domenica 31 agosto 2008
Ibridamenti 2: l'universita' del futuro
Come gia' in passato, in una fase rinascimentale, in cui viene riconquistato alla centralita' della persona tanto spazio concesso alle tecnologie, l'universita' e' il luogo naturale dove dare corso a nuovi modelli di generazione e rielaborazione della conoscenza, senza limiti dettati dalla categorizzazione per discipline ('universitas rerum', come ricorda il prof. Margiotta).
L'universita' di domani deve quindi aprirsi e creare momenti di interscambio virtuoso con l'esterno, considerando che nel frattempo internet da' sempre piu' la possibilita' di incontro e discussione, sui temi piu' disparati, coinvolgendo spesso inattese eccellenze.
Qui interviene Ibridamenti, che cerchera' di identificare modalita' di processo, innanzitutto, nuovi protagonisti del sapere fuori dagli ambiti accademici, e nuovi strumenti che favoriscano questo incontro e i suoi sviluppi.
Caro, la casa che abitiamo presto sara' piccola.
La piattaforma utilizzata finora, Splinder, ha dato buoni vantaggi finora, ma ha anche generato qualche perplessita' per il futuro. Si tratta di una piattaforma piuttosto chiusa ma pero' molto diffusa, e questo ha permesso un buon livello di visibilita' e di adesioni. La semplice impostazione come blog ha semplificato notevolmente la gestione della fase di partenza, e la partecipazione di coloro che non hanno particolare dimestichezza con le piu' avanzate opportunita' offerte da internet.
Il futuro di Ibridamenti, pero', prevede il passaggio ad una dimensione di community sempre piu' forte. Inoltre c'e' qualche incertezza sullo sviluppo che decidera' la nuova proprieta' di Splinder per quello strumento. Le due cose hanno reso urgente considerare un cambio di piattaforma, nonostante i rischi che comporta nel disorientamento degli amici ibridi che gia' si son fatti numerosi (centinaia).
No, non e' la casa, sono le persone.
Tutti i partecipanti intorno al tavolo, Maddalena Gigi Giorgio Mario Luisanna Gianni Gino e Costanza, si sono subito trovati d'accordo nel ricordare che lo strumento di per se' non puo' essere il tema centrale, e che la centralita' rimane alle persone.
In particolare Giorgio ha messo in evidenza come internet sia un luogo (virtuale) e gli utenti i suoi abitanti: l'apertura di un nuovo spazio, e la partecipazione devono quindi essere visti come una graduale occupazione in cui le risorse del territorio (virtuale) sono sfruttate per il miglior benessere degli occupanti. Questa immagine e' ancora piu' efficace considerando che sta emergendo nella nostra societa' una partecipazione sempre piu' dinamicamente oscillante tra mondo virtuale e mondo reale.
Del resto la riunione stessa a cui partecipavamo ne era un ottimo esempio: ci conoscevamo gia' tutti, senza esserci mai visti prima (o quasi), grazie alle conversazioni e alle letture reciproche rese possibili dai singoli blog e dalle conversazioni avviate informalmente su Twitter, FriendFeed, ... In questo caso non uno strumento da solo, ha potuto risolvere e quindi essere centrale nelle nostre conversazioni e nello scambio di informazioni in rete.
Cosa vogliamo poterci fare nella nuova casa
In un animato giro di interventi e' anche stato tratteggiato il ruolo di Ibridamenti in questa nuova fase: piu' a presidio del metodo che non dei contenuti (che invece saranno dal basso); piu' di garanzia nella fase rielaborativa che non nella selezione dei contributi; piu' di facilitazione e responsabilita' sulla bonta' dell'intero processo creativo che non direttivo e autoreferenziale.
A cosa gli abitanti ibridi si dedicheranno ? A scrivere, ciascuno sul proprio tema preferito, i propri contributi e ad indicare i riferimenti piu' utili; e poi a conversare, commentando e riprendendo gli spunti dei primi in nuovi contributi; e anche a condensare rielaborati, collaborativamente, probabilmente in forma di documenti, ma anche altri oggetti multimediali; e anche a presentarsi e a sviluppare relazioni conviviali, non legate necessariamente ad uno specifico tema in approfondimento.
La casa dei nostri sogni.
Lo spazio abitativo virtuale, di cui gli abitanti ibridi hanno bisogno, dev'essere quindi flessibile, capace di adattarsi a diverse esigenze, e probabilmente (ma non sempre) presenti contemporaneamente. Da qui il vincolo nella scelta dello strumento di orientarsi su una piattaforma che non ponga ostacoli, in futuro, nell'assecondare queste esigenze. In termini appropriati, lo strumento deve essere scalabile funzionalmente e aperto all'innovazione.
D'altra parte gli abitanti ibridi non sono e non saranno necessariamente praticoni e a proprio agio con qualunque strumento tecnologico. Quindi lo strumento deve presentarsi semplice, e possibilmente all'inizio minimale, cioe' deve proporre il minimo necessario, col minimo impegno per l'utilizzatore.
Inoltre deve essere fatta salva la possibilita' di spendere il tempo e la capacita' intellettuale che i partecipanti possono riservare ad Ibridamenti, proprio sui contenuti e sulla relazione, e non sui tecnicismi dell'interfaccia con lo strumento. Secondo il noto principio del 'taking things away' e del minimo carico cognitivo per l'utente.
Ovviamente nel seguito, lo strumento dovra' poter crescere in termini funzionali, ma sempre piegandosi allo stile di interazione che Ibridamenti scegliera' come appropriato. Vale a dire, dovra' essere aperto, e facile, dal punto di vista delle modifiche.
La scelta della nuova casa.
Visti anche alcuni esempi proposti da Gigi, Vodafone Lab e 40xVenezia, l'orientamento sembra convergere verso l'utilizzo di Wordpress. Si tratta di una piattaforma opensource, molto diffusa, e su cui sono disponibili competenze per poterla gestire dal punto di vista tecnico. Si ispira al principio della semplicita', ma si puo' dire che non pone limiti sulla crescita futura di estensioni.
Grazie a queste caratteristiche, Wordpress potra' essere usato ora come blog, ora come forum (spazio per le conversazioni, probabilmente realizzato con i commenti su blog satelliti), ora come social network (sfruttando anche le prossime funzionalita' recentemente annunciate e rese disponibili), ora come luogo di raccolta di contributi multimediali e come archivio di documentazione (cms, cioe' content management system).
Inoltre sara' capace anche di importare i contenuti da altri luoghi virtuali, dove i singoli partecipanti potrebbero trovare piu' naturale e preferibile pubblicare i propri contributi, realizzando quel mash up che risulta quasi incomprensibile a qualcuno.
Ma soprattutto Wordpress, che e' opensource, potra' essere modellato a piacere e reso quindi il piu' aderente possibile alle necessita' della variegata tribu' di utenti ibridi. Innanzitutto l'interfaccia non sara' imposta e disorientante, come succede quando lo strumento e' reso disponibile tutto intero e tutto subito.
La nuova casa, il nuovo territorio
Inoltre dovrebbe essere possibile consentire ad ognuno degli utenti di muoversi nel nuovo ambiente nel modo piu' confortevole: all'utente esperto sara' possibile utilizzare molte funzionalita' e inserire Ibridamenti nell'articolato mondo degli ambienti che frequenta in rete; a quello piu' timido e imbarazzato, sara' possibile compiere pochi e semplici passi (click), magari accompagnato a manina, per avere comunque una visione generale dell'ambiente disponibile e dei contenuti e delle relazioni che ospita.
Per tutti Ibridamenti sara' uno dei luoghi, connesso dalle persone, prima che dalla tecnologia, con gli altri luoghi virtuali e reali, di riferimento per gli amici ibridi.
Soddisfatti dell'accordo raggiunto, ci siamo tutti concessi una gustosissima pausa pranzo al Vega e un piacevolissimo momento di ozio creativo alla caffetteria.
giovedì 28 agosto 2008
Sviluppo di KIBS in Veneto
Un anno fa, con la nascita di un'iniziativa che non e' mai decollata, avevo riproposto questo approccio, rifacimendomi al concetto di KIBS. Anzi sono convinto della sua validita' specie in una regione senza grandi infrastrutture, e frammentata tradizionalmente e sorretta dall'iniziativa imprenditoriale di singoli o di imprese familiari, come il Veneto appunto.
Facciamolo quindi partire da Miles 1995 e il suo "Knowledge-intensive business services: Users, carriers and sources of innovation" che ha anticipato buona parte dello sviluppo dei servizi business ad alto contenuto di conoscenza, in Europa (a dire il vero soprattutto in Finlandia c'e' stata vera consapevolezza).
Erano gli anni d'oro del Knowledge Management, basta ricordare che nello stesso anno usciva "The knowledge-creating company" di Nonaka, Takeushi: a differenza dei giapponesi pero', qui l'impostazione era piu' "ecosistemica": l'Europa dimostrava ancora una volta di avere un "proprio" approccio, e (passatemi questa sparata) capace di tenere piu' a lungo nel tempo.
Cosa sono e come stanno evolvendo i KIBS ?
Una buona sintesi e' nella pagina corrispondente di wikipedia.
Una definizione sinteticissima: Knowledge-intensive business services (KIBS) sono aziende che forniscono prodotti intermediari e servizi – basati soprattutto su conoscenza avanzata tecnologica e professionale – ai processi di business di altre organizzazioni.
Si tratta di uno dei settori piu’ in crescita in EU25, e ancora poco studiato.
Qualche esempio di KIBS per capire meglio ?
ecco la risposta direttamente da Miles:
Perche' mi ricollego ai KIBS ?
Uno dei punti piu' importanti e' ben espresso con le parole di Lance Bettencourt in "Client Co-Production in Knowledge-Intensive Business Services" (2002):
A common characteristic of knowledge-intensive business service (KIBS) firms is that clients routinely play a critical role in co-producing the service solution along with the service provider. This can have a profound effect on both the quality of the service delivered as well as the client's ultimate satisfaction with the knowledge-based service solution. By strategically managing client co-production, service providers can improve operational efficiency, develop more optimal solutions, and generate a sustainable competitive advantage.
L'avvento del web2.0 e' posteriore e quindi strumentale, ma indubbiamente rappresenta una grande occasione di rilancio dei KIBS, e non per niente grandi colossi come IBM e Oracle, pur essendo l'archetipo della "corporation" accentratrice monolitica e colonizzatrice, si stanno aprendo a questa nuova prospettiva, attraverso la "Service Research & Innovation Initiative" (SRI), un'iniziativa no profit fondata dai top manager di quelle aziende. L'innovazione nei servizi e' infatti "the next big thing" dopo l'innovazione tecnologica di questi anni, stando a quanto sentenzia BusinessWeek.
Nei KIBS non e' cosi' importante la generazione di contenuti, che molto spesso e' user generated, quanto la creazione di uno spazio adatto, un buon incubatore per quel processo creativo, e anche la capacita' di tradurre/trasferire gli stessi contenuti in contesti diversi, adattandoli alle esigenze dei singoli, e (non da poco) al loro linguaggio. Non tutti i KIBS sono basati sulla trasformazione della conoscenza (alcuni sono piu' centrati sulla generazione ed altri sulla applicazione di conoscenza), ma la capacita' di trasformare e ricombinare la conoscenza e' la caratteristica che piu' li rende interessanti, a mio avviso, quando parliamo di PMI.
Ma per avviare tali iniziative occorrono infatti alcuni presupposti indispensabili: utenti consapevoli e motivati, competenze tecniche metodologiche e possibilmente specialistiche, infrastrutture e strumenti "cost-effective", e uno sponsor che sia interessato allo sviluppo e alla promozione territoriale.
L'anno che e' passato mi ha permesso di avere una conoscenza ancora piu' profonda del territorio veneto, sia della parte industriale, sia nell'ambito di numerose categorie professionali. Ho potuto toccare con mano una crescita esplosiva di sensibilita' e attenzione sulle nuove potenzialita' che si aprono grazie alla rete (soprattutto nelle generazioni piu' giovani in effetti).
Infine ho visto che gli strumenti offerti dal web2.0 stanno finalmente diventando conosciuti e sperimentati da una larghissima folla di utenti, e tra questi coloro che li sanno piegare ad utilizzi concreti (non che fosse difficile) sono sempre piu' numerosi.
Non ultimo l'infrastruttura tecnologica nel Veneto si sta completando (tre anni fa non c'era nemmeno la fibra ottica a Vicenza).
C'e' ancora un attore che non sembra aver preso ancora il suo posto, ed e' poi il committente sponsor. Ma ci sto lavorando.
lunedì 25 agosto 2008
Un anno vissuto pericolosamente nel web2.0
Se ripercorro mentalmente gli ultimi mesi di attivita' su internet, ho la sensazione che siano passati anni per come rapidamente e' cambiato il mio modo di relazionare in rete e non solo. Niente di rivoluzionario nella sostanza, ben inteso, ma sorprendente e' stata la velocita' di sviluppo e la quantita'. E la qualita' superiore alle aspettative.
Ritorno nel Veneto
Una premessa per capire meglio il contesto. Da quando, 2 anni fa, sono tornato nella mia regione di origine, il Veneto, dopo molti anni di assenza pressocche' totale, mi sono ritrovato con la rete di relazioni praticamente da ricostruire da zero. Non bisogna dimenticare che il Veneto e' tradizionalmente chiuso ed individualista, quindi il problema si presentava di lunga risoluzione.
Figuriamoci quando ho scoperto poi che moltissimi qui si sentono addirittura in conflitto con culture differenti, e parlo di quella milanese e torinese, non di chissa' quale terra esotica, e ottusamente competitivi con chiunque sia portatore di una competenza strutturata e professionale ma di servizio. Insomma, la cultura del fare, che spesso trascura il pensare ("faso tuto mi", col corollario "co xe fato, xe fato ben", anche se fa cagare) e soprattutto il relazionare.
Per di piu' alcuni cambiamenti nel lavoro mi hanno (avevano) richiesto l'abbandono del blog storico, a tal punto che un disguido nel rinnovo del dominio mi ha reso (quasi) irrecupurabili 4 anni di contenuti link e contatti.
Dopo un primo periodo veramente difficile, dopo quasi un anno di sostanziale inattivita' del mio blog, l'estate scorsa ho quindi ripreso in mano la rete con obiettivi a me molto chiari, cioe' per
- riallacciare relazioni con amici e colleghi di un tempo, ormai difficili da raggiungere fisicamente
- sviluppare nuove relazioni amichevoli con persone che sentivo affini per idee e modo di fare, visto che il tempo per fare la stessa cosa nella realta' locale era pochissimo (e la realta' locale stessa poco favorevole)
- entrare in contatto con professionisti che avessero gli stessi miei interessi e che operassero nel veneto (apparentemente inesistenti).
Strategia web2.0
Ho quindi innanzitutto riaperto il blog (questo qui su Blogger), con minimo impegno di impostazione e manutenzione, sempre con un taglio professionale. Il tema e' quello del precedente, l'ecosistema di conoscenza che si sta sviluppando nella nostra societa' grazie ad internet, ma e' aperto evidentemente a considerazioni di costume, di attualita', economiche e politiche. Del resto sono convinto che la persona e il professionista non possono (piu') essere separati.
In questo modo, l'autopresentazione era indirizzata nella sostanza, anche se il mio profilo piu' personale non si legge bene nelle pagine del blog, ma il problema rimaneva soprattutto la visibilita' e l'effettiva conversazione con gli altri blogger, considerando anche il pochissimo tempo a disposizione.
Quindi (quasi) subito ho iniziato anche a twittare. Il microblogging mi e' estremamente congeniale per
- pubblicare qualcosa di me, anche molto personale, ma senza farne un'autobiografia, e veramente a costo zero in termini di tempo
- seguire altre persone nella loro vita quotidiana, niente pippe mentali, pallosissimi esercizi di stile, cervellotici proclami e pamphlet ottusi, e sempre con minimo impegno temporale
- avviare qualche scambio di battute (max 140 caratteri appunto) che possa preludere ad una relazione piu' consistente nel seguito
- scatenare il mio senso umoristico e apprezzare quello degli altri (ho scoperto che gli italiani sono un popolo di comici)
- esercitare un linguaggio sintetico e pero' chiaro e comprensibile a tutti
Prime ricadute sul territorio
Primo effetto collaterale di rilievo e' che attraverso twitter ho conosciuto il primo gruppo di blogger veneti, il cui punto di riferimento principale e' un googlegroup, e che tra l'altro sta per riunirsi nuovamente a Padova, venerdi 29 agosto (vedi Nord-Est-a-tutta-birra).
La caratteristica principale di questo gruppo e' la voglia di costruire relazioni 2.0 anche nel reale, e in questo ci riesce benissimo, anche se ognuno lo fa poi mettendoci la propria particolare interpretazione. Naturalmente la maggior parte twitta e blogga e quindi negli incontri sostanzialmente si twitta e si blogga stando questa volta tutti insieme, dal vivo (ma anche un po' on-line).
L'altra caratteristica del gruppo, soprattutto di alcuni, e' la velleita' di inserire questa attivita' ludico-cazzeggiante in un alveo di concretezza e incisivita', di maggiore progettualita'. L'intenzione e' lodevole, beninteso, e in parte corrisponde anche ad alcune mie aspirazioni. Ma diciamo che questa parte e' molto divertente e altrettanto inconcludente, non se ne voglia nessuno.
Si tratta infatti, di guardare alle cose con piu' obiettivita': se anche non viene forzata la partenza di alcun progetto, il gruppo ha comunque il suo ottimo motivo per riunirsi, che e' il piacere di stare in brillante compagnia. E se progettualita' non nasce li', vabbe', nascera' altrove. Se non e' gia' nata ;-)
Comunque, un risultato concreto e' stato raggiunto (ecche risultato!!!): soprattutto grazie alla spinta di Gigi Cogo, ad aprile c'e' stato il Twittercamp, al Vega di Venezia, in concomitanza con VenetoExpo. Il mio primo barcamp, e il secondo nel veneto (al Ghiradacamp sono mancato per impegni miei).
Sorpasso del microblogging sul blogging
A questo punto, visto il successo del mio twittare rispetto ai miei principali obiettivi iniziali, ho deciso di provare Tumblr, e dopo un minimo di pratica (acquisita in giorni!) ho fatto diventare il mio tumblog la copertina del mio blog. Infatti a differenza del blog, il tumblog e', per me:
- piu' scorrevole e facile da leggere (fino a rischiare la superficialita', ma si sa nel web la leggerezza e' indispensabile per non essere tagliati fuori)
- piu' ricco di spunti personali, che io inserisco come battute sinteticissime a commento di contenuti ribloggati, oppure come citazioni singificative per me (e rappresentative di me)
- piu' connesso con i fatti, le notizie, i memi che girano e rimbalzano in rete, e che non avrei tempo di seguire se dovessi rielaborare come vorrei prima di pubblicare sul blog
- piu' permanente di twitter, ma editoriale come il blog
Cosa mi ha dato Tumblr, dopo qualche mese ? La possibilita' di presentarmi nelle conversazioni cui partecipo nella rete con un sito di facile lettura, effettivamente personale, semplicissimo e velocissimo da gestire, che rimanda, con un link a lato, al blog degli approfondimenti e delle rielaborazioni, che e' obiettivamente inadatto ai "primi incontri" col lettore.
Insomma e' come quando ti presentano dal vivo una nuova persona, nel lavoro come nella vita di tutti i giorni, e prima di parlare seriamente di temi importanti o di progetti complessi, ti prendi qualche minuto di conversazione leggera per incominciare a conoscere la persona. Alcuni li chiamano convenevoli. In un altro contesto, se l'aspettativa e' forte, preliminari rende meglio il concetto.
Alla ricerca di un maggiore interscambio real life/on-line
Peccato solo che il contributo di Tumblr alle mie relazioni sociali live e' stato nullo. Tumblr non ha commenti, e' contribuisce alla creazione di un network (gli altri tumblog che si seguono e da cui spesso si reblogga) in cui pero' non c'e' molto scambio sociale: rebloggando si puo' commentare, e in rarissimi casi questo si traduce in un breve botta e risposta. Troppo poco per introdurre una relazione piu' ricca, e magari dal vivo. Un po' come su certi servizi per immagazzinare immagini (Flickr, Stumblupon, ...): si e' in contatto per gli stessi gusti espressi su alcune fotografie, ma poi cosa ci si potrebbe dire seduti davanti ad una birra ?
Qui c'e' da riflettere: la cultura dell'immagine ci da' un'apparente senso di comunanza ma poi ci rende piu' soli ? Questo dipende dal fatto che la cultura dell'immagine fotografica di oggi, ricca forse (raramente) ma silente e implicita, ha sostituito quella della rappresentazione teatrale che pure era basata sull'immagine, ma anche sul racconto, e aveva tanta presa anche a livello popolare ? Fermiamoci qua e rimaniamo sul tema.
Quindi Tumblr non permette di sviluppare conversazioni, e quindi relazioni che abbiano qualche probabilita' di proseguire live. Ma proprio mentre cercavo una soluzione a questo problema e' scoppiato il fenomeno Friendfeed. Ne ho gia' parlato abbondantemente in precedenza, e anche se se ne discutera' ancora a lungo, sono convinto che FF e' la migliore soluzione per le conversazioni on-line mai vista finora.
Non semplicemente blog, ma anche social e business networking
Nello stesso tempo, ovviamente, non mi sono limitato alla sola "blogosfera" e ho cercato di frequentare anche qualche social network e business network, ovvero l'altra faccia del web2.0. Non si tratta di una differenza da poco, anche se la separazione non e' netta. Mentre nel blog ci si puo' abbandonare a momenti solipsistici, se non addirittura onanistici, nel social network lo scopo dichiarato e' socializzare.
Qui dico subito che nessun social network generalista mi ha mai conquistato, dal momento che sono ottimi per un "acchiappo" un po' fuori dal mio stile e obiettivi. E devo ammettere che anche alcuni business network si possono considerare alla fin fine "luoghi da acchiappo" per chi cerca un datore di lavoro o chi cerca manovalanza.
Considero attivo solo l'account in Facebook, che per altro si aggiorna in automatico coi flussi delle mie attivita' altrove, solo perche' mi permette di entrare in contatto con persone di cui ancora non ho i riferimenti essenziali (mail, e altre identita' nel web2.0).
Trovo invece molto piu' interessanti ed efficaci i social network di nicchia, quelli cioe' che aggregano intorno ad un tema specifico di interesse, e tra questi uno soltanto mi e' rimasto congeniale: Anobii, il social network dedicato a chi legge libri. In Anobii infatti ci si puo' iscrivere a gruppi, e si puo' discutere in forum, genericamente legati a libri ma di fatto focalizzati sui temi piu' disparati.
Questi gruppi poi si riuscono dal vivo, in meeting informali, con un forte carattere territoriale. Una delle piu' brave e generose animatrici e' Niki Costantini, quella che alcuni chiamano la sacerdotessa di Anobii. Mi sono trovato bene anche in molte discussioni di Brain2brain, che e' (anche) un gruppo di Anobii avviato da Mario Esposito: so che hanno preferito orientarsi ad incontri su SecondLife, ma per ragioni di sopravvivenza ho scelto di starne fuori (anche perche' non credo molto nei metaversi con interfaccie 3D).
Ancora una volta, a proposito dei gruppi che si riuniscono dal vivo, il vero successo di queste iniziative, che infatti si ripetono periodicamente, e' quello di portare lo spirito "2.0" (aperto, informale, trasparente, tollerante, orientato allo scambio e alla collaborazione) nella vita reale, e potete credermi, non e' cosa da poco.
Anzi, superato lo slancio iniziale, seguono poi incontri informali appena capita l'occasione, senza nessun battage ne' sponsor, consapevoli di essere nicchia un tempo e parte di un cluster piu' grande e diverso l'occasione successiva. Come gli incontri castellani, grazie all'iniziativa di Matteo D'agord, e quello ferragostano che io e Mariela De Marchi abbiamo organizzato a Vicenza.
In questo modo ho potuto frequentare on-line e dal vivo, persone piacevolissime, che avrei forse impiegato anni a conoscere senza la rete, magari senza trovarle proprio. In questo senso, la rete facilita la possibilita' di incontro tra persone che condivono un certo approccio, quello 2.0 appunto. Ogni gruppo, poi, come le persone, e' diverso dall'altro, e si muove e da' cose diverse.
Questo non deve d'altra parte far illudere troppo: anche nella rete, anche nelle iniziative 2.0, si possono incontrare persone con atteggiamenti che io ho chiamato 1.1 (in una battuta: la versione bacata tra la 1.0 e la 2.0!): cioe' spiacevoli, aggressivi, egoistici e un po' orientati alle mascherate. Ma se ne ho incontrate un paio e' tanto, e nel clima generale e' piu' facile che tireranno fuori la parte migliore che hanno.
Dall'improvvisazione al progetto, dal social al business
Sono soddisfattissimo delle possibilita' che adesso ho per soddisfare quelli che io ritengo urgenti bisogni di socializzazione con persone che mi piacciono e che mi stimolano. L'effetto FF, da questo punto di vista, e' quello di una bomba, per me. Ora che posso effettivamente seguire dalle 100 alle 200 persone (non come i 1000 feed registrati in Google Reader che regolarmente archiviavo anche se non letti) sto scoprendo una miniera di persone preziose, al punto che veramente mi dispiace non avere tempo per seguirli come vorrei.
Ma bisogna sempre considerare che io ho un lavoro (che si intreccia su vari progetti che a volte si sovrappongono) e spesso il tempo da dedicare al web2.0 manca: dopo l'ultimo mese praticamente festivo, sara' impossibile mantenere il ritmo di partecipazione alle conversazioni sul web. Non se ne vogliano chi lavora nel campo dell'informatica o chi peggio, non ha un lavoro, ma il web2.0 discrimina chi il lavoro ce l'ha, perche' e' un po' vero che 'lontano dalla tastiera, lontano dal cuore dei tuoi follower'. Naturalmente e' meglio avere questo problema, che quello di trovare un lavoro, al giorno d'oggi.
Inoltre non vi nascondo che guardo con un certo sollievo la "necessita'" di staccare dalla rete, per lavoro, perche' sto avvertendo gli effetti deleteri di un'eccessiva frequentazione del web sulla mia produttivita', ma anche sulla mia capacita' di comunicazione nella vita reale, e perfino nella mia capacita' di ragionare e apprendere. Forse non si diventa stupidi, ma sembra che "siamo come leggiamo", e in ogni caso come ragioniamo, e conversare e ragionare nel web2.0 e' talmente facilitato e amplificato che satura la nostra capacita' di esaurire il compito.
Infine, ma non meno importante, il web2.0 e' una fonte di opportunita', forse difficili da definire, comunque legata alle persone che si possono conoscere e alle cose che quindi si possono fare. Naturale quindi che io ora pensi a come esprimere questo valore.
E perche' le cose non succedono mai per caso, proprio a fine luglio si inaugurava il business network VenetoIn, sulla falsa riga di MilanIn e appartenente al relativo Club, che ha trovato in Simone Favaro la persona giusta per farlo decollare qui nel Veneto.
Infine, ma non meno importante ho avuto modo di incontrare Gigi Cogo nel suo regno al Vega, e di conversare 'dal vivo' col principale innovatore della P.A. in Veneto, nonche' evangelizzatore 2.0, e come sono organizzati e di che risorse dispongono in Regione (sono entrato anche nel sancta santorum ovvero la server farm dove sono gestiti tutti i comuni del Veneto!). Ci siamo scambiati idee e informazioni sulle nostre precedenti e attuali esperienze, sui nostri futuri progetti, alla stessa velocita' con cui twittiamo e blogghiamo sul web. Vedremo.
Con l'occasione ho conosciuto di persona Maddalena Mapelli che ha fatto partire un altro social network di nicchia dedicato agli Ibridamenti, con cui ci accomuna (immodestamente da parte mia) un approccio neo-umanistico.
Da settembre, quindi, parte un nuovo anno e se queste sono le premesse...
giovedì 21 agosto 2008
Friendfeed e le conversazioni fra singoli
Le discussioni su Friendfeed, per fortuna, si vanno quietando nei toni (tipo "FF e' il Bene", "FF e' il Male") anche grazie al consolidamento del successo dello strumento, e alla maggiore abilita' nell'utilizzo da parte degli utenti anche piu' scafati, e alla benedizione di qualche very important blogger e l'approdo di qualche vib ritardatario. Ma non c'e' dubbio che su FF si discutera' ancora a lungo (oltre che grazie a FF!).
La necessita' di poter gestire il grande flusso di informazioni (con ricerche filtri stanze e quant'altro), risparmiando piu' tempo, e' senz'altro un punto su cui FF dovra' dare risposte migliori, anche se dubito che i progettisti di FF abbiano in programma di rovesciare l'impianto del loro strumento, specie dopo il successo che ha conquistato in cosi' poco tempo. FF rimarra' quindi focalizzato sulle conversazioni, piu' che sulle persone.
C'e' un punto pero' su cui si continuera' a discutere ancora un po' ed e': Blog comment vs Friendfeed conversation ?
E' interessante notare che alcuni blogger, Maistrello in testa, specie se abituati a generare nei commenti del proprio blog un certo movimento, hanno espresso una resistenza alla formula di FF, che invece sgancia la conversazione dal post che l'ha originata (di cui rimane un link e un breve incipit all'inizio).
Chi invece ha sempre visto frantumarsi le conversazioni sui propri articoli su vari blog, e ha tentato con grande fatica di recuperarle con i trackback, o e' andato intenzionalmente in giro a disseminare le proprie idee e a confrontarsi con altri, ha riconosciuto legittimita' se non addirittura genialita' al modello FF, che crea invece uno spazio separato e piu' adatto.
A questo proposito, Niki suggerisce, tra l'altro, che sono forse due tipi diversi di commenti. Effettivamente sappiamo bene che il mezzo fa il messaggio, e quindi la stessa frase inserita come commento su FF e sul blog di un altro, assume signiticati diversi.
Personalmente io sono convito che per la mia specifica esperienza, portato come sono ad incrociare piu' network ed ad essere interessato alle conversazioni proposte dagli altri, anche piu' di quelle proposte da me, la formula FF va benissimo.
Se si pone la domanda "dove pubblico il commento, sul blog o in FF?" La risposta che mi viene da dare (e che ho dato a Chicca nei commenti) e': considera FF come lo strumento che fa da ossatura alla conversazione, mentre sia il punto di partenza che eventuali contributi intermedi di sostanza, ovvero la ciccia possono, e anzi necessariamente devono stare nei blog. [Edit 22/8 1:30]
Allargando l'analisi pero', mi rendo conto che ci sono altre esigenze; in particolare chi ha costruito social network di nicchia, usando ning wiki e forum, non vede in FF un alleato, e forse nemmeno uno strumento utile.
In altre parole, proprio perche' FF e' in pratica un social network orientato alla conversazione, la compatibilita' con gli altri social network sara' un altro importante nodo da sciogliere nel prossimo fururo, soprattutto se si diffonderanno sempre di piu' i social network di nicchia (cosa che io prevedo da tempo).
Fino a quel momento FF sara' lo strumento a disposizione di tanti singoli, che approfittano delle sue funzionalita' per aggregarsi e conversare, a scapito pero' delle forme di aggregazione che avevano gia' messo in piedi, a partire da blog con molti lettori e fino a community ben avviate.
martedì 19 agosto 2008
Modello 2.0: non esattamente successivo a quello 1.0
E' cambiato lo strumento, e' cambiato l'utilizzo (la comunicazione, lo sviluppo di conoscenze, la collaborazione), sono cambiate le abitudini delle persone. E poi di nuovo la spirale si e' chiusa e riaperta: le nuove abitudini hanno spinto la nascita di nuovi strumenti. E si sta sviluppando continuamente.
Nello stesso modo anche la comunicazione aziendale ha dovuto prendere in considerazione questa spinta innovativa. Cambiando l'atteggiamento del target a cui si rivolgono (i consumatori), hanno dovuto assumere lo stesso linguaggio per continuare a conquistarne l'attenzione.
Qui il passaggio non e' stato ne' completo ne' tanto meno generale. Le aziende, non poche anzi la maggioranza, continuano ad operare nel mercato con schemi 1.0, anche su internet, e anche quelle aziende che hanno adottato un approccio 2.0 non l'hanno sempre fatto definitivamente e completamente.
Ma si tratta veramente di un passaggio ? C'e' un prima e un dopo, come la numerazione farebbe pensare ? Giunti al modello 2.0, chi rimane a quello 1.0 e' da considerare "in ritardo", "superato", "incapace" o sempre "malintenzionato" ?
Ne' le aziende, e nemmeno le persone, sono tutte "naturalmente" orientate al modello 2.0: le persone solo un po' piu' delle aziende. La tabella che segue puo' aiutare a dividere, con un colpo di accetta, il mondo delle aziende e delle persone in due. Cosi' si vede che solo con l'accetta ci si potrebbe riuscire.
Le persone non sono 2.0 per natura, non sempre, e il web2.0 non rappresenta per tutti un punto di arrivo che prima era desiderato ma non possibile da raggiungere.
Alcune persone sono proprio 'belle persone', quando hanno un comportamento orientato in modo 2.0: ne viene di conseguenza, e anzi si puo' considerare internet come una sorta di bollino di qualita' nella capacita' di relazionare. [Edit 28/8 10:30] Altre, pero', e non poche, hanno ancora un approccio 1.0, semplicemente perche' e' per loro piu' congeniale. E ce l'hanno anche su internet.
Certo, internet tutto traccia, e tutte le tessere di un profilo possono essere effettivamente ricomposte, fino a smascherare chi voglia fare troppo il furbetto con la propria identita'. Ma oggi, come ieri, truffe crimini e atri inganni quotidiani sono all'ordine del giorno su internet, come sappiamo benissimo.
Le persone (come le aziende) che su internet oggi esibiscono modi di comunicare e confrontarsi di tipo "poco chiaro", giocano con l'opacita' e l'inganno, pubblicando un profilo di se' stessi non veritiero; non accettano il confronto e ricorrono spesso ad interventi di tipo spam, che accendono flame, che offendono senza ascoltare ne' discutere; tendono a prendere e non a dare, contribuendo poco e quasi sempre senza alcun intento costruttivo; arrivano a ordire truffe e costituiscono un reale pericolo per i piu' ingenui.
C'e' un modo "buono" di essere 1.0: il classico "gioco di ruolo", che internet ha rilanciato proprio grazie alla mediazione della rete. C'e' l'aspirazione positiva di chi vende la propria idea mentre la sta ancora realizzando. C'e' talvolta una necessita' organizzativa, una dimensione sistemica, che richiede di derogare al perfetto individualismo, di cedere una parte dell'iniziativa ad un rappresentante. C'e' un modello economico commerciale in cui siamo immersi, fatto di vendite e di acquisti, e che non si puo' abbandonare (senza pesanti ricadute sulle proprie entrate) prima che siano stati attivati altri modelli altrettanto solidi ed efficaci.
E c'e' anche un modo "cattivo" di essere 1.0: quando prevale un atteggiamento disonesto, malizioso, affaristico, in cui vita mea = mors tua. Io questo lo chiamo 1.1, la variante "bacata": quando qualcuno approfitta di regole pulite, e giocate con fiducia dagli altri giocatori, per meglio fregarli. [Edit 19/8 23:45: per chi non avesse capito questa del 1.1 e' una battuta! ;-)]
Internet non e' il migliore dei mondi possibili, ma solo un'altra faccia di questo mondo. Le dinamiche in internet sono "meccanicamente" preferibili, perche' piu' trasparenti, piu' vantaggiose per tutti, piu' piacevoli. Ma non sorprendiamoci se proprio questo attira malintenzionati; se certe community di successo vengono assaltate da personaggi in cerca di potere, o semplicemente invidiosi; se certi servizi di visibilita' finiscono per essere manipolati ad arte; se certe conversazioni in qualche social network puzzano di beghe da cortile. Non sorprendiamoci, e anzi appioppiamo loro una bella etichetta: 1.1, appunto.
Dopodiche' mi verrebbe da dire: "debagghiamo la Rete!" Una rete che sa autodeterminarsi (in positivo), senza ideologiche autocelebrazioni, sara' anche piu' solida contro attacchi esterni, da parte di chi teme il nuovo, e vorrebbe dimostrare che si tratta invece sempre della stessa merda.
[Edit 21/8 23:55]
Ho visto che in tanti si fermano a discutere se le due etichette, web2.0 e web1.0, sono legittime, e se esiste una separazione netta tra il "web di ieri" e il "web di oggi". Significativa e' stata questa discussione in FF con @lezionidistile e @federico_fasce, che non riguardava questo articolo, ma in generale l'esistenza del web2.0.
Sarebbe come fermarsi a discutere se Rinascimento e' un termine appropriato rispetto a Medio Evo, e se la data in cui e' finito uno e iniziato l'altro sia o no il 1/1/1400, invece che discutere cosa sia stato il Rinascimento, e quali novita' ha portato rispetto al Medio Evo.
Il titolo di questo articolo contesta appunto la lettura strettamente sequenziale, e averli chiamati modello 2.0 e modello 1.0, e' un altro modo per dire che non mi interessa discutere l'etichetta, ma cio' a cui riferisce.
[Edit 22/8 13:00] Nenanche farlo apposta il giorno dopo la pubblicazione di questo articolo (e del commento di Gigi) a Gigi capita questo, e su FF si e' sviluppato un lungo thread in risposta.
What web2.0 means
Tutto e' nato da un semplicissimo grafico di Jessica Hagi, trovato da Gigi, fortemente think-provoking (soprattutto perche' semplice ed evocativo):
clipped from indexed.blogspot.com
Dunque secondo Jessica, il web2.0 riguarda due cose fondamentalmente: (1) possibilita' in termini di 'fare cose' e (2) conoscenza di persone. Secondo Jessica il web2.0 fa aumentare entrambe queste risorse proporzionalmente e senza limite.
Dopo aver ripercorso velocemente centinaia di discussioni sull'argomento negli ultimi anni, e in particolare qualche recente scambio di battute, e raccogliendo anche l'esperienza diretta e che mi hanno raccontato in tanti, mi sono divertito a rielaborare il grafico di Jessica, con questo risultato:
Innanzitutto mi e' sembrato necessario distinguere le cose che puoi fare da quelle che devi fare per conoscere persone e mantenere vive le conoscenze che hai (linea rossa). Questo perche' il web2.0, se non l'avete capito ancora, e' un lavoro: piu' aumenta la partecipazione al web2.0 e piu' una parte consistente dell'attivita' che ne segue e' finalizzata allo sviluppo della stessa.
In particolare le pendenze delle due curve sono asimmetriche: all'inizio aumentano velocemente le cose che puoi fare rispetto al numero di persone che conosci, poi aumenta di piu' lo sforzo nel conoscere nuove persone (e nel mantenere la relazione con quelle gia' conosciute) rispetto alle altre attivita'.
In secondo luogo, mi e' sembrato importante cambiare la dimensione delle x con "Le persone che puoi conoscere". Il web2.0 e' infatti opportunita': sta' in te trasformare questa opportunita' in realta'.
Infine la correzione piu' importante, le curve non possono crescere senza limite, in particolare quella delle cose che si possono fare. Anche se il web2.0 (e piu' esattamente il maggior numero di persone conosciute) puo' alzare questo limite, in realta' si raggiunge un punto di saturazione, se non addirittura di rottura.
A questo punto qualcuno ha chiesto di mettere in evidenza piu' chiaramente il valore economico generato dal web2.0, cioe' "where web2.0's value is".
Seguendo le dimensioni di Jessica, il valore deriva dall'aumento di entrambe le componenti: le cose che puoi fare + le persone che puoi conoscere. E nel grafico ho messo in evidenza che l'effetto web2.0 sta proprio nello shift verso l'alto di entrambe.
Quindi:
- Sei fai piu' cose, puoi guadagnare piu' denaro, se sei efficiente e se sei nel mercato. Cioe' devi stare attento a non essere dispersivo, e soprattutto la monetizzazione di quello che fai e' sempre legata al fatto che esiste qualcuno disposto a corrispondere denaro per quello che fai.
- Piu' persone conosci, piu' aumenta la possibilita' di conoscere in senso lato, e di farti conoscere, e questo e' gia' un valore di per se', ma il guadagno vero arriva solo se sei capace di trasformare la tua conoscenza in un bene di scambio per il quale qualcuno e' disposto a pagare. Infine, ma non meno importante, alcune persone possono effettivamente determinare direttamente una possibilita' di guadagno, ma questo e' un aspetto delicato, dipende da chi conosci, e rischi di considerare le persone solo per il loro peso economico.
venerdì 1 agosto 2008
Condivido ergo sum /3: condivisione rielaboratrice
Ma se condividere ci realizza, basta a farci sentire realizzati completamente ?
La controprova ? anche il piu' banale copia-incolla dice tantissime cose: "io l'ho selezionato", "io ero li' quando e' stato detto, quando e' stato messo in rete", "io sono in contatto con quello", "io ho avuto tempismo", "io sottoscrivo/aborro", "io cambio lo strumento per comunicarlo", ...
E se il singolo copia-incolla ancora non dice molto, la sequenza dei copia-incolla completa l'espressione dell'individuo. Lo sanno bene quelli che usano rebloggare sul proprio blog o su Tumblr, o segnare il proprio gradimento ad immagini (StambleUpon, Flickr, ...) o a musiche (Last.fm, Qbox) e libri (Anobii, GoodReads, ...), o qualunque cosa riguardi loro e i loro amici (Facebook, Myspace, ...).
Naturalmente il copia-incolla e' solo la prima forma piu' semplice della condivisione, ma e' gia' una forma di realizzazione dell'individuo, anche se di un individuo che non ama troppo la rielaborazione. Se alla citazione si aggiunge un commento di poche parole (come con gli strumenti di microblogging) o di poche righe (come in Tumblr e su certi blog minimalistici), o un articolone/polpettone di qualche pagina (come questo che stai leggendo), siamo in presenza di un fenomeno quantitativamente e qualitativamente maggiore, ma uguale nella sua natura fondamentale.
Questo e' chiaramente in relazione con la difficolta' che incontrano molti partecipanti al web2.0 di ritagliare degli spazi di rielaborazione personale, che sfociano poi tipicamente nella scrittura di un articolo sul proprio blog, quando si e' travolti dal flusso impetuoso delle conversazioni (vedi quest'altro post precedente).
Alcuni sentono il bisogno di avere questi spazi per se' stessi, perche' sentono che appartiene alla loro natura, e anche perche' ne percepiscono la necessita' pratica, per trovare risposte a domande e a problemi che la condivisione da sola non sembra poter risolvere.
La difficolta' risiede proprio nel fatto che la sola partecipazione al flusso delle conversazioni con semplici interventi e' gia' una condivisione, e' gia una realizzazione di se', e' gia' l'applicazione del proprio filtro-persona ai messaggi e alle informazioni scambiate con l'esterno, con gli altri. Forse non e' appagante per chi non vuole rinunciare ad una propria necessita' di approfondimento, ma e' gia' sufficiente per socializzare comunicare e perfino assimilare.
Anzi talvolta, una condivisione cosi' essenziale e' addirittura piu' funzionale: primo perche' piu' rapida e quindi pervasiva nei mille canali che il web2.0 ci propone, ma anche perche' pone meno ostacoli nell'interazione con la moltitudine dei partecipanti, i quali a loro volta non hanno sempre il tempo e la motivazione per impegnarsi in qualcosa di complicato.
Diventa cruciale saper mettere in una forma di condivisione snella e rapida il maggior valore sociale e cognitivo con cui vogliamo essere identificati, cio' per cui vogliamo essere riconosciuti, cio' su cui vogliamo confrontarci. Non viceversa: non bisogna piegare la condivisione con gli altri, ai tempi e alle forme di cui necessitiamo noi individualmente per la nostra rielaborazione.
Lungi dal negare l'importanza della rielaborazione e del momento di 'stacco' che questa richiede, ci mancherebbe, ma e' evidente l'importanza della sintesi e della semplificazione, e del confronto serrato. Perche' rielaborazione e distacco aiutano la nostra piu' completa realizzazione, ma la condivisione ne costituisce il presupposto essenziale.
Sotto queste pressioni, la generazione attuale e certamente quelle future, sono e saranno abituate ad approcciare la rielaborazione personale in una prospettiva di social networking: la condivisione non dev'essere in competizione con la rielaborazione. Dovremo allenarci, almeno chi gia' non lo e', ad una condivisione rielaboratrice.
Condivido ergo sum /2: social/knowledge networker
Non credo che i passaggi mancanti (esprimere e connettere) siano un difetto, come dice De Biase. E rielaborare dove finirebbe allora ? Quei passaggi mancano proprio per l'esercizio di sintesi e focalizzazione sui fondamentali, fatto da Leadbeter, e a soffermarcisi, ci si distoglierebbe dal vero messaggio che Leadbeter ci vuole dare.
Ben oltre il semplice 'esprimersi' e 'connettersi' l'uomo si caratterizza per quel processo di rielaborazione di cio' che riceve, che quindi rappresenta una sua produzione, e che ritorna a coloro con cui e' in relazione. Un uomo che pompa continuamente dentro e fuori, e filtra: tutto questo lo si puo' chiamare in una sola parola, condivisione. Come sanno bene tutti gli entusiasti partecipanti ai social network del web2.0, questo processo prima che cognitivo e' sociale.
L'uomo-filtro di messaggi/informazioni/conoscenza e' capace quindi di (1) entrare in contatto, selezionando i contatti stessi, (2) ascoltare o vedere, e ricevere, (3) mettere in relazione quanto ricevuto con se' stesso, la propria individualita' sociale ed eventualmente la propria conoscenza sedimentata, e (4) riproporre sia in forma di semplice 'copia' (che pero' ha gia' il significato in piu' dell'essere passata attraverso il filtro-persona), sia in forma di 'rielaborato' e (5) riattivare l'intero processo appena descritto in cui questa volta e' egli stesso l'originatore.
Dire che questo processo sociale e cognitivo e' essenziale per l'uomo, non e' una novita': "L'uomo e' un animale sociale", "Spendere una vita alla ricerca della verita'", "Conosci te stesso", "Apparire conta piu' che essere"... sono tutte formule gia' viste, e ciascuna col linguaggio del suo tempo, testimonia in quanti hanno creduto e credono a questo.
Ne' va sottovalutata la complessita' e il valore della rielaborazione che viene compiuta da ogni singola persona: "I libri sono fatti di libri", "L'esecutore supera l'autore", "Le colpe dei padri ricadono sui figli", ... [Edit 2/8 11:45] Anche Pavese ne "Il mestiere di vivere", un titolo un programma. Significative addirittura certe esagerazioni che girano in rete.
Socializzare e rielaborare (anche semplicemente selezionando e rilanciando lo stesso messaggio ma cambiando il mittente e talvolta il mezzo) sono concetti ritenuti fondamentali da tutti, e oggi potentemente supportati dal web2.0, in una nuova prospettiva chiamata pomposamente (e anche un po' maldestramente) 'economia della conoscenza'.
Dunque, cosa puo' una mente illuminata come quella di Leadbeter mettere in evidenza che ancora ci manca ? La portata del concetto di condivisione, appunto. Non la 'condivisione della conoscenza', intesa come lavoro, di cui si e' detto e scritto a fiumi, a partire da Druker. Non il social networking come semplice attivita' divertente e forse utile, ma solo collaterale al nostro essere. Il social/knowledge networker che si realizza pompando e filtrando messaggi e informazioni all'interno di un ecosistema sociale e cognitivo.
"Siamo quello che condividiamo", dice Leadbeter. Forse, addirittura, "condividiamo, quindi siamo". 'Condividere' e' una categoria in cui le attivita' umane sociali e cognitive si mescolano senza dover confliggere per una supremazia (sociale sotto, cognitivo sopra). Nella condivisione ci realizziamo: se non socializziamo, il nostro isolamento toglie alla nostra natura; se non trasmettiamo agli altri la conoscenza che abbiamo elaborato, a nulla e' valso elaborarla; se mettiamo a fattor comune anche solo semplici messaggi e immagini, abbiamo 'aggiunto valore' alla semplice combinazione di corpi e cervelli.
Condividere ci permerre di realizzarci, dunque. La domanda ora e' se permette una realizzazione completa ?
Condivido ergo sum /1: Leadbeter
Cibo di sintesi
Ludwig Feuerbach scriveva «siamo quello che mangiamo». Charles Leadbeater dice «siamo quello che condividiamo». Il suo libro racconta il passaggio dalla produzione di massa all'innovazione di massa.
7:50:52 AM comment [0];
Chiosa a «siamo ciò che condividiamo»
Quest'idea di Charles Leadbeater secondo la quale «siamo ciò che condividiamo» indica solo una parte della realtà. Ma molto significativa. Nella rete ci esprimiamo e ci connettiamo. Condividere viene dopo avere trovato che cosa esprimere e dopo avere trovato la connessione con qualcuno che riconosca come interessante quello che esprimiamo. [...]
La rete pensata come mera condivisione può condurre a comportamenti convenzionali. La rete pensata invece come «espressione e connessione» impone un esercizio di introspezione e una ricerca di relazione che qualche volta conduce a un reciproco riconoscimento. A quel punto parte anche la condivizione, che però non è necessariamente la costruzione di un pensiero convenzionale.[...]
9:37:40 AM comment [0];
Il primo commento di Luca De Biase all'ottimo spunto di Charles Leadbeter (gia' autore dell'illuminante Living on thin air del 1999) mi era piaciuto moltissimo, e pensavo che avesse colto nel segno con quel parallelismo che enfatizza come l'uomo si esprime sintetizzando e rielaborando cio' che riceve dall'esterno, e restituendolo all'esterno.
A dire il vero, il paragone col cibo aveva qualche debolezza, non sembra esserci molto valore in cio' che si restituisce al mondo esterno, in quel caso, ma ci poteva stare. La chiosa, invece, mi ha fatto capire che l'interpretazione di De Biase andava in tutt'altra direzione, che non condivido.
La condivisione, non puo' essere vista come una semplice operazione di adesione supina a messaggi esterni che si traduce in una semplice replica (copia e incolla, si dovrebbe dire). Il 'pensiero condiviso', per adesione acritica ad una tribu', e' una degenerazione possibile, non voglio togliere senso alle preoccupazioni di De Biase, ma non e' il punto.
Si deve leggere, a mio parere, "siamo cio' che proponiamo all'effettiva disponibilita' degli altri", cio' che sottomettiamo alla loro selezione e valutazione. Gli altri potranno quindi condividerlo perche' lo sottoscrivono e lo fanno proprio, oppure perche' lo vogliono assumere come semplice riferimento, o proprio per meglio contestarlo.
Anche perche' "condivisione" viene da "divido con", e non rimanda necessariamente ad un "consenso morale", quindi un eventuale pensiero convenzionale non e' diretta conseguenza dell'aver sottoposto una certa idea alla valutazione, anche solo all'esperienza degli altri.
Ne scrivo di piu' qui.