alternativa alle catene di contatti: in un certo senso, l’introduzione dei gruppi ha stravolto l’idea originale di LinkedIn. Naturalmente contatti di questo genere sono utili solo per situazioni poco delicate o impegnative. In compenso la qualita’ del contatto, in questi casi, non e’ piu’ data da quella degli intermediari, ma risulta effetto collaterale della reputazione costruita nel gruppo.

martedì 17 agosto 2010

Fattori chiave per un "vero" Enterprise 2.0

Introdurre in azienda "effettivamente" l'Enterprise 2.0 non e' una questione di tecnologia o di marketing, ma ha piu' a che fare con il "ripensamento dell'intera azienda". Questa e' un'affermazione che ormai viene ripetuta spesso nel settore, e quindi non dovrebbe piu' sorprendere.

Questo ripensamento puo' (e deve) richiedere molto tempo: ma della sua pervasivita' se ne puo' stare certi. Si potrebbe quindi gia' concludere che l' Enterprise 2.0 non e' per tutti, ma per coloro, aziende o persone, che hanno gia' maturato la volonta' di un cambiamento profondo, oppure e soprattutto, che avendolo gia' avviato, lo vogliono sostenere con metodi e tecniche appropriate.

Se non siamo in uno di questi due casi, e anzi c'e' qualche radicata abitudine e profondo convincimento che tale cambiamento e' vissuto come un "male necessario", e' importante non illudersi che l'introduzione in azienda di nuove tecnologie abilitanti, e di qualche nuovo modello comportamentale basato sulla condivisione (semplicmente scritto in qualche procedura interna), saranno sufficienti a scatenare il cambiamento atteso. Tanto meno in poco tempo.

Quali sono quindi i fattori chiave per un "vero" Enterprise 2.0, che vanno verificati come esistenti o desiderati prima di incominciare? Ci aiuta questa check list di Deb Lavoy, ora Product Marketing for Social Media in OpenText.

1) Il valore deve essere riconosciuto a chi condivide, non a chi si rende collo di bottiglia.

2) La perfezione, l'esattezza non esistono, ne' lo saranno mai. Questo non significa che l'approssimazione e l'incompetenza debbano prendere il sopravvento, ma che il timore per le critiche e gli insuccessi non deve rallentare e compromettere la determinazione nell'innovazione e nella ricerca di miglioramento. Inutile quindi negare e nascondere cosa e' andato male. Naturalmente bisogna quindi dimostrare di sapere imparare (bene e presto) dagli errori fatti (detto anche "fail fast")

3) Dal punto precedente, consegue anche che si puo', e si deve essere trasparenti. Piu' facilmente e utilmente, internamente all'azienda.

4) A cascata dai punti precedenti, si puo' e si deve aumentare la partecipazione. Occorrono piu' punti di vista, piu' capacita' creativa, piu' conoscenza "di insieme": piu' partecipazione non e' solo sintomo e causa di un maggiore benessere aziendale, ma di maggiore efficienza e profitto.

5) E il capo che fine fa? (in molti se lo staranno chiedendo). Il vero capo e' riconosciuto per la capacita' di inquadrare il contesto, coinvolgere le persone e orchestrare l'azione. E' una rara combinazione di affidabilita' e umilta'. Charlene Li la chiama Open Leadership (vedi qui sotto una presentazione del suo ottimo libro omonimo ). Un'altra persentazione di Deb Lavoy qui.

6) A questo punto un reale modello collaborativo puo' attivarsi, in cui sono valorizzati i punti di forza dei singoli, e sminuiti quelli di debolezza. Purche' ci sia:
  • Una missione condivisa
  • Rispetto reciproco
  • Fiducia
  • Determinazione in un continuo miglioramento

Dunque i modelli che finora hanno dominato in azienda ("comando e controllo", "divide et impera" ...) sono da abbandonare definitivamente? Ci sono contesti e contesti: l'importante e' riconoscere che in nuove situazioni, e fronteggiando nuovi problemi, un nuovo approccio e' possibile.