Questo ripensamento puo' (e deve) richiedere molto tempo: ma della sua pervasivita' se ne puo' stare certi. Si potrebbe quindi gia' concludere che l' Enterprise 2.0 non e' per tutti, ma per coloro, aziende o persone, che hanno gia' maturato la volonta' di un cambiamento profondo, oppure e soprattutto, che avendolo gia' avviato, lo vogliono sostenere con metodi e tecniche appropriate.
Se non siamo in uno di questi due casi, e anzi c'e' qualche radicata abitudine e profondo convincimento che tale cambiamento e' vissuto come un "male necessario", e' importante non illudersi che l'introduzione in azienda di nuove tecnologie abilitanti, e di qualche nuovo modello comportamentale basato sulla condivisione (semplicmente scritto in qualche procedura interna), saranno sufficienti a scatenare il cambiamento atteso. Tanto meno in poco tempo.
Quali sono quindi i fattori chiave per un "vero" Enterprise 2.0, che vanno verificati come esistenti o desiderati prima di incominciare? Ci aiuta questa check list di Deb Lavoy, ora Product Marketing for Social Media in OpenText.
1) Il valore deve essere riconosciuto a chi condivide, non a chi si rende collo di bottiglia.
2) La perfezione, l'esattezza non esistono, ne' lo saranno mai. Questo non significa che l'approssimazione e l'incompetenza debbano prendere il sopravvento, ma che il timore per le critiche e gli insuccessi non deve rallentare e compromettere la determinazione nell'innovazione e nella ricerca di miglioramento. Inutile quindi negare e nascondere cosa e' andato male. Naturalmente bisogna quindi dimostrare di sapere imparare (bene e presto) dagli errori fatti (detto anche "fail fast")
3) Dal punto precedente, consegue anche che si puo', e si deve essere trasparenti. Piu' facilmente e utilmente, internamente all'azienda.
4) A cascata dai punti precedenti, si puo' e si deve aumentare la partecipazione. Occorrono piu' punti di vista, piu' capacita' creativa, piu' conoscenza "di insieme": piu' partecipazione non e' solo sintomo e causa di un maggiore benessere aziendale, ma di maggiore efficienza e profitto.
5) E il capo che fine fa? (in molti se lo staranno chiedendo). Il vero capo e' riconosciuto per la capacita' di inquadrare il contesto, coinvolgere le persone e orchestrare l'azione. E' una rara combinazione di affidabilita' e umilta'. Charlene Li la chiama Open Leadership (vedi qui sotto una presentazione del suo ottimo libro omonimo ). Un'altra persentazione di Deb Lavoy qui.
6) A questo punto un reale modello collaborativo puo' attivarsi, in cui sono valorizzati i punti di forza dei singoli, e sminuiti quelli di debolezza. Purche' ci sia:
- Una missione condivisa
- Rispetto reciproco
- Fiducia
- Determinazione in un continuo miglioramento
Dunque i modelli che finora hanno dominato in azienda ("comando e controllo", "divide et impera" ...) sono da abbandonare definitivamente? Ci sono contesti e contesti: l'importante e' riconoscere che in nuove situazioni, e fronteggiando nuovi problemi, un nuovo approccio e' possibile.
ASTD Keynote on Open Leadership
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1 commento :
Anni fa parlavo dell'insegnante in classe come del regista della situazione di apprendimento.
Pensa regista come "direttore di scena", all'europea.
E di un regista diciamo: saper percepire i flussi informativi e narrativi, in uno spazio fisico mentale e digitale, mettere in forma avendo in mente l'orizzonte ampio dove una singola azione è una parte, gestire la scena (attori umani, attori oggetti, maestranze). Ti lascio il pensiero su quale sia l'equivalente dellla poetica di quel regista (su uno sfondo estetico) nel caso di un dirigente d'azienda :)
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