Usiamo Facebook, forse anche troppo, ma non ci piace davvero. Questo almeno è quello che che rivela uno studio di ForeSee Results, che mette a confronto la quantità di utenti di un prodotto o servizio con la loro soddisfazione. Quando una piattaforma è la più usata è difficile distaccarsene, un po’ per pigrizia e un po’ per abitudine, soprattutto nel caso di un servizio come Facebook che richiede l’adesione di una quantità molto elevata di utenti per poter davvero funzionare. Spiega Businessweek:
Probabilmente è una variazione del concetto di «satisficing». La parola «satisfice», coniata nel ‘56 da Herbert Simon, economista e psicologo della Canergie Mellon University, combina le due parole «satisfy» (essere soddisfatto) e «suffice» (essere abbastanza), e descrive il modo in cui i consumatori fanno le loro scelte seguendo la strada più comoda. Nel caso dei social media, vai dove sono i tuoi amici.
Diverse le possibili spiegazioni di questo rapporto cosi' prosaico, con uno strumento che in molti casi assorbe incredibili quantita' di tempo ed attenzione. Sergio parla di aspetti funzionali e di experience, mentre nel pezzo citato qui sopra si parla di policy ostili.
Io aggiungerei anche la questione del saldo non sempre positivo, tra tempo investito e benessere e vantaggio guadagnato. Per quanto possiamo essere d'accordo sull'importanza delle reti sociali, della condivisione della conoscenza, della creativita' allo stato liquido, rimane sempre incompleto il livello di realizzazione di se', mancando almeno due grosse componenti: quella fisica, e quella progettuale. E per entrambi e' necessario il collegamento col territorio.
Facebook, come altre piattaforme di social networking, se considerate come strumento isolato, sono per la relazione fine a se' stessa. Questa non e' certo un'esperienza di scarso valore, e il suo potenziale in termini di benessere interiore, approfondimento conoscitivo e sviluppo di un senso comune sono importantissimi, specie dopo anni votati ad un individualismo che si trasformava molto spesso in isolamento. Ma superata la sbornia, e raffinate le esigenze, per relazioni piu' efficaci e per esperienze piu' profonde, inevitabilmente, la piattaforma (qualunque essa sia) mostra i suoi limiti, e il gioco alla fine stanca.
Da questo punto di vista Facebook non ha nulla di meno delle altre, se non forse la "colpa" di creare maggiori aspettative. Mi rendo conto che non ho risposto alla domanda di partenza dei due articoli (perche' scelgono tutti Facebook e non un'altra piattaforma?), ma sinceramente, a questo punto (509 milioni di utenti nel mondo, e quasi 17 in Italia - dati in tempo reale), non c'e' storia: la risposta e' perche' sono tutti qui.
Per capire l'ascesa di Facebook (argomento obsoleto, ma forse a qualcuno interessa ancora), io faccio sempre il paragone con Microsoft: all'inizio era l'unica risposta alle esigenze dell'utente "primitivo", poi, dopo la penetrazione del mercato a quote bulgare, e' diventato lo standard de facto. La lezione da imparare? sempre quella: saper cogliere l'attimo in cui milioni di utenti sono pronti per entrare in scena, ma tutti gli strumenti fino a quel momento offerti sono troppo complessi, adatti solo ad utenti geek. Un altro e' stato Skype.
Ma a questo punto la vera questione da porsi e' "cosa verra' dopo Facebook". Il recente articolo provocatore di Wired, sulla morte del web, segnala che nuove modalita' di utilizzo di internet (cioe' della infrastruttura di connessione sottostante il web) si stanno affermando. Inoltre, e di conseguenza, nuove reti saranno piu' agevoli (reti di cose, reti di posti... reti di dati...): ma queste cambieranno la nostra vita quotidiana (anche profondamente) da un punto di vista informativo e operativo. Su questa strada si potra' essere sempre piu' prosumer raffinati di contenuti, certosini cesellatori di nuove architetture informative, perfino barocchi impaginatori e manieristi dei messaggi, cicisbei nel social networking come cortigiani del Re Sole, per non parlare del dandysmo gia' dialagante nella scelta dei device di moda.
Cosa si prospetta invece del punto di vista relazionale (esperienziale) e cognitivo? Un salto quantico potrebbe effettivamente aversi sul piano semantico, sempre che questo ci consenta di spostarci ad un livello meta con la stessa funzionalita' e completezza con cui da qualche millennio usiamo le parole invece dei gesti. Qualcosa di piu' vicino temporalmente parlando, e di grandissimo potenziale potrebbe arrivare quando saremo in grado di dare il dono della parola agli oggetti. Qualcosa di altrettanto potente, potrebbe arrivare nel campo dei video, sfruttando le tecnologie ancora coperte da segreto militare nel pattern recognition e nell'analisi delle immagini. Riuscite ad immaginare cosa sarebbe in termini esperienziali relazionali e cognitivi, se si potesse passare dal linguaggio visivo a quello testuale e vocale in modo (semi) automatico ?
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