Bellissima serata, giovedi sera scorso, a Treviso a Palazzo Bomben, organizzata da Nordest Creativo, sul tema "Social Business Networking". E' stata proprio una bella festa: 130 partecipanti (ed era un giovedi sera, con inizio alle 18!), da mezza Italia, che si sono goduti il momento "ufficiale" con presentazioni "in cattedra", ma brevi chiare efficaci (15 minuti a testa), e il momento "social" con buffet in piedi e massima liberta' di socializzazione e di discussione.
Sono intervenuti nell'ordine Maurizio Salamone, fondatore di Nordest Creativo, che ha dato un'ampia carrellata sullo stato dell'arte del Social Business Networking, e ha messo in risalto il potenziale ancora in gran parte inespresso; poi Silvia Toffolon ha parlato della portata "innovatrice" del Social Business Networking; Nicola Zago ha mostrato come possa essere utilizzato "come strumento aziendale" per portare importanti benefici nell'efficacia ed efficienza dei processi aziendali interni, specie se knowledge intensive; Enrico Marchetto ha raccontato delle sue ricerche in ambito "social media" e dell'influenza che questi hanno ormai sul comportamento del consumatore italiano; Massimo Melica ha alzato il dito indice sui nuovi pericoli inerenti le attivita' online, fondamentalmente legati alla privacy e alla reputation online; Matteo Brunati ha aperto le porte sul mondo affascinante del web semantico; Gianluigi Zarantonello ha illustrato le interessanti opportunita' che si aprono con i "dispositivi mobili"; Mauro Gasparini ha portato, con la sua ottima vena sagace, l'attenzione sui vantaggi di fare social networking anche in campo artistico; e infine Gino Tocchetti ha presentato il nuovo progetto "Ecosistema 2.0" col quale valorizzare il Territorio grazie ai modelli che si sono dimostrati efficaci in Rete, e al tempo stesso portare contenuti di valore in Rete prendendoli proprio dal Territorio. Le presentazioni sono disponibili qui e sul sito di NordestCreativo.
All'indomani, tanta soddisfazione, ma anche qualche riserva sulla formula adottata: chi la voleva piu' social, chi piu' tecnologica, ... Certamente anche queste osservazioni confermano la "voglia di socializzare" che evidentemente non e' mai realizzata del tutto.
Qualcuno poi, sempre il giorno dopo, si e' sbracciato per "auspicare la partenza" del Social Business Networking nel Veneto, a partire dalla prossima occasione (?), in un altro contesto (?). A me sembra invece, che abbiamo potuto vedere il Social Business Networking "gia' partito", anzi "in atto", considerato che ad un evento del genere non si arriva certo per caso, e che proprio per questo e' capace di generare valore e fatti concreti. A me sembra che sia gia' questo il Social Business Networking che funziona: collaborativo, generoso, trasparente, gioioso. E potente come un'onda inarrestabile. Si aggiungeranno altri nodi e altre reti a questa rete? certo che si, e io mi auguro tanti altri, ma soprattutto spero che siano "di qualita'". Il Social Business Networking e' un "bene comune", di cui NON ci si puo' impossessare: trovo che sia veramente sciocco cercare la propria visibilita' personale (motivazione pur sempre ragionevole) cercando di sedercisi sopra a furia di gomitate.
Ora, come auspicato da Maurizio stesso, le conversazioni sui temi proposti, e soprattutto le relazioni interpersonali, dovrebbero proseguire online, dove d'altra parte moltissime s'erano gia' originate: in fondo abbiamo avuto proprio un esempio di come la Rete possa debordare nel Territorio, e Palazzo Bomben per una sera e' diventato un "nodo fisico della Rete". Un modello, questo, che Ecosistema 2.0 intende spingere e diffondere.
lunedì 23 febbraio 2009
venerdì 20 febbraio 2009
Ecosistema 2.0: presentazione a Treviso, il 19/2/09
Presentazione del progetto "Ecosistema 2.0: Social Business Glocal NetWork" tenuta in occasione dell'evento "Social Business Networking", organizzato da NordEstCreativo, a Palazzo Bomben, Treviso, il 19/2/2009:
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mercoledì 11 febbraio 2009
Leaderless organization e carisma 2.0
Complimenti a Elisabetta Pasini e a Marco Minghetti, per l'interessantissimo spunto sulla leaderless organization, molto attuale.
Oggi e' difficile avere esempi di carisma efficace su gruppi molto ampi, perche', primo, e' gia' difficile avere gruppi molto ampi, e, secondo, avere valori condivisi. In un'azienda, specie se ancora abbastanza piccola, dove e' ancora possibile e necessario aggregare intorno ad un "codice" interno, il carisma non puo' che essere legato alla miglior rappresentazione vivente di quel codice. Questa naturalmente e' una condizione necessaria ma non sufficiente: e' sempre necessario avere quel quid in piu'. Se l'azienda e' grande, spesso viene gestita come costellazione di piu' piccole unita' organizzative.
D'altra parte, nei network che oggi si possono sviluppare attraverso la rete, e che sono forse le ultime realta' di aggregazione di grandi numeri di persone, il discorso e' diverso. E anche qui bisogna distinguere quelli generalisti (la blogosfera, Linkedin, Facebook, ...), da quelli di nicchia (p.e. sulla formazione, sull'ICT, ...).
Nel primo caso il manifesto di idee e valori nel quale i networker si riconoscono e' minimo, se non inesistente. Qui il termine "anarchia" rende bene, in una valenza non necessariamente negativa. Non vedo possibilita' per esprimere leadership e nemmeno carisma, al limite un certo presenzialismo intorno al quale piu' che consenso si sviluppa opportunismo. Questa e' dunque proprio un'organizzazione leaderless, ma forse semplicemente NON e' una organizzazione. Nulla puo' influenzarne lo sviluppo: e' dunque anche charisma-less. Unica eccezione in Italia e' Grillo, ma vi invito anche a non sopravvalutare troppo questo caso. Forse, in alcuni casi, e' piu' utile parlare di "reputazione tra pari", ma solo in alcuni sottoinsiemi di questi network.
Un discorso diverso si deve fare per i network di nicchia. Qui ha senso, secondo me, discutere di organizzazione leaderless, e di carisma che prelude ad una significativa influenza sullo sviluppo del network. Oltre a meriti specifici legati alla particolarita' della nicchia, in questo caso e' richiesta una capacita' di comprensione e interpretazione dei "principi del networking". Questi comprendono un codice etico e comportamentale, e soprattutto la consapevolezza di quali sono le dinamiche all'interno del network, e quindi di quali atteggiamenti le favoriscono. Se infine scatta anche il quid in piu', allora si puo' proprio parlare di carisma.
L'esperienza insegna pero' che nel network non ci sono barriere all'ingresso, almeno non in generale. Quindi possiamo trovare sia colui che interpreta lo spazio del network come un terreno di conquista, probabilmente senza scrupoli sulla scelta delle armi da usare; sia colui che interpreta lo stesso spazio come un terreno per scorribande predatorie o semplicemente vandaliche, in cui muoversi senza tetto ne' legge, e anzi preoccupandosi che nessun codice etico sia condiviso, affinche' nessun vincolo diventi legittimo. La presenza di questo tipo di comportamenti e' generalmente ininfluente nei network con basi molto allargate, mentre e' devastante nei piccoli, o quelli che sono nelle prime fasi di crescita.
L'unico modo possibile perche' un piccolo-medio network possa rimanere integro, e possa quindi permettere lo spontaneo riconoscimento di carisma, a mio giudizio, e' preservare la natura stessa del network: quindi impedendo che l'approccio si pieghi al verticismo da un lato, e alla totale assenza di regole dall'altro. Queste regole, pero', non devono essere tradotte in norme processi e pene, ma semplicemente in una netiquette da ricordare come una carta di valori condivisi, nei momenti di confusione e incertezza. E questa l'ultima vestigia di organizzazione che ancora rimane da considerare.
Nell'urgenza di un approccio ecologico al networking, quindi non del tutto anarchico, c'e' un punto che emerge come fondamentale, secondo me, ed e' quello che ha reso la Rete grande come tutti sappiamo: la conversazione. Se siamo tutti convinti che i mercati sono conversazioni, a maggior ragione non abbiamo dubbi che la societa' intera e' conversazione. Intesa proprio come "espressione di se' e momento di confronto con l'altro". Solo un alto livello di interazione, trasparente e intensa, sia aperta e collettiva, sia privata e tra singoli, puo' effettivamente rendere possbile il riconoscimento delle reali motivazioni e dell'atteggiamento dei networker. A quel punto, per naturale evoluzione, l'aspirante padrone e l'aspirante predone vengono riconosciuti come tali, e quindi sostenuti solo da quella fazione che apprezza o il primo o il secondo dei due modelli.
Soprattutto nei network piccoli, allora, o per loro natura o perche' appena avviati, sulla qualita' della comunicazione e dell'interazione va posta la massima attenzione. Dove qualcuno impone di limitare le conversazioni, si capisce subito che c'e' un padrone o un predone latente che sta preparando il suo assalto. In un network che sia veramente un network, cioe' una rete, la conversazione e' sacra. Se c'e' quindi un carisma 2.0, questo si fonda innanzitutto sulla capacita' di comunicare e interagire con tutti.
Oggi e' difficile avere esempi di carisma efficace su gruppi molto ampi, perche', primo, e' gia' difficile avere gruppi molto ampi, e, secondo, avere valori condivisi. In un'azienda, specie se ancora abbastanza piccola, dove e' ancora possibile e necessario aggregare intorno ad un "codice" interno, il carisma non puo' che essere legato alla miglior rappresentazione vivente di quel codice. Questa naturalmente e' una condizione necessaria ma non sufficiente: e' sempre necessario avere quel quid in piu'. Se l'azienda e' grande, spesso viene gestita come costellazione di piu' piccole unita' organizzative.
D'altra parte, nei network che oggi si possono sviluppare attraverso la rete, e che sono forse le ultime realta' di aggregazione di grandi numeri di persone, il discorso e' diverso. E anche qui bisogna distinguere quelli generalisti (la blogosfera, Linkedin, Facebook, ...), da quelli di nicchia (p.e. sulla formazione, sull'ICT, ...).
Nel primo caso il manifesto di idee e valori nel quale i networker si riconoscono e' minimo, se non inesistente. Qui il termine "anarchia" rende bene, in una valenza non necessariamente negativa. Non vedo possibilita' per esprimere leadership e nemmeno carisma, al limite un certo presenzialismo intorno al quale piu' che consenso si sviluppa opportunismo. Questa e' dunque proprio un'organizzazione leaderless, ma forse semplicemente NON e' una organizzazione. Nulla puo' influenzarne lo sviluppo: e' dunque anche charisma-less. Unica eccezione in Italia e' Grillo, ma vi invito anche a non sopravvalutare troppo questo caso. Forse, in alcuni casi, e' piu' utile parlare di "reputazione tra pari", ma solo in alcuni sottoinsiemi di questi network.
Un discorso diverso si deve fare per i network di nicchia. Qui ha senso, secondo me, discutere di organizzazione leaderless, e di carisma che prelude ad una significativa influenza sullo sviluppo del network. Oltre a meriti specifici legati alla particolarita' della nicchia, in questo caso e' richiesta una capacita' di comprensione e interpretazione dei "principi del networking". Questi comprendono un codice etico e comportamentale, e soprattutto la consapevolezza di quali sono le dinamiche all'interno del network, e quindi di quali atteggiamenti le favoriscono. Se infine scatta anche il quid in piu', allora si puo' proprio parlare di carisma.
L'esperienza insegna pero' che nel network non ci sono barriere all'ingresso, almeno non in generale. Quindi possiamo trovare sia colui che interpreta lo spazio del network come un terreno di conquista, probabilmente senza scrupoli sulla scelta delle armi da usare; sia colui che interpreta lo stesso spazio come un terreno per scorribande predatorie o semplicemente vandaliche, in cui muoversi senza tetto ne' legge, e anzi preoccupandosi che nessun codice etico sia condiviso, affinche' nessun vincolo diventi legittimo. La presenza di questo tipo di comportamenti e' generalmente ininfluente nei network con basi molto allargate, mentre e' devastante nei piccoli, o quelli che sono nelle prime fasi di crescita.
L'unico modo possibile perche' un piccolo-medio network possa rimanere integro, e possa quindi permettere lo spontaneo riconoscimento di carisma, a mio giudizio, e' preservare la natura stessa del network: quindi impedendo che l'approccio si pieghi al verticismo da un lato, e alla totale assenza di regole dall'altro. Queste regole, pero', non devono essere tradotte in norme processi e pene, ma semplicemente in una netiquette da ricordare come una carta di valori condivisi, nei momenti di confusione e incertezza. E questa l'ultima vestigia di organizzazione che ancora rimane da considerare.
Nell'urgenza di un approccio ecologico al networking, quindi non del tutto anarchico, c'e' un punto che emerge come fondamentale, secondo me, ed e' quello che ha reso la Rete grande come tutti sappiamo: la conversazione. Se siamo tutti convinti che i mercati sono conversazioni, a maggior ragione non abbiamo dubbi che la societa' intera e' conversazione. Intesa proprio come "espressione di se' e momento di confronto con l'altro". Solo un alto livello di interazione, trasparente e intensa, sia aperta e collettiva, sia privata e tra singoli, puo' effettivamente rendere possbile il riconoscimento delle reali motivazioni e dell'atteggiamento dei networker. A quel punto, per naturale evoluzione, l'aspirante padrone e l'aspirante predone vengono riconosciuti come tali, e quindi sostenuti solo da quella fazione che apprezza o il primo o il secondo dei due modelli.
Soprattutto nei network piccoli, allora, o per loro natura o perche' appena avviati, sulla qualita' della comunicazione e dell'interazione va posta la massima attenzione. Dove qualcuno impone di limitare le conversazioni, si capisce subito che c'e' un padrone o un predone latente che sta preparando il suo assalto. In un network che sia veramente un network, cioe' una rete, la conversazione e' sacra. Se c'e' quindi un carisma 2.0, questo si fonda innanzitutto sulla capacita' di comunicare e interagire con tutti.
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martedì 10 febbraio 2009
Eluana: un punto di vista fuori dai cori contrapposti
Riporto anche qui, un mio commento alla nota di Massimo Pregnolato, sul caso di Eluana, su FB.
Caro Massimo,
ho veramente apprezzato il tuo commento, e credo che tolti pochissimi passaggi, sia stato "originale" nel dibattito cosi' misero che s'e' fatto sul caso Eluana, misero com'e' quello che si fa ormai su ogni questione.
Innanzitutto perche' sono assolutamente d'accordo sul fatto che non sappiamo ancora bene cos'e' la "vita", e cos'e' la vita in un'organismo, specie cosi' complesso come l'uomo. La questione non era se Eluana fosse "non-morta", e quindi da liberare dal suo tragico stato. La questione era "quanto" di Eluana era ancora viva, e come tu ci fai giustamente notare, non abbiamo capacita' di rilevazione e di analisi per rispondere con esattezza a questa domanda.
Dunque, la domanda avrebbe dovuto diventare, semmai, "quanto straziante" fosse il permanere di Eluana in quello stato, quanto per lei, quanto per i suoi cari. A questa domanda si sarebbe dovuto rispondere, e dal momento che anche in questo caso non abbiamo validi strumenti di rilevazione e capacita' di comprensione, avremmo dovuto quanto meno applicare tutti gli sforzi per lenire questo eventuale dolore suo e dei suoi cari.
Quello che voglio dire e' che se anche Eluana fosse stata da considerare un semplice "vegetale", l'unica ragione estrema per procurarle la morte avrebbe potuto essere la certezza che stesse soffrendo oltre ogni misura, unico motivo utile per giustificare come compassionevole una decisione tanto grave.
Non ritengo quindi necessario arrivare alla questione dell'anima, perche' gia' prima ci sarebbero stati questi elementi importanti da considerare. Non che la questione dell'anima non si ponga, ma sai che qui si innescano faziosita' esagerate, che a mio parere hanno gettato ombra su una decisione che invece avrebbe dovuto essere presa con maggiore lucidita'. Come quella che tu ci hai mostrato.
Ciao. Gino
Caro Massimo,
ho veramente apprezzato il tuo commento, e credo che tolti pochissimi passaggi, sia stato "originale" nel dibattito cosi' misero che s'e' fatto sul caso Eluana, misero com'e' quello che si fa ormai su ogni questione.
Innanzitutto perche' sono assolutamente d'accordo sul fatto che non sappiamo ancora bene cos'e' la "vita", e cos'e' la vita in un'organismo, specie cosi' complesso come l'uomo. La questione non era se Eluana fosse "non-morta", e quindi da liberare dal suo tragico stato. La questione era "quanto" di Eluana era ancora viva, e come tu ci fai giustamente notare, non abbiamo capacita' di rilevazione e di analisi per rispondere con esattezza a questa domanda.
Dunque, la domanda avrebbe dovuto diventare, semmai, "quanto straziante" fosse il permanere di Eluana in quello stato, quanto per lei, quanto per i suoi cari. A questa domanda si sarebbe dovuto rispondere, e dal momento che anche in questo caso non abbiamo validi strumenti di rilevazione e capacita' di comprensione, avremmo dovuto quanto meno applicare tutti gli sforzi per lenire questo eventuale dolore suo e dei suoi cari.
Quello che voglio dire e' che se anche Eluana fosse stata da considerare un semplice "vegetale", l'unica ragione estrema per procurarle la morte avrebbe potuto essere la certezza che stesse soffrendo oltre ogni misura, unico motivo utile per giustificare come compassionevole una decisione tanto grave.
Non ritengo quindi necessario arrivare alla questione dell'anima, perche' gia' prima ci sarebbero stati questi elementi importanti da considerare. Non che la questione dell'anima non si ponga, ma sai che qui si innescano faziosita' esagerate, che a mio parere hanno gettato ombra su una decisione che invece avrebbe dovuto essere presa con maggiore lucidita'. Come quella che tu ci hai mostrato.
Ciao. Gino
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lunedì 9 febbraio 2009
L'idea di Ecosistema 2.0
L'idea e' anche un evento su facebook: iscrivetevi, e partecipate commentando, taggando, aggiungendo foto, video...
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domenica 1 febbraio 2009
Societing, piu' che un nuovo modello comunicativo 2.0
Stavo leggendo questo post di Marco Minghetti, che riprende quello da lui pubblicato su Nova, dal titolo "I manager giurassici e la frontiera crossmediale", e ho fatto alcuni commenti sullo schema a 4 cluster proposto nella ricerca annuale realizzata dall'Osservatorio sulla Multicanalità della School of Management del Politecnico di Milano, che dovrebbe spiegare l'approccio delle aziende italiane alla multicanalita'.
Qui di seguito i due interventi:
Lo schema a 4 cluster e' difettoso in partenza. Purtroppo molte aziende sono cresciute solo "grazie" ad un mercato opaco, cavalcando la disinformazione del cliente, differenziando il prodotto sul prezzo e non sulla qualita', e anzi ottenendo il basso prezzo proprio con soluzioni che sarebbe controproducente rivelare. Queste aziende non sono ne' "miopi", ne' "vogliono ma non possono": queste "non vogliono assolutamente pur avendo capito benissimo" l'approccio innovativo, aperto e partecipativo al mercato. Alcune lo sono sempre e intenzionalmente; altre lo sono solo tavolta e per cause di forza maggiore. Credo che insieme siano una quota apprezzabile del mercato.
Quindi l'approccio 2.0 e' proponibile solo a certe aziende, non perche' "loro possono", ma perche' solo loro "se lo possono permettere". Queste aziende beneficeranno dell'accesso ai clienti 2.0 e del loro apprezzamento. Le altre continueranno a comunicare alla vecchia maniera, perche' e' funzionale al fare impresa alla vecchia maniera. E non sara' un gran danno finche' continueranno ad esistere clienti alla vecchia maniera, i quali in fondo (non si sa perche') saranno felici di un sistema impostato nella vecchia maniera.
La questione quindi andrebbe spostata dal piano della comunicazione ad un piano piu' strategico e manageriale. Solo un'azienda ben posizionata nel mercato, e ben gestita, puo' guardare all'approccio 2.0, senza remore.
Nella foto, Giovanni Pola direttore marketing e vendite di Connexia (sx), e Andrea Boaretto, responsabile progetti area marketing della School of Management del Politecnico di Milano (dx).
E poi.
Io credo che tutti noi [nel thread] stiamo parlando di societing, e non di marketing, e non a caso. Nel concetto di mercato ci sono due parti contrapposte: le unisce il bisogno l'uno dell'altra; le divide il conflitto di interessi economici. Il prezzo e' fortemente condizionato dal gap di conoscenza reciproca.
Viceversa ci stiamo avviando a grandi passi verso un modello in cui di sicuro viene meno quel gap di conoscenza, nel senso che il cliente puo' beneficiare di maggiori informazioni, e se non riesce ad informarsi adeguatamente sul prodotto e sul fornitore, rinuncia all'acquisto. Io faccio cosi': considero un'azienda o un professionista che non comunica in internet, sospettosamente omertoso, inaffidabile, quanto quella/quello che mi ha gia' bidonato una volta.
Posto che una (buona) parte di aziende vive proprio grazie a quel gap di conoscenza, la domanda e' perche' quelle che si possono permettere un approccio trasparente lo temono e lo rifiutano ? La perdita di controllo non e' l'unica risposta. Il cambiamento culturale e' un'altra importante risposta.
Non dimentichiamo che nel societing, il rapporto azienda/cliente si dilata: il cliente non e' piu' uno ma e' piu' spesso una comunita'; l'azienda non e' piu' una ma e' piu' spesso un sistema. Cio' che si vende non e' piu', quasi sempre, solo un prodotto/servizio, ma un modo per contribuire all'ecosistema sociale.
Se io corporation, col mio marketing manager e tutta la mia prima linea, abbiamo sempre ragionato mettendo innanzi a tutto il prodotto, e per ultimo il go-to-market, e' evidente che non ho ne' la sensibilita' ne' la capacita' di ragionare in modo diverso. Come sempre si risolvono prima i problemi che si sanno risolvere meglio, quelli a cui si e' abituati.
Vogliamo parlare di quella moltitudine di aziende per le quali il marketing NON esiste, nemmeno nella versione 1.0, perche' significa "chiacchierare" e non "fare" ? Vogliamo parlare di quella atavica contrapposizione tra la Direzione Tecnica e quella Commerciale ? Vogliamo ricordarci che il 95% delle aziende italiane sono sostanzialmente di impostazione artigianale ?
Non credo che le aziende che cadono nei quadranti "Vorrei ma non posso" e "Vorrei ma non riesco", siano tutte bloccate dalla perdita di controllo. Certamente alcune di queste aziende si: vorrebbero applicare anche nei canali 2.0, un approccio impositivo e ingannatorio. Perfino alcuni giovani comunicatori che si dicono appassionati ed evangelisti di web2.0, vedo che una volta sul campo indulgono in quei vecchi stereotipi comunicativi, che in fondo hanno ancora evidentemente un certo appeal. Ma altre aziende, no: quelle che hanno deciso di "provarci", hanno gia' assimilato la necessita' di un rapporto di tipo diverso con la clientela. Hanno capito che hanno tutto da guadagnare nel conoscere il cliente, e nel farsi conoscere dal cliente. Se non riescono, e' perche' non sanno come fare; ma se non possono e' perche' il "cervello" aziendale funziona ancora sostanzialmente con i vecchi schemi.
Non credo che a queste aziende sia importante andare a parlare di numeri (l'interesse s'e' gia' acceso), e non credo si debba andare a parlare di tecniche (non sono ancora arrivati a quel punto): si deve andare a fare cultura d'impresa 2.0, formazione manageriale, divulgazione di case study di successo.
Insomma, a che serve urlare ai manager giurassici che devono cambiare verso il nuovo perche' e' nuovo, o perche' altrimenti perdono il posto, e ottenere cosi' l'effetto contrario ? Prima bisogna capire che tipo di manager/aziende sono, e poi occorre accompagnare il bambino per mano (anche se e' un dirigente di 50 anni, ma, credetemi, anche se e' un baldo giovanotto di 35 anni ma non cosi' brillante) nel mondo che non conosce, e per il quale non ha modelli mentali e strumenti metodologici.
A questo proposito vi segnalo:
- Beyond Marketing: In Praise of Societing by Bernard Cova, Olivier Badot, Ampelio Bucci, VisionMarketing 2006
- Societing. Il marketing nella società postmoderna, di Gianpaolo Fabris, Egea 2008
- Il commento di Diomira Cennamo, su Nova, al libro di Fabris
- L'intervista a Fabris di Carlo Rossanigo, su SocietingBlog
- Il commento di Massimo Carraro, su OhMyMarketing
e poi volendo intervenire con strumenti appropriati, vi segnalo questa iniziativa interessantissima di Giuseppe Vitale, dedicata al Problem Telling:
- Il sito ProblemTelling
- Il gruppo su Facebook di ProblemTelling
[altri commenti qui]
Qui di seguito i due interventi:
Lo schema a 4 cluster e' difettoso in partenza. Purtroppo molte aziende sono cresciute solo "grazie" ad un mercato opaco, cavalcando la disinformazione del cliente, differenziando il prodotto sul prezzo e non sulla qualita', e anzi ottenendo il basso prezzo proprio con soluzioni che sarebbe controproducente rivelare. Queste aziende non sono ne' "miopi", ne' "vogliono ma non possono": queste "non vogliono assolutamente pur avendo capito benissimo" l'approccio innovativo, aperto e partecipativo al mercato. Alcune lo sono sempre e intenzionalmente; altre lo sono solo tavolta e per cause di forza maggiore. Credo che insieme siano una quota apprezzabile del mercato.
Quindi l'approccio 2.0 e' proponibile solo a certe aziende, non perche' "loro possono", ma perche' solo loro "se lo possono permettere". Queste aziende beneficeranno dell'accesso ai clienti 2.0 e del loro apprezzamento. Le altre continueranno a comunicare alla vecchia maniera, perche' e' funzionale al fare impresa alla vecchia maniera. E non sara' un gran danno finche' continueranno ad esistere clienti alla vecchia maniera, i quali in fondo (non si sa perche') saranno felici di un sistema impostato nella vecchia maniera.
La questione quindi andrebbe spostata dal piano della comunicazione ad un piano piu' strategico e manageriale. Solo un'azienda ben posizionata nel mercato, e ben gestita, puo' guardare all'approccio 2.0, senza remore.
Nella foto, Giovanni Pola direttore marketing e vendite di Connexia (sx), e Andrea Boaretto, responsabile progetti area marketing della School of Management del Politecnico di Milano (dx).
E poi.
Io credo che tutti noi [nel thread] stiamo parlando di societing, e non di marketing, e non a caso. Nel concetto di mercato ci sono due parti contrapposte: le unisce il bisogno l'uno dell'altra; le divide il conflitto di interessi economici. Il prezzo e' fortemente condizionato dal gap di conoscenza reciproca.
Viceversa ci stiamo avviando a grandi passi verso un modello in cui di sicuro viene meno quel gap di conoscenza, nel senso che il cliente puo' beneficiare di maggiori informazioni, e se non riesce ad informarsi adeguatamente sul prodotto e sul fornitore, rinuncia all'acquisto. Io faccio cosi': considero un'azienda o un professionista che non comunica in internet, sospettosamente omertoso, inaffidabile, quanto quella/quello che mi ha gia' bidonato una volta.
Posto che una (buona) parte di aziende vive proprio grazie a quel gap di conoscenza, la domanda e' perche' quelle che si possono permettere un approccio trasparente lo temono e lo rifiutano ? La perdita di controllo non e' l'unica risposta. Il cambiamento culturale e' un'altra importante risposta.
Non dimentichiamo che nel societing, il rapporto azienda/cliente si dilata: il cliente non e' piu' uno ma e' piu' spesso una comunita'; l'azienda non e' piu' una ma e' piu' spesso un sistema. Cio' che si vende non e' piu', quasi sempre, solo un prodotto/servizio, ma un modo per contribuire all'ecosistema sociale.
Se io corporation, col mio marketing manager e tutta la mia prima linea, abbiamo sempre ragionato mettendo innanzi a tutto il prodotto, e per ultimo il go-to-market, e' evidente che non ho ne' la sensibilita' ne' la capacita' di ragionare in modo diverso. Come sempre si risolvono prima i problemi che si sanno risolvere meglio, quelli a cui si e' abituati.
Vogliamo parlare di quella moltitudine di aziende per le quali il marketing NON esiste, nemmeno nella versione 1.0, perche' significa "chiacchierare" e non "fare" ? Vogliamo parlare di quella atavica contrapposizione tra la Direzione Tecnica e quella Commerciale ? Vogliamo ricordarci che il 95% delle aziende italiane sono sostanzialmente di impostazione artigianale ?
Non credo che le aziende che cadono nei quadranti "Vorrei ma non posso" e "Vorrei ma non riesco", siano tutte bloccate dalla perdita di controllo. Certamente alcune di queste aziende si: vorrebbero applicare anche nei canali 2.0, un approccio impositivo e ingannatorio. Perfino alcuni giovani comunicatori che si dicono appassionati ed evangelisti di web2.0, vedo che una volta sul campo indulgono in quei vecchi stereotipi comunicativi, che in fondo hanno ancora evidentemente un certo appeal. Ma altre aziende, no: quelle che hanno deciso di "provarci", hanno gia' assimilato la necessita' di un rapporto di tipo diverso con la clientela. Hanno capito che hanno tutto da guadagnare nel conoscere il cliente, e nel farsi conoscere dal cliente. Se non riescono, e' perche' non sanno come fare; ma se non possono e' perche' il "cervello" aziendale funziona ancora sostanzialmente con i vecchi schemi.
Non credo che a queste aziende sia importante andare a parlare di numeri (l'interesse s'e' gia' acceso), e non credo si debba andare a parlare di tecniche (non sono ancora arrivati a quel punto): si deve andare a fare cultura d'impresa 2.0, formazione manageriale, divulgazione di case study di successo.
Insomma, a che serve urlare ai manager giurassici che devono cambiare verso il nuovo perche' e' nuovo, o perche' altrimenti perdono il posto, e ottenere cosi' l'effetto contrario ? Prima bisogna capire che tipo di manager/aziende sono, e poi occorre accompagnare il bambino per mano (anche se e' un dirigente di 50 anni, ma, credetemi, anche se e' un baldo giovanotto di 35 anni ma non cosi' brillante) nel mondo che non conosce, e per il quale non ha modelli mentali e strumenti metodologici.
A questo proposito vi segnalo:
- Beyond Marketing: In Praise of Societing by Bernard Cova, Olivier Badot, Ampelio Bucci, VisionMarketing 2006
- Societing. Il marketing nella società postmoderna, di Gianpaolo Fabris, Egea 2008
- Il commento di Diomira Cennamo, su Nova, al libro di Fabris
- L'intervista a Fabris di Carlo Rossanigo, su SocietingBlog
- Il commento di Massimo Carraro, su OhMyMarketing
e poi volendo intervenire con strumenti appropriati, vi segnalo questa iniziativa interessantissima di Giuseppe Vitale, dedicata al Problem Telling:
- Il sito ProblemTelling
- Il gruppo su Facebook di ProblemTelling
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