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mercoledì 13 aprile 2011

Walk and talk e l'economia della fiducia

Faccio spesso lunghe passeggiate antistress e meditative, piu' o meno di corsa, in cui i passi e i respiri si succedono come colpi di setaccio, col risultato di separare tossine corporali e mentali, e di riordinare fibre muscolari, neurofilamenti e fili logici. E' un po' come stendere nuova fibra ottica per le mie idee.

Da qualche tempo, complice la primavera e le nostre bellissime colline, coinvolgo amici di network, con cui si puo' parlare di passioni comuni e di potenziali progetti. Questi incontri, che ho battezzato walk&talk, integrano molto bene le riunioni di lavoro, intorno a tavoli ricoperti da una potenza di calcolo e multimediale che dieci anni fa avrebbe esaurito il budget annuale per l'infrastruttura tecnologica di una piccola azienda, o quelle vaporizzate nella nuvola. In quelle, anche avvalendosi di tecniche patentate per il brainstorming e la liberazione della creativita', si oscilla tra l'assillo del metodo e quello dello strumento, rimanendo condizionati dal senso del dovere morale e professionale (ok, gli italiani molto meno).

Ma i walk&talk sostituiscono molto bene anche la cena di lavoro, tutta nostrana, o la partita a squash, piu' anglosassone, o altre attivita' gastro-ludico-sportive riproposte come team facilitating: forse qui siamo piu' vicini ad un round di golf, ma piu' genuino, accessibile e forse anche piu' divertente. In quei casi, infatti, la dinamica della cena o della partita, finiscono per prevalere e governare la conversazione, quindi quello che guadagni sul piano sociale, lo perdi poi su quello dell'approfondimento. Durante un walk&talk si viene piacevolmente interrotti dalla comparsa sul cammino di castelletti e casone ciascuno con una storia da raccontare, dagli improvvisi scorci sulla pianura e sulle montagne piu' vicine, o da discussioni sulla edibilita' di fiori bacche ed erbette: ma tutto questo e' funzionale a mantenere leggera la discussione, lungo una rotta a volte sconosciuta all'inizio, nonostante scarrocciamenti anche forti.

Oltre tutto nei walk&talk e' prevista la sosta nell'agriturismo locale, non quello che trovi sul portale turistico, ma il cui cartello indicatore e' una vecchia tavola di legno, non ha biglietti da visita e trovi da mangiare i frutti del territorio, naturalmente se arrivi prima che finiscano. Questo significa che la discussione sull'opportunita' di business che ti preme definire, viene interrotta da battute e risate inter-tavolaccio sulla ripartizione dei compiti tra il gestore la moglie e i figli, da divagazioni e consigli sulla coltura dell'ulivo e sulla stagionatura del vino, dalla valutazione dei consorzi agrari fatta in base alla sensibilita' nella scelta dei trattamenti proposti.

Dunque mentre correvamo a passo lento, ci siamo trovati a discorrere della difficolta' di formare reti sia tra gli imprenditori clienti che tra i collaboratori e i liberi professionisti. Quello che io vedo essere la questione dell'economia di ecosistema. Poche volte ho visto un problema tanto comunemente sentito, patito vorrei dire, e contemporaneamente cosi' poco conosciuto e discusso, per non dire lasciato alla buona sorte di qualche incontro voluto dal caso. Ne avevo parlato qui, in occasione del VeneziaCamp2009.

Eppure e' noto a tutti il progressivo snellimento delle strutture organizzative, e la crescente necessita di cooperare tra strutture aziendali che non rispondono allo stesso decisore, se non con professionisti che appartengono ad aziende diverse, o addirittura con rappresentanti della controparte che "vera controparte" non sono piu'. Si moltiplicano le partnership, i fornitori diventano anche clienti e viceversa, i consumatori diventano prosumer. In questo contesto gli interlocutori diventano quasi tutti "liberi professionisti", anche se inquadrati in qualche organizzazione, e vengono meno le "regole di contorno" che renderebbero piu' lineare (rigida eppur protetta) l'interazione.

In sostanza, la capacita' di collaborare e formare reti in modo efficace, chiamiamole proprio "trust network", e' sempre piu' una competenza richiesta ai singoli partecipanti, i quali dovrebbero adottare accorgimenti come fossero aziende che vogliono vendere i propri prodotti in internet. D'altra parte dovrebbe essere una caratteristica tecnica delle reti molto grandi rendere evidente il livello di fiducia esistente, il web of trust sovrastante. Sempre meno spesso il modello organizzativo, e i manager che lo applicano, possono assicurare efficienza ed efficacia: questi ultimi possono invece assumere un ruolo motivazionale e facilitativo, ma proprio per questo motivo rimangono schiacciati tra la responsabilita' e l'indeterminatezza di cio' di cui sono responsabili. Comando e controllo sono armi spuntate, se non proprio strumenti controproducenti: potrebbero imporsi come una cappa deprimente la motivazione e il fluido scambio collaborativo e conoscitivo.

Dunque la capacita' di formare trust network, sta diventando una delle competenze piu' preziose, sia per il singolo professionista, che per i diretti interessati alla rete e al suo potenziale. Quali sono i costi economici e sociali dell'incapacita' di creare trust network, nel lavoro come nella vita civile? Quanto tempo perso, quanta qualita' compromessa, quanta innovazione mancata? E vogliamo parlare della fiducia nei mercati, dell'attenzione e del consenso da parte degli interlocutori che ovviamente si curano solo di chi si fidano? E dei costi connessi a comportamenti improntati ad una caduta di fiducia? In California stanno correndo ai ripari.

The Economics of IntegrityNon e' forse questa capacita' di creare fiducia, e motivazione alla collaborazione, un ragionevole obiettivo da assegnare a programmi formativi, servizi consulenziali e a sforzi organizzativi? A questo punto io parlerei di economia della fiducia (come appunto ha gia' fatto Anna Bernasek in The economics of integrity).

In progetti improntati all'Enterprise 2.0, cioe' all'attivazione e potenziamento di reti aziendali e interaziendali, e tra aziende e mercati, dove e' fondamentale l'accento sulle persone e sulle relazioni che le legano, uno dei fattori cruciali, a questo punto e' evidente, non puo' che essere la fiducia. Cos'e' un progetto di enterprise 2.0 se non un progetto per coltivare e trarre beneficio da relazioni di fiducia all'interno dell'azienda, e tra l'azienda e il suo ecosistema?

sabato 10 ottobre 2009

Web di terra e web di acqua, e le persone a coltivare

Ecosistema 2.0 si focalizza sulla considerazione che l'ecosistema territoriale e quello digitale andranno sempre piu' sovrapponendosi, per il semplice motivo che ad abitarlo sono le stesse persone. Quale potenziale si libera man mano che cade il muro che ancora si percepisce? Quale valore porta un'applicazione piu' diffusa dei modelli a rete? Quale spinta di innovazione pervadera' il nuovo habitat, sia nella dimensione sociale, civica, economica, politica? Sono queste le stesse domande, insieme alla sfida di concretizzare risposte, che il progetto Cittadinanza Digitale pone all'attenzione di Venezia.

Il contributo di Ecosistema 2.0 al VeneziaCamp non sara' quindi solo di partecipazione e promozione nell'ambito del proprio network, ma ambisce a portare stimoli e a chiarire concetti utili per tutti coloro a cui il progetto Cittadinanza Digitale offre grandi opportunita', a condizione di comprenderne e saperne sviluppare potenziale.

Da questa'estate si e' proceduto con una fitta rete di interazioni con gli amici e i professionisti, e con i rappresentanti dei network, insomma tutti coloro che hanno dimostrato una consonanza di interpretazione dei modelli a rete, e una similitudine di approccio. Sono stati quindi identificati via via una rosa di interventi, dal carattere piu' fondamentale e di ispirazione, a quelli piu' concreti che riportano testimonianze della forza dei modelli a rete applicati nel territorio aumentato dal supporto di internet.

E' stato quindi presentato un progetto bozza, dal titolo "Civicita': una citta' intermedia tra locale e globale", al comitato organizzatore che ha innanzitutto apprezzato il valore e ha suggerito l'utilizzo di una delle sale dell'Arsenale, nella giornata di sabato 24 dalle 14:30 alle 18:30. I temi che sono emersi da questa prima fase, e alcune modalita' di presentazione, sono stati anticipati nell'incontro di Vicenza, "Venezia chiama, il territorio risponde", in vista del VeneziaCamp, il 7 ottobre.

La modalita' di presentazione che sara' adottata a Venezia, e' ispirata alla metodologia "ignite", pero' ammorbidita e resa piu' congrua con le prassi ricorrenti in Italia. Questa decisione e' stata presa proprio dopo aver consultato il preziosissimo sito di Ignite Italia. In questo momento si prevede di dare 12 minuti a testa e 20 secondi a slide come riferimento. Inoltre, dopo il giro di presentazioni e' prevista una seconda fase in cui si discutono le stesse, si fanno domande, ed eventualmente - se le domande lo rendono opportune - si possono esporre altri 3 minuti. Questi parametri sono stati "testati" a Vicenza, dove pero' il contesto era differente proprio perche' l'obiettivo della serata non era quello di riprodurre l'intero intervento di Venezia. Ragionando sul risultato di Vicenza, si potranno avere ulteriori aggiustamenti dell'intervento a Venezia.

L'incontro di Vicenza, a cui hanno partecipato 25 persone (20 era l'obiettivo) e' stato diviso in 3 parti:
18:30-19:30 : happy hour e rottura di ogni barriera tra i partecipanti provenienti da gruppi diversi, o nuovi nel contesto
19:30-21:30 : giro di presentazioni, con 4 minuti (12 slide) a testa
21:30 : cena

I temi trattati sono stati:

Inspirazione.
0) Gino Tocchetti: Introduzione all'incontro e su "cos'e' la rete?"
1) Sergio Los: Voglia di civicita' (assente giustificato);
2) Sophia Los: Riti per reti;
3) Stefano Rossi: Governare reti, governare con le reti;
4) Maurizio Salamone: Modelli collaborativi: dal mondo naturale alla chiave simbolica;

Espirazione.
5) Federica Festi: Land through the social web
6) Mattia Ballan: Rubano citizens - cittadini 2.0
7) Barbara Zen: Coworking project: il lavoro nomade
8) Samuel Gentile: Startgreen: come la rete aiuta a creare nuova impresa;
9) Dario Bonaldo: Energie rinnovabili e valore sociale: un modello abilitato della rete;
10) Matteo Brunati: Internet delle cose veneziane
11) Stefano Schiavo: Lean 2.0: un approccio integrato per l'innovazione organizzativa

Federica Lago ha introdotto il progetto Nodo Expo 2009.

Diciamo subito che il programma e' stato rispettato puntualmente fino alle 21:30, e che sia l'aperitivo che le presentazioni hanno funzionato come ci si aspettava, generando un grande coinvolgomento generale, un'atmosfera cordiale e informale prima e poi piu' concentrata (anche se mai supponente) durante le presentazioni.

Sul finire della seconda fase, il giro di domande era cosi' consistente e da parte di tutti, che e' stato necessario sforare fino alle 22:00, mettendo a dura prova sia la concentrazione dei presenti - si trattava pur sempre di una serata infrasettimanale e per molti questo periodo e' gia' intensissimo per motivi professionali - e anche la pazienza del cuoco!

Ad un certo punto, rientrando nella sala, poco prima della cena, quindi dopo 3 ore dall'inizio, sono rimasto affascinato dall'entusiasmo con cui tutti ancora si confrontavano e si divertivano insieme.

Possiamo dire che l'intento iniziale e' stato realizzato: una serata molto bella, ludica e divertente, ma anche ricca di stimoli e di confronti sinceri e di approfondimento. Un'altra piccola festa del networking in veneto (e nemmeno tanto piccola conoscendo un po' tutte quelle dell'ultimo anno). E non bisogna dimenticare che era una riunione di preparazione al VeneziaCamp, quindi col preciso compito di "sperimentare", e di conseguenza prevedendo di sbagliare per poi imparare come correggere.

Una serata che esprime perfettamente lo spirito di Ecosistema 2.0, dal momento che il potenziale dei modelli a rete e' stato l'elemento caratterizzante sia per i contenuti che per l'organizzazione stessa della serata, ma anche e soprattutto le persone, e il capitale sociale delle loro relazioni, e' stato il presupposto e insieme il risultato fondamentale.