martedì 31 marzo 2009

Imparare l'arte torna ad essere importante

Ho commentato questo bellissimo post di Andrea Beggi, dal titolo "Artigiani":

clipped from www.andreabeggi.net

Questa settimana ho fatto cucire la sella del mio scooter che aveva bisogno di una riparazione. Grazie al passaparola ho trovato in pieno centro di Genova questo scantinato vecchissimo dove sono stato accolto da un anziano signore.

Tutto in lui trasudava esperienza: il suo laboratorio, che sembrava fermo a 40 anni fa, non fosse stato per la Panda parcheggiata all’interno, la sua cappa blu, il suo viso scavato dalle rughe, la tranquilla cadenza in antico genovese, il modo in cui le sue mani saggiavano il danno.

Quando sono tornato a riprendere il mezzo, la sella era ricucita alla perfezione, e per scrupolo è stato anche rifatta una parte che ne aveva bisogno e della quale non mi ero neppure accorto. Al momento del pagamento questo signore mi chiede “Quanto le avevo detto?”. “Non ne abbiamo parlato”, rispondo. Mi dice una cifra: avrei pagato tranquillamente il doppio senza fiatare. Me ne vado soddisfatto.

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Certamente “a quel tempo” c’era una concezione diversa del lavoro. Questo post bellissimo mi fa pensare che di queste cose si parla sempre piu’ spesso, come di una mancanza da colmare, di un ritrovare le arti e mestieri per i quali questo paese e’ diventato famoso nel mondo, di un nuovo rinascimento che sta montando.

Mi chiedo anche se questa diversa concezione del lavoro debba essere appannaggio dei soli artigiani. Il lavoro manuale, lento, di precisione, e’ veramente l’unico teatro in cui mettere in scena tanta sapienza e passione ? Perche’ non potrebbe essere lo stesso per un programmatore, un grafico, e perfino un venditore ? “code is poetry” vi dice qualcosa, immagino.

Dunque non e’ tanto nel vecchio mestiere, il punto, quanto in una concezione del lavoro che valorizza il professionista, la passione che trasfonde nel suo lavoro, nei livelli di qualita’, di eccellenza che raggiunge di conseguenza. Il colpevole e’ sicuramente il “consumismo”, che spinge alla produzione frettolosa e in grande scala, alla produzione di oggetti destinato a durare poco per poi essere sostituiti, ad un’innovazione cosi’ frenetica che non concede tempo per profonde specializzazioni.

Ma tutto questo sta lentamente cambiando. Nell'economia globalizzata non possiamo piu' competere con chi sa "semplicemente fare". E' finito il tempo in cui il "made in italy" aveva valore. Dobbiamo tornare a trasferire tutta la nostra "italica" cultura nel manufatto, nel prodotto, nel servizio. Ma soprattutto dobbiamo renderci conto, addirittura a livello europeo, e nel mondo occidentale, che se il nostro ruolo si sposta sempre piu' verso compiti da knowledge worker, verso un'economia dell'innovazione, verso un ripensamento in termini culturali e idealistici dei prodotti e dei servizi, non e' piu' con il modello del lavoro fordista che possiamo affrontarli. Qualunque siano le professioni che siamo chiamati a fare, non e' nel freddo "meccanicismo", e nella velocita' di esecuzione, che possiamo raggiungere la sperata e necessaria eccellenza.

E questa crisi e’ forse proprio il segno che il cambiamento e’ profondo e traumatico, tanto a lungo ci eravamo sprofondati in quelle dinamiche industriali e di mass market. Speriamo che sia un cambiamento benefico, alla lunga. Anche se oggi le arti non sono piu' le stesse, "imparare l'arte", ovvero puntare alla qualita' piu' alta, rimane anche oggi quanto mai importante. Dunque, Impara l'arte, e non metterla da parte!

[Update 31/3 13:00, dopo il commento di Giorgio]
Oggi sono richiesti altri ritmi ? quindi altri livelli di "completamento" (l'eterna beta release) ? conta piu' aprire opportunita' che non risolvere problemi ? benissimo! ... ma perche' ? questa velocita', questa imperfezione, questa liquidita' NON sono il fine, ma il mezzo. Sono tecniche che compongono una nuova professionalita'. Sarebbe un grande errore (e purtroppo e' molto frequente) ritenere queste caratteristiche "sufficienti" a definire un nuovo livello di qualita'. Non e' il procedere a vanvera, non e' il culto dell'errore e dell'inutile, cio' che conta oggi: invece e' il saper esplorare, il riconoscere nuove logiche e nuovi percorsi, nuove applicazioni.

Allora, la questione e' che ci sono (nuove) arti da imparare, e nuove tecniche di cui diventare "maestri". Ma oggi non e' diverso da ieri: mettici profonda competenza e sincera passione. Esattamente come l'artigiano di ieri. Si tratta di nuovo di recuperare il "senso" di cio' che si sta facendo, e della sua interpretazione, che esperienza e soprattutto conoscenza rendono magistrali. Cio' che sta cambiando (e che l'artigiano ci puo' ricordare che un tempo apparteneva alla nostra cultura) non e' il singolo mestiere, ma l'importanza del professionista nell'esercizio della sua professione, il ritorno della centralita' della persona nell'ambito del lavoro che svolge, la capacita' del singolo di mettere cultura, capacita' di comprensione e interpretazione (e quindi secoli di storia) nel proprio lavoro, quindi la capacita' di "umanizzare" cio' che facciamo! Oggi siamo/dovremmo essere tutti professionisti, come ieri eravamo tutti artigiani: questo e' il punto che ci eravamo persi.

giovedì 19 marzo 2009

Rete chiama Territorio. Mi sentite? Qui Territorio. Abbiamo un problema.

Il web sta per compiere 20 anni, ed in effetti io "ci vivo" da sempre, con passione, in tutta la sua continua evoluzione (web1.0, web2.0 ... o come si vuole chiamare le fasi storiche ben riconoscibili che ha attravesato), giocando con molti tipi di strumenti e modelli di business e comportamentali. Ho anche alle spalle anni di esperienze "nel territorio", dal momento che la carriera professionale mi ha portato a costruire organizzazioni in aziende di grande e piccola dimensione, e a confrontarmi con vari tipi di mercati; anche in questo caso la passione mi ha portato a conoscere le varie criticita' e potenzialita', a 360 gradi.

Proprio in base a questa esperienza, mi sono spesso trovato a provare la strada di una sinergia tra rete e territorio, ma ho dovuto ammettere l'esistenza di una barriera tra i due mondi: portare l'approccio a rete, nel territorio, mi ha fatto sbattere la testa contro un muro parecchie volte.

Nel corso del tempo le cose sono cambiate e stanno cambiando. Da un lato le "organizzazioni aziendali", ma piu' in generale i sistemi economici sociali e politici piu' strutturati e radicati, continuano ad essere "resistenti" ad un approccio aperto, di riconoscimento reciproco (peer to peer), di generosita' talvolta anti-economica e di ricerca di uno sviluppo sostenibile win-win. Ma dall'altra parte, le "persone" hanno abbracciato con entusiasmo questa opportunita', si sono presi la Rete, e ne hanno fatto un luogo di innovazione e cambiamento radicale.

Ma nulla e' bianco o nero soltanto. Costruire risultati nel territorio e' ancora imprescindibile, tanto per un'azienda quanto per una persona. D'altra parte in internet si corre il rischio di una deriva troppo tecnologicamente determinata, fondata sulla segmentazione, sulla virtualizzazione e quindi sulla mascheratura, su una eccessiva liquidita'.

Ecco quindi, oggi piu' che mai, l'esigenza di esplorare uno spazio nuovo, internet + territorio, superando le fratture e le contrapposizioni, sperimentando nuovi strumenti e nuovi metodi, e le potenzialita' che aprono a noi tutti, sia in termini di manifestazione che di azione. L'esperienza in questo nuovo ecosistema e' la principale innovazione del XXI secolo.

Ci sono tantissimi spazi su internet dove parlare di internet, e dove parlare di come innovare nel territorio, da anni ormai. Ci sono anche tantissimi eventi nel territorio in cui si parla di come innovare il territorio, e di come sia bello ma lontano il web, anche in questo caso, da anni ormai. Sono stati utili ed efficaci ? La mia sensazione e' che internet e territorio hanno proseguito su due percorsi evolutivi che poco hanno risentito di tanto parlare.

Ecosistema 2.0, finora solo su facebook, e ora anche su ning, vuole essere il "lato virtuale" di uno spazio che non conosce salti tra web e territorio, e il cui "lato reale" e' presente, imprescindibile, nella forma di eventi ed azioni nel territorio. Si, azioni, perche' "Ecosistema 2.0" non e' uno spazio solo per parole: qui network si intende come net-work. "Ecosistema 2.0" e' un incubatore di iniziative, un luogo in cui le idee nascono, crescono e si fanno azione. In cui una crescente autoconsapevolezza, e lo scambio continuo di contributi ed esperienze, genera incessantemente piccoli e grandi progetti, la cui realizzazione diffonde cambiamento.

Nulla del Territorio, rimane escluso: le persone, la storia e la cultura, arti e mestieri, sentimenti e socialita', network di professionisti, aziende in rete, pubblica amministrazione, sanita' e servizi sociali, organizzazioni territoriali, il territorio come risorsa, l'ambiente e il turismo, ... Tutto chiede cambiamento, tutto merita che sia colta una grande opportunita'. A tutto la Rete puo' dare delle risposte. Ma la Rete dev'essere convincente, altrimenti le logiche del Territorio non solo rimarranno ben salde, ma finiranno per inquinare la Rete stessa.

Naturalmente in questo modo emerge una forte localizzazione, che d'altra parte non e' intesa solo nel senso di una ricaduta da una dimensione globale dominante, ma proprio come una fonte di valori ed esperienze da riscoprie e rivalutare, e da riposizionare nel nuovo spazio "glocale".

giovedì 5 marzo 2009

Social Business Networking: reti, non scatole!

Da qualche giorno, alcuni pensieri che mi ritornano in testa da tanto tempo, stanno diventando chiarissimi, anche alla luce dei successi testimoniati nella mia regione dalla recente iniziativa di Nordest Creativo (Treviso, 19/2/09), e dalle difficolta' di altre iniziative, progressive correzioni in corso a parte.

Innanzi tutto, sembra proprio che la "galassia Social Business Network" sia piu' articolata di quanto a prima vista non si pensi. I s/b network non sono tutti uguali e non tutti i networker hanno lo stesso spirito. Fin qua, nessuna sorpresa, se consideriamo che rispecchiano la varieta' e complessita' del "genere umano".

C'e' un punto, pero', su cui mi sembra importante porre l'attenzione: la differenza tra il "modello a scatola" e il "modello a rete". Non voglio dire che solo il secondo e' "giusto", perche' mi sembrerebbe scivolare su una posizione troppo manichea, ma sono assolutamente convinto che la vera novita' e il vero valore sta nel modello a rete.

Nel "modello a scatola", i social network sono contenitori, e le persone riempitivi. In questo caso i s/b network sono ridotti a meri strumenti di aggregazione per accumulazione di utenti, e questo corrisponde inevitabilmente ad una visione dei networker come di una massa illusoriamente emancipata.

Siamo ancora nel one-to-many. Infatti si dice che sono la versione moderna dei sindacati e dei movimenti. In questo caso si dice TUTTI, ma e' come dire NESSUNO. Si dice "2.0", ma solo perche' al gregge di oggi piace sentirselo dire (e comunque non sa cosa vuol dire).

Sono diversi i fattori che spingono verso questo modello. Innanzitutto perche' e' quello a cui siamo abituati, e' quello "storico". Da sempre le persone si sono riunite in partiti, associazioni, sindacati, movimenti... In questi casi, la ricetta comprende sempre: un' idea, un po' di ritualita' per sostenere l'identita' di gruppo (feste con format predefinito, tesseramento, propaganda, ...), e nei casi piu' fortunati, un buon leader carismatico. Importante sottolineare che l'identita' fa parte del pacchetto offerto ai soci. E spesso questa identita' e' basata sulla "separazione": o con noi o contro di noi.

Difficile dire se questo modello debba essere abbandonato: certamente e' evidente che e' ancora molto praticato. C'e' nelle persone ancora troppa pigrizia e scarsa coscienza, ancora troppo costume da "massa"; e da parte di qualcuno c'e' ancora troppa voglia di "potere", di essere il "proprietario" della scatola, o il principale influenzatore, o almeno di mostrarsi tale.

Apparentemente, la "legge dei grandi numeri", e il principio che in democrazia vince la maggioranza, giocano a favore del "modello a scatola". Infatti, viene facile pensare che un gruppo di 100.000 persone conti piu' di uno di 100. Ma e' davvero cosi' ? Guardiamoci intorno, per favore.

C'e' anche una confusione di fondo, da alcuni palesemente dimostrata, sullo scopo e sul valore dei s/b network globali che la Rete ci mette a disposizione. LinkedIN, Facebook, e tanti altri, sono nati per permettere ai membri di fare rete tra loro, ma sono stati interpretati da alcuni come "scatole piene di biglie colorate", da prendere a man bassa per la "propria" collezione. Prova ne sono le continue contestazioni su quel limite di LinkedIN sulla visibilita' di piu' di 500 link.

In opposizione al precedente, c'e' il "modello a rete": quello emergente, appassionante, e dal potenziale dirompente. Quello che riproduce nella societa' l'idea formidabile di Internet. Quello che fa parlare di web2.0, come di una conquista dell'umanita', e non di una vuota convenzione di markettari. Infatti, se e' vero che Tim Berners Lee (un vero genio, ma non un dio) ha creato proprio 20 anni fa, un potentissimo protocollo di interfaccia per l'information management, certamente la rivoluzione che ne sta conseguendo nella societa' a 360 gradi, e' questione di tutt'altra portata.

Nel modello a rete, banalmente non ci sono tesserati ma PERSONE. Ogni persona e' un "nodo attivo", con identita' e sentimenti. E come tale "conta": e' in grado di rielaborare e rilanciare; di generare conoscenza; di creare. Nel modello a rete non solo non c'e' "separazione", ma c'e' qualcosa di piu' di "unione": c'e' "sinergia".

Le persone, quindi, vengono prima di tutto. Poi queste parteciperanno e animeranno 10 100 1000 social networks, a seconda dei loro bisogni e piaceri. Le persone non sono quindi i contenuti di questo o quel s/b network-scatola, ma al contrario usano questo o quel s/b network come strumento della loro espressione di se'.

Se le persone vengono prima di ogni altra cosa, ne segue chiaramente che prima si creano rapporti di fiducia con gli altri conetworker, tali da scatenare una propensione impellente alla collaborazione, e poi arriva l'adesione a questo o quel s/b network, con un atteggiamento che sara' conseguentemente aperto, trasparente, generoso, e, ultimo ma non meno importante, gioioso. Allora si, che la logica che si scatena e' di tipo win-win, e che il vantaggio e' garantito per tutti, cosiccome per il network stesso. In questo caso si puo' parlare di approccio "ecosistemico".

Se poi si tratta di professionisti, allora scatta anche la disponibilita' a referenziarsi mutuamente, e comunque a mettere la propria reputazione sullo stesso tavolo. A quel punto qualsiasi social network diventa anche un business network, in cui le relazioni sociali diventano occasione per dare vita ad affari.

Comprendere questo non e' poca cosa, e non bisogna illudersi, in tempi in cui la parola "s/b networking" e' sulla bocca di tutti, che tutti ne abbiano la stessa profonda coscienza. Ne' puo' bastare per i piu' volenterosi, ma solo perche' vedono la possibilita' di cavalcare l'onda del momento, vedere fallire piu' volte un approccio ambiguo, fondamentalmente viziato da motivazioni personalistiche e da atteggiamenti irrispettosi delle persone. E' un po' come il moscone che sbatte piu' volte sulla meta' della finestra che e' chiusa: il numero delle botte sul vetro non lo aiuta a capire che l'altra meta' della finestra potrebbe essere aperta. Un gap culturale, per essere colmato da chiunque, richiede tempo, divulgazione e sperimentazione, e dimostrazione sul campo dei passi avanti, conquistati giorno dopo giorno.

E a proposito dei "numeri" ? Sembra che la dimensione e' destinata a rimanere piu' contenuta nel modello a rete. Costruire una vera rete di relazioni fra 10, 100 persone e' obiettivamente difficile (anche se enormemente piu' facile oggi rispetto ad un tempo, grazie a internet) e richiede tempo. Ma vale molto di piu' una rete forte tra 10 persone che un "mucchio" di 100, 1000 iscritti.

Appare evidente, a questo punto, che tra "scatole" e "reti" passa una bella differenza, anche se oggi ci si puo' trovare esempi dell'uno e dell'altro caso, tutti sotto il nome di s/b networking. Le dinamiche sono enormemente diverse, il potenziale enormemente maggiore.

Mark Zeckerberg, fondatore di FacebookReid Hoffman, fondatore di LinkedINChiudo con una considerazione tecnica. Come dicevo prima, LinkedIN e Facebook, ma anche un ning "fatto in casa", sono solo strumenti abilitanti. Nel caso dei due colossi, si potrebbe facilmente confonderli come "scatole" dato l'enorme numero di iscritti, ma ho gia' detto che significherebbe perdersi moltissimo usandoli in questo modo. D'altra parte, costruirsi un ning per realizzare un piccolo facebook locale e personale, sarebbe una piccola follia, per come la vedo io.

Invece la vera sfida e' costruire la "propria rete" all'interno della grande rete, come LinkedIN/Facebook (o simili...). Del resto proprio con questo scopo sia Reid Hoffman che Mark Zuckerberg, hanno dato vita alle loro piattaforme. Allora, ecco che una buona applicazione di ning, magari combinando l'utilizzo di diversi social media e altre azioni sul territorio, puo' servire benissimo allo scopo.

[Update 7/3/9 11:00] Questo articolo e' "reblogged" anche qui:
- Facebook, note di Gino Tocchetti, con >50 commenti
- Nordest Creativo, il blog
- GreenConceptLab, di Daniel Casarin :: GenitronSviluppo