Recentemente ho avuto modo di frequentare numerose volte ospedali, ambulatori medici, laboratori di analisi. Un giorno mi sono presentato ad un laboratorio dell'ospedale per un'esame che richiedeva l'utilizzo di un semplice strumento per raccogliere autonomamente un campione organico. L'operatore, dopo essersi consultato con dei colleghi, me ne consegna due, e congedandomi sbrigativamente, mi raccomanda, per errore, di tornare solo con uno dei due. L'indomani mi presento al laboratorio come da indicazioni del giorno prima. L'operatrice, gentilissima, accetta di ricevermi anche fuori orario. Avverto subito che non ho con me l'impegnativa cartacea, ma solo quella elettronica sul telefonino: "Non mi basta", dice subito. Non prende nemmeno in considerazione quella elettronica. Ritorno a casa e poi di nuovo al laboratorio. Appena letta l'impegnativa, immediatamente mi dice: "Per questo esame mi servono entrambi gli strumenti utilizzati". Al terzo giro riesco a farmi fare le analisi. Non potevano dirmi inizialmente, nell'incertezza (se mai ce ne fosse stata) di assegnarmi lo strumento giusto, che era meglio riconsegnare entrambi gli strumenti? Non potevano leggere l'impegnativa al primo giro e parallelizzare alcuni passi della procedura?
Trovo questo episodio particolarmente significativo: l'operatrice è stata gentile nei modi, ma devo giudicare il servizio erogato proprio insoddisfacente.
Trovo questo episodio particolarmente significativo: l'operatrice è stata gentile nei modi, ma devo giudicare il servizio erogato proprio insoddisfacente.
Sono io, il paziente, che devo adoperarmi perché tu operatore possa eseguire le analisi con il minore impegno di tempo, ritornando quando è tutto pronto perché tu possa fare il tuo lavoro? Come essere soddisfatti di un servizio che conteggia i tempi di un passaggio in ospedale come trascurabili, rispetto a quelli necessari per comprendere la situazione e dare le più opportune indicazioni?
Fa piacere avere a che fare con un'operatrice che gentilmente ti riceve anche se l'orario è scaduto, ma occorre una "gentilezza a livello di modello di business", non solo a livello personale. La responsabilità è percepita ancora in capo all'operatrice stessa. In realtà è da addebitare alla cultura aziendale (dell'ospedale) a cui l'operatrice si è conformata, e alle procedure che conseguono. Gli esami giustificano il lavoro del personale del laboratorio, e la remuneratività dell'intera struttura: le procedure si basano evidentemente su logiche e metriche stabilite dalla direzione medica e dall'amministrazione. Gli esami sono il valore in questo sistema, non i pazienti. E per il paziente (cliente) resta la sensazione di essere trattato con arroganza.
Fa piacere avere a che fare con un'operatrice che gentilmente ti riceve anche se l'orario è scaduto, ma occorre una "gentilezza a livello di modello di business", non solo a livello personale. La responsabilità è percepita ancora in capo all'operatrice stessa. In realtà è da addebitare alla cultura aziendale (dell'ospedale) a cui l'operatrice si è conformata, e alle procedure che conseguono. Gli esami giustificano il lavoro del personale del laboratorio, e la remuneratività dell'intera struttura: le procedure si basano evidentemente su logiche e metriche stabilite dalla direzione medica e dall'amministrazione. Gli esami sono il valore in questo sistema, non i pazienti. E per il paziente (cliente) resta la sensazione di essere trattato con arroganza.
Sull'importanza di "ascoltare il cliente", proprio empaticamente, ho già avuto modo di insistere scrivendo di lean thinking e design thinking. Come l'arroganza è sintomatica dell'incapacità di ascolto e dell'intransigenza, così la gentilezza lo è della capacità di ascolto e quindi di servizio. Non è possibile realizzare la "Lean Consumption" e quindi la "Lean Provision" senza saper essere gentili, e se sarà l'impegno con tecniche e metodi a permettervi di realizzarla, di voi si dirà probabilmente che siete diventati (più) gentili. In questa occasione voglio insistere proprio sul concetto di gentilezza, e portarlo all'interno del business model.
Non è un caso, quindi, che mi abbiano colpito nei giorni scorsi i post di Arianna Chieli, che riflette sull'abbruttimento nei rapporti priv(at)i di gentilezza, e di Mafe De Baggis che ricorda quanto la gentilezza sia legata alla capacità di comprendere (e apprezzare) l'altro, che sia il tuo cliente o il tuo fornitore (e tutti noi siamo clienti e fornitori al tempo stesso). Ma ho trovato pertinente soprattutto la segnalazione di Roberta Zantedeschi, che riporta proprio all'importanza della gentilezza nel service design con le parole di Jonathan Barnbrook, in occasione della sua Honorary Fellowship alla Central Saint Martin's University of the Arts di Londra:
Il primo consiglio è la cosa più importante che ho imparato in trenta anni di lavoro - e quindi dovrebbe essere un consiglio importante. Ed è - attenzione - siate gentili.
Tutto qui. Siate delle persone gentili. E sapete perché? Perché la vostra personalità, alla fine, conta più del vostro portfolio. Lavorare nel design significa lavorare con altri esseri umani, e l’umanità, l’umiltà e la positività sono cose altrettanto importanti dei vostri progetti e delle vostre idee. Sono queste cose a spingervi avanti, e che vi permettono di far accettare le vostre idee più estreme e pericolose.
Dico subito che non mi riferisco al taglio che hanno dato Linda Kaplan Thaler e Robin Koval, rispettivamente CEO e Presidente di una grande agenzia pubblicitaria americana, nel loro libro "The Power of Nice" (2011), in cui si dimostra "come le aziende "gentili" hanno meno turnover tra i dipendenti, più bassi costi di ricerca di personale qualificato e una più alta produttività. Per contro le persone gentili vivono più a lungo, godono di una salute migliore e fanno più soldi. Nel mondo interconnesso di oggi, aziende e persone con una reputazione di propensione alla collaborazione e alla correttezza, hanno la capacità di generare e mantenere le relazioni giuste per creare le migliori opportunità, sia nel business che nella vita.". Ecco, non credo si tratti solo di buone maniere e clima aziendale, anche se indubbiamente tutto questo ha il suo peso.
Nell'ultimo libro "Value Proposition Design", Alex Osterwalder e i suoi hanno messo in grande evidenza come il punto di partenza di una nuova impresa, o la trasformazione importante di un business già avviato, sia la profilazione del cliente. Occorre comprendere (e raccogliere nell'apposito canvas) le attività, i rischi e le preoccupazioni, i desiderata e le opportunità del cliente (jobs, pains and gains). Anche se vengono proposti numerosi strumenti di indagine, la capacità di estroversione e di condurre conversazioni comfortevoli, empatiche, ed efficaci con i futuri clienti, rimane uno degli skill cruciali. Questo approccio non vale solo nello sviluppo di nuovi business, ma anche nella trasformazione di aziende già avviate, e nella progettazione di iniziative con largo impatto sociale. L'empatia sta diventando dunque uno strumento fondamentale per il riallineamento tra economia e società, e per la trasformazione virtuosa di entrambi.
Eppure credo che la gentilezza presupponga l'empatia, andando oltre. Ho potuto trascorrere qualche giorno di vacanza in montagna, in una regione (la ladinia) nota per la diffusa cultura dell'accoglienza e della collaborazione: possiamo usare l'espressione "cultura del servizio". La qualità della vita in questa regione è evidentemente maggiore rispetto a quelle confinanti: il veneto e il trentino alto adige. La si riconosce camminando per i paesi, parlando con la gente, usufruendo dei servizi pubblici e privati. Si percepisce una comune disponibilità alla comprensione delle esigenze e preoccupazioni dei turisti, ma in realtà anche un profondo senso di comunità. Complice forse la radice retoromanza della loro lingua, la sensazione è proprio quella di essere accolti in quella comunità.
Da quel senso di appartenenza ad una (unica) "gente", ho capito l'importanza della "gentilezza" in relazione alla cultura del servizio. Certamente, in base all'empatia, io, cliente, ho potuto trovare comprensione e soluzioni adeguate, ma ho potuto godere di un senso di collettività che non ha bisogno di riconoscere opportunità di business, o richieste di assistenza, per manifestarsi. Facciamo parte della stessa comunità, quindi non uno serve l'altro, ma tutti ci serviamo insieme. Ritornerò in ladinia, ma non solo perché mi hanno trattato bene: la sensazione era che stessimo bene insieme tutti. Che è poi il principale motore di sviluppo di un'economia e una società allineate.
Da quel senso di appartenenza ad una (unica) "gente", ho capito l'importanza della "gentilezza" in relazione alla cultura del servizio. Certamente, in base all'empatia, io, cliente, ho potuto trovare comprensione e soluzioni adeguate, ma ho potuto godere di un senso di collettività che non ha bisogno di riconoscere opportunità di business, o richieste di assistenza, per manifestarsi. Facciamo parte della stessa comunità, quindi non uno serve l'altro, ma tutti ci serviamo insieme. Ritornerò in ladinia, ma non solo perché mi hanno trattato bene: la sensazione era che stessimo bene insieme tutti. Che è poi il principale motore di sviluppo di un'economia e una società allineate.
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