domenica 29 novembre 2009

La blogosfera logorata dal potere, che non ha

Qualche giorno fa, nella socialsfera ci si e' posti un po' piu' intenzionalmente il tema della "concretezza" del dibattito in rete. In realta' questo succede da anni, nella blogosfera, con ritmo piu' o meno regolare.

Qualcuno l'ha buttata sui tecnicismi.

Personalmente sono convinto che la tecnologia e' abilitante, ma non puo' sostituire la capacita' delle persone. Pero' il concetto di "platform" deve raffreddare gli entusiasmi di certi geek, ma deve anche essere un monito per i piu' "umanisti". Grazie a piattaforme che hanno proprio lo scopo di rendere facile lo sviluppo di soluzioni e servizi, ormai la tecnologia rientra nella cassetta degli attrezzi di chiunque, per comunicare e fare, insieme al dizionario e alla formazione di base (ok, qui c'e' dell'utopia, e' ovvio). D'altra parte, come ricorda Ross Mayfield, le persone sono la vera piattaforma.

Qualcuno l'ha buttata sull'italianita'.

Ora, che gli italiani debbano sempre disprezzarsi "collettivamente", pur ritenendosi ciascuno una "provvidenziale eccezione", e' un noto luogo comune. Certamente ci sono alcuni aspetti culturali, e penso che debbano essere identificati con lucidita', se ce ne vogliamo affrancare progressivamente (ammesso che sia possibile). Non mi ritrovo tanto nella teoria che gli italiani hanno una maggiore inclinazione agli aspetti puramente conversazionali (intendendo con questo dotte disquisizioni, ma anche spesso sano e insano cazzeggio, inclusi sterili flame tra fazioni contrapposte), rispetto alla "cultura del fare", apparentemente piu' nordica (no, qui non si intende "padana", ma proprio del nord del globo, essendo noi italiani tutti, stando a questa teoria, "i terroni del globo").

Leggendo anche i commenti che sono stati fatti in questi ultimi giorni, io trovo che una delle infezioni croniche di cui soffriamo come paese, e' rappresentata dai bassi valori di "cultura di servizio" e quindi dall'alta concentrazione di "cultura del potere". Riscaldati dal sole del bel paese, in una terra che dispensa gratuitamente buonissimi e bellissimi frutti da godere col palato e con la vista, coccolati da una storia millenaria che ci consegna un preziosissimo patrimonio culturale e artistico, gravati da secoli di politica padronale e ignari del fuoco di vere rivoluzioni civili, noi italiani non siamo tanto preoccupati a risolvere i problemi che sopraggiungono, quanto a (creare e a) conservare le rendite di posizione.

Tutto, in Italia, diventa una questione di potere, e la socialsfera non ne e' esente. Per certi versi e' anche logico: dove la societa' civile ti costringe a sperimentare ogni giorno, un clima opprimente di subordinazione a poteri dominanti (lo stato con quelle leggi e quelle tasse, e quell'inefficienza; l'azienda con gli oneri e la mancanza di onori, e con carriere poco meritocratiche; la vita quotidiana in citta' continuamente offesa dalle prevaricazioni di furbetti e bulletti...), quando viene finalmente offerta la possibilita' di "realizzare" un modello di organizzazione sociale nuovo - in internet - non stupisce che affiori la mancanza di competenza e l'incapacita' di visione, e quindi che si scatenino anche i comportamenti piu' "piccoli" e discutibili, che alla fine finiscono per perpetrare quegli schemi sociali da cui ci si dovrebbe emancipare.

Non mi stupisce quindi, che la proposta di avviare attivita' piu' costruttive, e quindi piu' incisive nel territorio, abbia sollevato l'entusiasmo di alcuni, ma anche la perplessita' di altri, nella socialsfera, circa la questione del consenso e la questione del vantaggio individuale. Mi sembrano questioni intrecciate tra loro, ed entrambe riconducibili al discorso che stavo facendo sul "chiodo fisso del potere".

Sulla questione del consenso: perche' mai un'iniziativa che sta conquistando partecipazione in rete, dovrebbe essere considerata, con maliziosa sbadataggine, come priva di un necessario consenso ? Chi dovrebbe essere l'ente certificatore, se la partecipazione dal basso non e' sufficiente, considerato che nella fase iniziale non puo' essere certo elevatissima ? ma soprattutto perche' pensare che la certificazione debba arrivare da un ente terzo ? Chi e' il tronista a capo di questo fantomatico "istituto" che si sente defraudato del potere di veto e legittimazione, se il consenso monta dal basso ? soprattutto, siamo veramente preoccupati per il suo dispiacere nel vedere la poltrona che gli vacilla sotto ?

Sulla questione del vantaggio individuale: perche' pensare che un'iniziativa di crescita collettiva, di win win sociale, di emancipazione di una community se non di tutto il paese, debba essere immediatamente (de)classificata a manovra torbidamente affaristica, ovvero motivata da oscure logiche di potere ? se non se ne condividono gli obiettivi e i metodi, basta semplicemente non sottoscriverla, dunque perche' muovere pubblici attacchi a scopo distruttivo, o addirittura velenose insinuazioni dietro le spalle, per forzarne il fallimento ? se c'e' la necessita' di un riferimento, e soprattutto se c'e' la capacita' di esserlo (che altrimenti l'iniziativa non decollerebbe e non arriverebbe ad essere nemmeno "visibile"), perche' il pensiero automatico non va al beneficio che ne ricavano tutti, ma a quello che ne ricavano alcuni ? perche' mettere sullo stesso piano semplici fruitori (e spesso anche detrattori e ostacolatori) e figure dotate di visione e capacita' organizzativa e realizzativa, pretendendo che gli uni e gli altri debbano godere per principio di pari gratificazioni ?

La risposta e' semplice, perche' in Italia la questione e' sempre su chi comanda, e non su cosa di buono si faccia.

Dunque se si avvia un'iniziativa concreta (ma scopro che anche avviare una conversazione di approfondimento comporta lo stesso rischio), per l'italiano medio ci sono solo due prospettive: o esserne il capo, o vederla fallire. A prescindere dal fatto che sia utile o meno. A prescindere dal fatto che ci sia spazio o meno per eventuali alternative. L'Italia, inclusa quella che si riconosce nella socialsfera, e' logorata dal potere, che non ha. E pensare che in questo paese, invece, ci sarebbe spazio per migliaia di iniziative concrete originate dalla socialsfera e con concrete ricadute nel territorio. Ce n'e' un tale bisogno che non importa quanto utili siano effettivamente, basta che a confermare che lo sono almeno un po' sia la stessa comunita' a cui sono indirizzate. Della serie: finiamola con l'autoreferenzialita'.

Se ci fosse una cultura del servizio, automaticamente cadrebbero le soporifere discussioni sui metodi e sulle regole, dal momento che l'unica regola sarebbe quella della "utilita' evidente", e che il metodo verrebbe raffinato di tentativo in tentativo. Se ci fosse una cultura del fare (mediata dalla reticolarita' e dai suoi valori), nessuno si preoccuperebbe del fatto che di volta in volta c'e' un titolare diverso, perche' anzi si innescherebbe una gara, da cui nessuno sarebbe eslcuso a priori, a fare di piu' e meglio (per il bene comune) la volta successiva. Ma soprattutto, se ci fosse una cultura della costruzione di un bene comune, la blogosfera smetterebbe di rammollirsi seduta davanti al computer, e cercherebbe il confronto e la sfida del territorio, in cui portare le soluzioni che internet mette nelle mani delle persone, grazie alla tecnologia e al networking.


2 commenti :

Antonio LdF ha detto...

Non ci crederai, ma nel silenzio c'è qualcuno che a tutto quello che hai pensato lavora da oltre un anno e sta per uscire.
Ti faremo sapere.

Ciao..

GinoTocchetti ha detto...

Sono felice si santirlo dire, Antonio, e ansioso di sapere... :)

D'altra parte spero proprio che non sia solo "qualcuno". Io stesso seguo "piu' di qualcuno" che si sta dando da fare, sul fertilissimo confine tra rete e territorio. Del resto "Ecosistema 2.0" nasce apposta per favorire la consapevolezza e aumentare l'incisivita' di questi...

Quindi fammi sapere presto, e se e' possibile, "facciamo rete"!