mercoledì 3 settembre 2014

Done Is Better Than Perfect. What's Better Than Done?

Eccellenza è una parola evidentemente abusata considerato quanto dovrebbe andare di pari passo con la scarsità. E' solo una questione da onomasiologi e semasiologi? solo diacronica o anche sincronica? Dal dizionario Garzanti, la definizione risulta essere: "1.qualità di persona o cosa che eccelle; superiorità assoluta, altissimo grado di perfezione." A parte che un tempo eccellenza e perfezione non venivano confuse, dal momento che la prima era sempre relativa e l'altra assoluta, viene da domandarsi se si intende la perfezione rispetto ad un'esigenza intima, una tensione spirituale verso l'assoluto, o in riferimento ad un contesto preciso?


Qui dovremmo farci aiutare da Aristotele, ripercorrere l'interpretazione cristiana di Tommaso d'Aquino, o quella morale di Kant... fino ad arrivare al primo '900 quando Bergson poneva l'uomo che vuole compiersi come essere creatore, di fronte a due strade: la tecnica e la mistica. Da allora il crescente dominio della tecnica e delle macchine ha svuotato il dibattito moderno occidentale sulla perfezione ("Il meglio può anche essere un nemico del bene, ma la perfezione è sicuramente un nemico mortale di entrambi", Zygmunt Bauman). E allora perché non ritornare al paradosso di Giulio Cesare Vanini (a cavallo del '600!): "La più grande perfezione è l'imperfezione".


Eppure la parola eccellenza riecheggia ogni volta che si parla di economia e società, dunque di mercati. "Il mercato globale vuole dall'Italia solo manufatti speciali e questo genera uno scompenso nel mondo de lavoro. Sono pronto a scommettere che nel giro di tre anni il nostro tasso di disoccupazione sarà inferiore al 10% perché torneremo a investire nei manufatti", dice Cucinelli. Ma i mercati chiedono racconti di esperti che hanno una storia alle spalle, vogliono essere istruiti su una materia che non conoscono ma dalla quale sono affascinati, vogliono potersi fidare e condividere (comprando) il processo creativo ed esecutivo. Riguarda il settore artigiano, in cui l'eccellenza scaturisce dalle mani dei maestri, oggi sempre più spesso celebrate come icone. Ma non riguarda solo il "fare" artigiano. Come scriveva Toni Shwartz su HBR nel 2010, in qualunque ambito è sempre una questione di passione, conoscenze, confronto con esperti e tenacia (e quindi esperienza). Sia che si tratti di uno scrittore, di uno sportivo, o di un responsabile organizzativo e dei suoi dipendenti, è sempre un continuo lavoro su se stessi (Malcom Gladwell dice almeno 10000 ore), che ha però intervallate aperture verso l'esterno, per apprendere e contestualizzare. Del resto le botteghe rinascimentali sono mai state davvero luoghi chiusi e immuni da influenze esterne? Non c'è eccellenza, quindi, se non al culmine di una storia, e di una storia raccontata e condivisa.

Ma questo spesso non basta: se parliamo di prodotti e servizi, il valore generato deve essere trasferito ad un cliente pagante. Occorre il problem/solution fit prima, e il product/market fit poi (vedi Steve Blank per una metodologia completa di customer development, e Ash Maurya per lo sviluppo che ne ha dato a livello procedurale). Per garantirsi questo occorre un preventivo confronto, fin dalle prime fasi di sviluppo del nuovo prodotto o della stessa idea di business, in cui testare e validare le proprie assunzioni, per poi eseguire prototipi sempre più vicini al prodotto finale, e a seguire, prodotti (mai) finali sempre più in grado di trasferire valore ad un cliente che lo percepisce. Si parla in questo caso di approccio "lean thinking", applicato soprattutto in contesti di forte innovazione, prima alle fasi di discovery e validation, e poi a quella di execution e growth, in un susseguirsi di iterazioni finalizzate al miglioramento continuo, senza sprechi, e il più possibile efficiente ed efficace.


Insomma l'eccellenza non può riguardare più soltanto il fare, ma inizialmente l'apprendere. Questa detronizzazione della perfezione è ben rappresentata dallo slogan "Done is better than perfect" e dal "Done Manifesto". Ma non deve trarre in inganno: il nuovo re non può essere il fare, tanto per fare, ovviamente. Forse "learned is better than (barely) done" potrebbe ribadire un'importante punto di vista: "Non esistono fallimenti ma solo apprendimento". Il mondo dei clienti è spesso tutto da conoscere, sia per la velocità con cui cambia, ma anche per il fatto che spesso questi vanno cercati in mercati sconosciuti, o sono comunque diversi da coloro che hanno comprato i prodotti nella stagione passata. La perfezione, se intesa come la ricerca confinata nella fase dell'esecuzione, non può quindi interporsi tra chi genera valore e colui al quale viene trasferito, e tradursi in un ostacolo nell'esplorazione del mondo che - augurabilmente - lo accoglierà. "Practice practice practice", ok, perché "practice makes perfect": ma la pratica non riguarda solo lo sviluppo del prodotto, bensì l'intero processo iterativo di identificazione del cliente e del suo problema, validazione della soluzione proposta, ed esecuzione del prodotto o servizio offerto. Scherzando, potremmo dire che l'atteggiamento devoto alla comprensione del cliente, e del processo nel quale verrà coinvolto, sarà in definitiva proprio ciò che rende perfetti ("If I practice love like I practice piano | I'll make others happy and better I'll be").

Non scherziamo sui sentimenti, però. Se il patto col cliente - io ti offro quello che risponde al tuo problema in modo eccellente - è così pregiudiziale per il successo, e l'obiettivo chiaro in testa fin dall'inizio è quello di "andare fuori dal laboratorio" per negoziare questo patto, allora non è probabilmente sufficiente validare assunzioni che nascono nel chiuso di quel laboratorio, dove l'eccellenza che si respira è soprattutto nel fare. Non sorprende se le imprese manifatturiere italiane di successo hanno percentuali di personalizzazione del proprio prodotto, pari a quelle delle botteghe artigiane. Carlo Molteni, un’icona del design italiano, ha dichiarato che tutte le sue cucine e ben l’80% dei suoi armadi sono fatti su misura, e che il futuro del suo settore è l’artigianato. Stefano Micelli - che grazie al suo libro “Futuro Artigiano” ha vinto il Compasso d’Oro ADI, il più importante premio di design del mondo - raccomanda che il fare sia considerato come parte del progettare, e quest'ultimo sempre più chiamato a organizzare relazioni, ovvero a dare forma, cioè, al rapporto tra processi produttivi ed esigenze del cliente. Questo vale soprattutto per imprese già avviate, e però in fase di importante riposizionamento. Si tratta di partire con il tavolo sgombro (se fossero startup, diremmo col canvas bianco): di partire direttamente dall'esterno del laboratorio, e non basta uscirne presto (“outside the box” thinking). Si deve partire dal dialogo empatico con coloro che ancora clienti non sono, forse non potrebbero, e sicuramente non vanno guardati come tali. In questo senso l'empatia è nel cuore della progettazione, che in questo modo rivela un'etica fortemente centrata sull'uomo, senza arretrare nella capacità di governare la tecnologia e i suoi travolgenti contributi innovativi (Design Thinking, Tim Brown, HBR Press, 2008). la principale differenza tra lean thinking e design thinking è proprio qui: non dobbiamo limitarci a validare le nostre assunzioni, ma dobbiamo formularle dopo aver raccolto le istanze degli utenti, e realizzato opportunità che non sospettavamo.


Ormai la perfezione del prodotto è un lontano ricordo, ma l'eccellenza continua ad essere un tema cruciale. Abbiamo capito che l'obiettivo è eccellere in un processo la cui prima fase è soprattutto di apprendimento e validazione del patto col nostro cliente. Ma in alcuni casi per raggiungere l'eccellenza dobbiamo essere capaci di instaurare, all'inizio, una relazione empatica col nostro futuro utente: dobbiamo abdicare al compito di scrivere la prima parola di quel contratto. La nostra capacità di fare abilita la capacità di progettare (analizzare, testare, misurare, apprendere e rielaborare), ma deve consentire al cliente di esplicitare i suoi reali bisogni (Driving Corporate Innovation: Design Thinking vs. Customer Development, Steve Blank). Proviamo a metterla così: “empathized is better than (barely) done”.


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