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sabato 8 dicembre 2007

Lean Thinking: pensa snello ... al tuo cliente

Alla base del "lean thinking" ci sono alcuni semplici concetti, naturalmente, visto che l'obiettivo e' proprio "semplificare e focalizzare". Ad esempio: "Il consumo di risorse è giustificato solo per produrre valore altrimenti è spreco." Una visione del "lean thinking" in termini puramente organizzativi, si capisce subito, sarebbe chiaramente parziale e a rischio di clamorosi fallimenti.

Cos'e' una Lean Enterprise ? Secondo il Lean Enterprise Institute, a business system for organizing and managing product development, operations, suppliers, and customer relations... Fermarsi qui sarebbe un grosso errore. ... Business and other organizations use lean principles, practices, and tools to create precise customer value. Dunque il lean thinking si deve fondare su una solida base di marketing, che possa specificare con accuratezza gli input del processo di "semplificazione e miglioramento", e quindi i parametri di qualita' dei prodotti e dei servizi da produrre.

Certamente ne e' passata di acqua sotto i ponti, da quando in Toyota fu lanciato questo modello di revisione organizzativa, nel '90. Non molto pero' e' cambiato: Womack, Jones lo ribadiscono nella seconda edizione di quest'anno. Pero' anche se rimane certamente critica l'applicazione, oggi piu' di ieri e' ancor piu' critica l'impostazione: un errore nella definizione di cio' che e' valore comporterebbe a catena conseguenze molto gravi. E il "valore" e' quello percepito come tale dal cliente.

Il lean thinking non e' quindi, solo, un metodo per ridurre costi (e soprattutto sprechi), e nemmeno, solo, un metodo per aumentare la qualita' (miglioramento continuo): e' soprattutto un modo per aderire sempre piu' sui bisogni e desideri del cliente (Getting the Right Things Done). Produrre "just in time" permette infine di aderire il piu' velocemente possibile, ma questo viene dopo. Dunque tutta la Learn Enterprise, dal Marketing agli Acquisti, alle Risorse Umane, alla Produzione, deve essere permeata da una cultura lean (A3 thinking), e collaborare agli obiettivi dettati dal mercato.

Conseguenze di queste semplici considerazioni sono alla base della revisione dei benefici attesi dall'outsourcing verso paesi con bassi costi di produzione. In Germania molte aziende stanno tornando a produrre all'ovest, in quanto il calo della qualita' nelle fabbriche all'est non compensa il vantaggio dei minori costi di produzione.

Una semplice riduzione di costi puo' quindi aiutare a rispondere ad una esigenza del cliente (pagare meno), ma puo' impedire alle aziende occidentali di mantenere la posizione sui mercati di nicchia, dove la qualita' e l'innovazione e' fondamentale, costringendole a competere sul mass market, dove i paesi emergenti (Cina in testa) hanno un vantaggio competitivo schiacciante.

Un ritorno a produrre dove i costi sono alti e l'innovazione piu' avanzata, rilancia naturalmente il tema del "miglioramento continuo" e della "lotta agli sprechi", che e' l'aspetto piu' tattico del lean thinking.

lunedì 19 novembre 2007

(Ri)Pensare il marketing nelle PMI: strategia e tattica

[Reblog dal blog di Marketing Agora']

Rispondo qui ad alcuni spunti di PierLuca Santoro, ricucendoli. Uno quando segnala il caso di coalition marketing al Centro Commerciale Le Torrette (BG). L'altro quando cita Lorenzo Biscontin, che, specie dopo aver sentito Kotler a Milano, ripensa l'Ufficio Marketing dopo che in questi anni ha avuto sempre meno valore strategico ed e' stato concentrato/disperso sulla tattica (almeno un 20% di strategia, consiglia Kotler, evidentemente siamo molto sotto). Li', PierLuca si sofferma soprattutto sull'aspetto organizzativo. Un altro ancora quando rimanda alle ultime dichiarazioni di Levy, CEO di Publicis, tra le quali, riferendosi agli scarsi risultati di Facebook in termini di ricavi da pubblicita', c'e' anche "Io non sono sicuro che noi abbiamo trovato il modo migliore per comunicare con questi utenti".

Concordo con PierLuca sulla necessita' di "allineare" il business e la sua immagine sul mercato, e che nel web2.0 questo sia sempre piu' urgente. Anzi aggiungo: se il web2.0 e' solo il modo per trasferire questa immagine al mercato, allora il web2.0 fa parte della tattica. Se invece l'azienda si ristruttura in funzione della relazione col cliente, impostata stile web2.0, allora il web2.0 fa parte della strategia.

In entrambi i casi, il fatto che le PMI italiane non abbiano una vera organizzazione (verissimo) non mi sembra pertinente. Non vedo un problema di dimensione.
In una PMI servirebbe (1) una maggiore sensibilita' da parte dell'imprenditore a questi temi (e quindi la decisione di adottare l'approccio web2.0 almeno nella tattica se non nella strategia), e (2) una maggiore padronanza del linguaggio necessario per rivolgersi all'esterno dell'azienda da parte del responsabile commerciale. Ne seguirebbe cosi' un migliore coordinamento tra imprenditore (azienda) e responsabile commerciale (comunicazione verso il mercato), anche in un'azienda "micro" con meno di 10 dipendenti.

Il consorzio di imprese indirizza in parte il gap di cui sopra. Infatti e' vero che puo' garantire un responsabile marketing commerciale in outsourcing, e quindi a costo condiviso, ma bisogna vedere di che tipo di consorzio stiamo parlando. I distretti infatti non sono certo una novita': quelli sono mono-settore, spesso organizzati in filiera: [edit 20/11 15:00] il marketing di chi sta nel mezzo della filiera e' molto diverso da quello necessario per chi ha di fronte l'utente finale. L'esempio del Centro Torrette, invece, [edit 20/11 15:00] e' un consorzio tra negozi, siamo quindi nel retail, e qui il servizio marketing commerciale e' in realta' un "servizio del gestore della rete di vendita". Se poi la rete e' gestita da una "coalizione" invece che da un big player, non per questo quel tipo di marketing risulta diverso da quello tradizionale. [edit 20/11 15:00] Si possono pero' trovare migliori esempi di "coalition marketing" in cui aziende produttrici si consorziano dando vita ad una comune Agenzia marketing commerciale, grazie alla quale affrontare compatti mercati internazionali (soprattutto) con un budget condiviso.

Verrebbe comunque indirizzato cosi' solo il punto 2 di cui sopra, non necessariamente in "modo non convenzionale", e anche se fosse, il web2.0 sarebbe usato come strumento tattico (niente di quel 20% di strategia, che Kotler raccomanda).

La maggior sensibilita' del piccolo imprenditore rimane il punto piu' cruciale. Certamente c'e' un problema di informazione: spesso non sa nemmeno che esiste il web2.0. Sa che esiste un marketing tradizionale (1.0), i cui costi non sono alla sua portata, e i cui risultati sono spesso discutibili: quindi pensa, perche' un eventuale web2.0 dovrebbe essere piu' interessante ?

Ma se alle sue orecchie fini non arriva la voce che il web2.0 funziona, e in particolare per le PMI, e' perche' la "voce" che gira e' un'altra, come ha dichiarato Levy, appunto. (Il quale probabilmente ha qualche motivo per gettare acqua fredda sulla corsa del web2.0). Ne ho conosciuto molti che hanno gia' capito quello che Dave Winer ha profetizzato, parlando di OpenSocial: "la “pubblicita’ e’ destinata ad essere ricondotta a informazione, niente di piu'".

La questione quindi e' quando un approccio 2.0 al mercato sara' veramente strategico per la PMI. Se pensiamo che sia gia' oggi, bisogna dimostrarlo: ci vogliono esempi e numeri. Il piccolo imprenditore non ha budget per "atti di fede", in un campo cosi' lontano da quello che gli e' consueto.

sabato 10 novembre 2007

Web2.0: who is the paying customer ?

Discussing about Facebook strategy, a question rises: In the web2.0, who is the paying customer ?

If only companies are available to give money for visibility, every business model will be a new version of the same advertising sale revenue stream, in spite of the disruptive innovation of the underlying web2.0 techno-social application.

There's somebody interested in paying for advanced services, so also the "basic for free, advanced for fee" schema is viable. But
- those people seem to be not so many
- there's a roof limiting that profit space: people love (and need) *simplicity*
- services are/are going to be available "open"

And what about people who whishes to make a donation ? RadioHead are testing a sort of this gift economy, but we know that opensource firms and professionals are not living by this. We know also, historically speaking, gift economy is "reciprocal" and consequently used between "peers".

Are we really surprised if Facebook is planning to make profit on its magic numbers selling adv again ? Have we to appreciate the new in how adv will be sold, more ?

Sempre di vendita di pubblicita' si tratta...

Mario mi chiede una strategia "giusta" per facebook. Se la sapessi..., comunque rispondo cosi'.

Ogni volta che vedo questi nuovi modelli di business (web2.0, opensource, ...) che ritornano al vecchio schema "raccolgo traffico, vendo traffico" mi cadono un po' le braccia.

Oltre a questo, certamente considero un boomerang lo schema "raccolgo dati degli utenti, e poi li vendo". Ma all'ultimo Web 2.0 Summit in San Francisco, il CEO di FB ha annunciato pero' che ci sara' un cambio di rotta verso la portabilita' dei dati degli utenti, e che i dati venduti agli advertisers sono spersonalizzati.

Anche se FB avesse scelto l'altro schema "fornisco servizio base free, vendo servizio avanzato", non sarebbe stato molto originale. Almeno questo secondo schema, per FB, sarebbe stato piu' naturale vista l'idea di fondo che sta sotto, veramente innovativa: "rendo facile agli altri creare servizi".

La soluzione avrebbe quindi potuto essere "strumenti base gratis per creare servizi, strumenti avanzati a pagamento". Pensa cosa sarebbe un FB "open", molto piu' personalizzabile, in cui si paga solo per qualche giochino speciale o per qualche assistenza nello sviluppo ?

Ma e' anche vero, che su questa strada OpenSocial e' partito piu' correttamente, anche se in ritardo, e pur procedendo lentamente andra' sicuramente piu' lontano. Ne' FB puo' farci piu' nulla: OpenSocial ha mosso, scacco matto in 2 anni.

Sara' un caso che FB ha annunciato la sua strategia basata sull'advertising, in coincidenza col lancio di OpenSocial ?

In ogni caso, la strategia di FB dev'essere valutata con maggiore attenzione, come qui, visto che punta a trasformare gli utenti in marketer.

Dalle scelte di Facebook, traggo comunque due conferme:
1) il mondo e' cambiato, e nel web2.0 soprattutto, maggiore rispetto per gli utenti/prospect e' ormai legge
2) definire la strategia e' ormai un processo continuo

Forse la domanda corretta e': nel web2.0 chi e' il cliente pagante ? Se ci sono solo le aziende disposte a pagare per la loro visibilita', sempre di vendita di pubblicita' si tratta...