Sara' il caldo di questo inizio agosto, ma ci sono alcuni temi praticamente ineludibili (a cui mi porta un po' la passione, un po' il lavoro, e un po' il contesto nudo e crudo in cui viviamo) che sembrano sempre piu' chiari, e al tempo stesso sempre piu' lontani da una soddisfacente comprensione.
Questo si spiega, secondo me, perche' all'aumentare della comprensione, non corrisponde una effettiva capacita' di controllo, intendendo cosi' almeno una minima possibilita' di predirne l'evoluzione, e trarre quindi il nostro vantaggio. Sembra di essere di fronte ad una crisi di crescita "cognitiva" generale, in cui per il momento ci e' chiaro semplicemente che cio' che sappiamo e' insufficiente.
Mi limito quindi a registrare il futuro come appare, col cervello annebbiato dalla calura e lo sguardo tradito dall'aria torrida, semplicemente, con l'approssimazione causata dalla fatamorgana.
L'ecosistema e' il nuovo medium. L'ecosistema e' il messaggio
Abbiamo per le mani uno strumento potentissimo, il web2.0, ma e' come se avessimo inventato una (nuova) ruota e stessimo pensando di usarla (anche stavolta) come sgabello. Il mondo cambiera' radicalmente quando metteremo questa (nuova) ruota in piedi, eviteremo di sedere sul suo bordo, e la lasceremo correre come e' piu' logico. E forse sara' allora che usciremo da questa crisi globale.
Navigando in internet e partecipando a diversi flussi di conversazioni, ma anche confrontandomi dal vivo con amici appassionati e perfino professionalmente impegnati in attivita' fortemente influenzate da internet (me compreso, ovviamente), vedo emergere principalmente un approccio alla Rete dettato dal marketing. Mi riferiro' innazitutto a questo approccio, anche se ovviamente non e' l'unico e io credo nemmeno il piu' rilevante, solo come inizio: trovo che da questo punto di vista, si vede meglio lo scarto cognitivo sul web 2.0, che ancora abbiamo davanti.
Il marketing, inteso in modo tradizionale, ha sempre considerato la comunicazione uno strumento ben preciso da usare per il proprio obiettivo: far conoscere il proprio prodotto al mercato, nel modo piu' opportuno, e raccogliere le richieste dal mercato, per adattare il proprio prodotto, allo scopo ultimo di favorirne la vendita. Eppure oggi questo strumento non sembra piu' funzionare, e non sembra solo questione di "canale" o di "strumento". Il medium e' ancora il messaggio (Marshal McLuhan, 1964) ? eppure il messaggio non passa piu'. I media siamo noi (Dan Gillmor, 2004); il contenuto coincide col contenitore; il messaggio non e' piu' altro dal messaggero.
Le domande che sento ricorrere piu' spesso sono: "quanti visitatori (che poi sarebbero potenziali clienti) ?", "come catturare l'attenzione ?", "come far passare il messaggio (promozionale) ?", "come si deve porre l'azienda (che e' li per vendere) ?". Anche chi non fa riferimento direttamente ad un potenziale rapporto azienda-cliente, e si muove su un livello tutto personale e "sociale", spesso si pone domande tipo "come aumentare la mia visibilita' ?", "come acquisire piu' follower ?", "come posso affermare la mia reputazione ?". L'esperienza comune ci insegna quanto siano effimere queste ambizioni: in realta' ci insegna che sono proprio inopportune.
Non sto dicendo che e' sbagliato contabilizzare le comunicazioni in internet, rincorrere le diverse nicchie sfruttando la molteplicita' di nuovi canali alternativi e complementari, usarli come "un fascio" di tubi, in cui spingere un messaggio sostanzialmente identico, con le dovute correzioni formali. Non abbiamo gia' superato del tutto il modello tradizionale, e per molti prodotti e per molti destinatari, questa modalita' ancora funziona. Pero' il messaggio cosi' inserito a forza nei tubi, si incastra sempre piu' spesso, e non arriva al destinatario come si vorrebbe. Se vengono versati litri di acqua, dall'altra parte arrivano gocce, e non e' una giustificazione il fatto che acqua e tubo costano poco.
Eppure quello che sembra, nonostante le dichiarazioni di entusiasmo di molti, e' che la maggioranza si ferma proprio qui: accetta l'inefficenza, spreca energie, ma, in mancanza di idee migliori, insiste in questo modo. Molti "markettari", a parte quello che dichiarano, a volte con buone intenzioni e a volte con spirito da imbonitore, guardano al web2.0 nello stesso modo in cui hanno sempre guardato ai precedenti mezzi di comunicazione: uno che parla, pochi o molti che ascoltano, relativo controllo sui tempi e sui contenuti della comunicazione, un grosso problema di attenzione. Il contesto in cui sono inseriti li spinge a non abbandonarsi completamente alla rivoluzione in atto: il ROI deve essere ancora calcolato per giustificare gli investimenti, e niente lo puo' sostituire. E non tutta l'audience si e' spostata, perlomeno non consapevolmente, sui nuovi modelli a rete, partecipati dal basso, alla pari.
Ma tutto questo sta diventando rapidamente storia passata. Non solo perche' il controllo e' andato perduto, o perche' la relazione non e' piu' nel rapporto che si aveva prima. E' cambiato proprio il concetto di conversazione, almeno e' cambiato il suo ruolo. Non e' piu' cosi' determinato: sono indefiniti gli attori, i tempi, i contenuti, il messaggio trasferito, gli effetti, e quindi certamente il controllo. Non e' piu' (solo) una conversazione tra singoli, quello che conta e' l'espressione di un ecosistema. Un ecosistema che non fa salti tra internet e territorio. (James Surowiecki, 2005, Don Tapscott, 2006, Charles Leadbeater, 2008, Charlene Li, 2008,
Clay Shirky, 2009).
Se i mercati sono conversazioni, 10 anni dopo un passo avanti e' necessario, nessuno si sorprenda. Non sono piu' le conversazioni uno-a-molti, ne' le conversazioni uno-a-pochi o uno-a-uno, quelle che contano. Oggi conta una-conversazione-che-corre-attraverso-tutto-il-mercato. Conta che ci sia uno strumento che dimostra di servire a tanti, e che quindi viene effettivamente usato da una comunita' ampia e vivace. L'ecosistema e' il nuovo medium. L'ecosistema e' il messaggio.
Perche' la ruota possa girare, sappiamo che la dobbiamo mettere in piedi, e che non ci possiamo sedere direttamente sopra. Dobbiamo adesso individuare e assimilare analoghi accorgimenti nell'utilizzo dei modelli a rete. Dobbiamo mettere in piedi l'ecosistema, e lasciare che si sviluppi. Per chi si occupa di marketing, capire questo e' gia' un grosso risultato; per chi confida nel potenziale dirompente dei modelli a rete, questo e' solo l'inizio.
Un ottimo esempio e' quello del progetto "Cittadinanza Digitale" del Comune di Venezia, che dopo il BateoCamp a luglio, si sta preparando al secondo grande evento di ottobre, il VeneziaCamp2009. Ne' Vianello, il vicesindaco veneziano che ha fortemente voluto il progetto e lo ha sostenuto da quando e' stato avviato appena due anni fa, ne' il Comune di Venezia, hanno bombardato i canali internet con messaggi rintronanti sulle loro intenzioni e sui vantaggi per Venezia, in tutto questo tempo. Il loro intervento e' stato "abilitare" l'ecosistema, offrire un servizio di tipo infrastrutturale, che lasciasse i fruitori liberi di interpretarlo secondo i propri bisogni e desideri. Da un punto di vista del marketing, il risultato e' stato clamoroso, se oggi non solo tutta l'italia, ma anche all'estero si parla di questo progetto. Non essendo solo il marketing territoriale l'obiettivo di questo progetto, inizia adesso il vero percorso piu' interessante e sfidante, ma non c'e' dubbio che la citta' e' stata rilanciata come protagonista nel terzo millennio.
S'e' fatta sera, la temperatura e' cambiata e la fatamorgana ha cambiato forma e sta svanendo. Ci sentiremo presto con la prossima, ma non credo si parlera' ancora di marketing. Guardare al web2.0 solo come ad uno strumento di comunicazione, e' come guardare la ruota e pensare che il bello sia solo nel farla rotolare.
[Questo articolo e' pubblicato anche qui, e qui]
domenica 2 agosto 2009
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7 commenti :
Caro Gino,
allora posso dire, a mente fresca, dai quasi 900 metri di Voltago Agordino, in vista dei quasi 3000 metri del Monte Agner, che sono quasi arrivato a convincermi che la "f" stia per "f**k Marketing" ??
Al convincimento mi sto avvicinando per reazione a chi ritiene che i sopravvissuti di Atlantide possano solo avere un ruolo di Cassandra .. o portatori di s*f*iga ;-)
Vedremo se ne può uscire qualcosa che non sia yet another *f*alse start :-)))))
Caro Luigi,
come la "stella alpina" ha segnato per me il passaggio dalla ferrata ad un alpinismo piu' completo (e meno assistito), cosi' io credo che dobbiamo concentrarci sulle reali possibilita' (esistenti e ancora tutte da cogliere) e smetterla di guardare solo ad un utilizzo forzato (ferrato), funzionale ad un vecchio modo di guardare a questo mondo.
Una falsa (ri)partenza non ce la possiammo permettere... ma e' anche vero, purtroppo, che siamo abituati ormai a vivere al di la' delle nostre possibilita' :(
@Gino,
al mio modo d'intendere la situazione, il progetto cittadinanza digitale si presenta come una via ferrata .. una specie di passaggio obbligato non raccomandabile ad almeno due categorie di persone:
1) chi intende la meta come risultato della qualità delle scelte da farsi, piuttosto che come luogo prefigurato di arrivo (tra questi il sottoscritto);
2) chi non ha alcuna idea di meta raggiungibile con la cittadinanza digitale (il tipo d'interlocutori che vorrei poter coinvolgere, per potermi riconoscere in un ambiente idoneo alle scelte sopra citate).
Ho aggiunto questo commento per esercitarmi ad esprimere una posizione, critica ma con l'ambizione di essere creativa, rispetto al progetto.
@Luigi, che tu sia "critico" non ci sono dubbi, e non solo da adesso ;-) Ben vengano pero' le critiche, se sono costruttive!
Uno dei motivi percui io non posso seguirti, e' proprio nel fatto che credo sia piu' utile (e a me piu' congeniale) "crederci, riflettere costruttivamente e sperimentare nei fatti". Think big, act small, scale fast, direbbero spocchiosamente gli americani.
Lo so che questo portera' a sbagliare, e a far gongolare chi aveva preso le distanze. Ne sono consapevole. Credi che non veda le difficolta', quanti costosissimi compromessi occorre sopportare, le remate contrarie di chi e' montato sulla barca con discutibili intenzioni ? ti sbagli.
Mi dispiace solo che persone che avrebbero qualcosa da dire, scelgono una posizione defilata, da battitore libero - ed e' giusto preservare la propria individualita' - ma paradossalmente "senza fare rete". Dico paradossalmente, perche' e' di reti che si sta parlando!
@Gino:
non mi considero un battitore libero; sono solo uno che aspetta di potersi muovere senza seguire e senza essere seguito; mi tengo in disparte in attesa di trovare altri disposti a .. muoversi insieme;
la posizione che esprimo poggia sulla conoscenza dell'esito fallimentare di un numero (per me) sufficiente di iniziative di leadership, avviate con la mentalità dei follower, in un settore che ho visto nascere ad opera di persone che hanno saputo muoversi insieme;
l'aspettativa di muoversi insieme appare senza dubbio utopistica, specie quando implica l'eterogeneità delle persone che potrebbero decidere di farlo; nel mio caso è una scelta obbligata;
proverò a sviluppare questa mia replica nel testo di Marco Dal Pozzo su Opportunità e Minacce del Web.
Fortuna vuole che per me possono parlare decine di post scritti sul blog e sui network negli ultimi 7 anni, e in generale le scelte di vita personale e professionale nell'arco di decenni.
Ma visto che mi parli a prescindere da quesllo, devo prendere le distanze con forza dal punto centrale del tuo ultimo commento, Luigi. Credo che occorra distinguere le complesse dinamiche di un'organizzazione sociale (anche quando disorganizzata) e l'orientamento e il comportamento di ogni singolo.
Mi spiego con alcuni paradossi. Se la libera circolazione e uno stato di polizia blandamente deterrente favoriscono il malcostume della microcriminalita', non vuol dire che non puoi invitare nessuno a casa tua senza temere per gli argenti esposti in salotto. E peggio ancora, se assistiamo ad una rivoluzione dei valori condivisi, col risultato che quelli precedenti sono negati e stravolti, e questo porta al dilagare di comportamenti discutibili come la truffa, la menzogna, la corruzione, non vuol dire che ciascuno di noi e' diventato un avanzo di galera, fuori solo perche' il sistema giudiziario e penale non funziona.
Personalmente, sulle leaderless organization sono tornato diverse volte. Sul concetto di ecosistema direi che mi sbraccio da tempo immemorabile, e adesso ancora piu' di ieri. Dei modelli a rete, e internet come formidabile esempio concreto di applicazione non solo funzionante, ma economicamente sostenibile e sempre piu' forte, sono appassionato, studioso e divulgatore.
Detto questo, sono d'accordo con te che bisogna contare anche i casi di coloro che predicano bene e razzolano male. Posso parlarti di persone che ti danno ragione sul concetto di rete e poi cercano di costruire la propria scatola (parafrasando un mio articolo), perche' immaturi su questi temi. Che criticano comportamenti perche' da "leader" - per esempio il semplice fatto di prendere l'iniziativa - e poi prendono l'iniziativa per proprio conto (e ci mancherebbe, altrimenti non vivrebbero) assumendone una conduzione totalmente centralizzata ed autoritaria. Che in modo subdolo si tengono su posizioni defilate, ma solo per sabotare alle spalle ogni progetto di rete, cercando di promuoversi con queste tecniche a riferimento piu' autorevole (credendo di non essere scopoerti evidentemente).
Sono d'accordo con te che il mondo e' fatto di persone, e queste sono capaci spesso di sfoderare comportamenti discutibili e deludenti, ma fare rete (ed essere rete) presuppone che tu abbia a che fare proprio con le persone, e soprattutto che tu sappia riconoscere e valorizzare la loro parte migliore, e che con quelle costruire collaborativamente e paritariamente il tuo progetto. L'altra strada e' fare l'eremita sulla montagna o comunque coltivare il tuo orticello ben recintato.
Chiudo precisando che io sono laico anche su questi argomenti. La leadership non e' il male assoluto, bisogna intendersi su quale riconoscere e sostenere. Personalmente apprezzo le persone che prendono l'iniziativa, e in particolare quelle che arrivano a risultati concreti. Naturalmente mi riferiscono a risultati generati col talento, e non rubati con disonesta spavalderia. Insomma io credo (e pare che questo sia anche il modello piu' moderno) nella necessita' di avviare e concludere progetti (per i quali e' opportuno se non necessario un project leader) all'interno di un magma ribollente di caotiche discussioni e creative proposte com'e' tipicamente una rete.
Ora vado a rileggere e forse ad intervenire sul gdoc di Marco, che pero' e' scritto con una forma che a prima vista mi ha un po' inibito. Ma state tranquilli: a me interessano i contenuti.
Capisco il tuo punto di vista e le tue considerazioni; non credo però che dovremmo discutere i nostri punti di vista.
Provo a spiegarmi dicendo che il gdoc di Marco te l'ho indicato solo come possibile punto di partenza per un nuovo documento, da fare eventualmente a più mani: i ToR (Terms of Reference) di un "Ambiente" ... quello che io chiamo "Ambiente Utente", con riferimento alla mia personale conoscenza dei fallimenti di Olivetti (nel settore Sistemi Aperti) e della Commissione Europea (nel settore Open System Procurement).
Non voglio tediare nessuno con i particolari della mia passata vita lavorativa, che sarebbero comunque ininfluenti. Cerco però un approccio diverso dalla gestione di un progetto, che permetta di non essere, fin dal nascere dell'iniziativa da promuovere, dei follower della tecnologia.
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