Per quanto nessuno si opponga al dare importanza a questi fattori, gli stessi sono quasi sempre trascurati, o, peggio, affrontati ma non risolti. Sembra proprio che in certi contesti nulla possa opporsi ad uno "status quo" da tutti sofferto e rinnegato, e che si basa proprio su opacita' e sfiducia. A qusto si aggiunge spesso, anzi, una dose pesante di scarso rispetto reciproco, qualcosa di ben piu' grave del mancato riconoscimento del merito.
Non c'e' dubbio, quindi, che ogni leader moderno debba perseguire ostinatamente la via della trasparenza e della fiducia, dimostrando soprattutto di essere neutrale ad ogni conflitto interno all'organizzazione, ed anche, ma non secondariamente, di testimoniare in prima persona che trasparenza e fiducia non sono parole teoriche, ma cio' che permea il comportamento quotidiano. In realta' tutto questo e' piu' facile a dirsi che a farsi, ma anche una volta fatto, e' spesso insufficiente. Vediamo come e perche'.
L'organizzazione tacita e' innanzi tutto difficile da identificare, e d'altra parte finche' non emerge, lavorare sull'organizzazione ufficiale risulta inefficace. Gli organigrammi servono solo per impegnare i Responsabili HR e i consulenti organizzativi, e decorare le pareti, se appesi nell'openspace. Bisogna chiedersi innanzi tutto perche' l'organizzazione tacita e' tacita ? Certamente non solo perche' nessuno l'ha riportata in qualche documento.
L'organizzazione tacita nasce come workaround, come tentativo di aggirare ostacoli o conseguire vantaggi non previsti. Quando gli ostacoli sono problematici, e l'organizzazione ufficiale non offre strumenti per risolverli, le persone si ingegnano per risolverli comunque, violando a fin di bene le regole scritte. Tutto cio' e' considerato ugualmente un problema, perche' sfugge in ogni caso al controllo e alla predicibilita' dell'azione collettiva, per esempio compromettendo i piani di produzione. D'altra parte, puo' anche capitare che cio' che e' considerato un ostacolo da alcuni, e' in realta' una necessita' se non un vantaggio per altri. In tal caso aggirare quegli ostacoli e' considerato una violazione ingiustificata, quando si guardano le cose nel complesso. Lo stesso vale per i vantaggi non previsti: se questi ricadono su molti, violare le regole sara' stato a fin di bene; ma se si tratta di vantaggi per alcuni, e non ammessi, la violazione non puo' essere tollerata.
Dunque l'organizzazione tacita,
- quando va bene, e' un miglioramento non ancora autorizzato, e temuto,
- ma puo' essere anche giudicata il risultato di un'incomprensione del disegno piu' ampio,
- se non addirittura un abuso perseguibile.
In ogni caso, in un contesto aziendale classico, l'organizzazione tacita e' considerata fuorilegge, e necessita di opacita' per sopravvivere, e modificarsi ed adattarsi nel tempo, in opposizione sfiduciata ad ogni corpo estraneo si dimostri di ostacolo. Qualunque sia la motivazione che la anima, onesta o meno, tendera' a fagocitare i corpi estranei finche' possibile. Piu' verra' combattuta senza troppe spiegazioni e piu' anteporra' ottusamente le proprie ragioni e la propria visione, ancorche' motivate. Tendera' in qualche caso perfino a condividere vantaggi innominabili, in modo che in conflitto di interesse con quelli, sia vanificata ogni azione correttiva. E se tutto questo non bastera', tendera' ad espellere il corpo estraneo (o endogeno) che la minaccia.
Frasi come "Voi non sapete com'e' qui da noi", oppure "Da noi quello non succedera' mai", o simili, non esprimono (solo) la sfiducia che un cambiamento e' possibile, ma anche il tacito assenso ad una situazione, che forse a voce bisogna disprezzare, ma che in fondo si ritiene sia stata ottenuta nonostante le colpe degli altri, e grazie ai propri meriti, e dunque da difendere essendone consapevolmente, anche se solo parzialmente, corresponsabili.
Dal momento che l'organizzazione tacita prende forma e si alimenta attraverso il racconto che le persone protagoniste si danno tra loro, e verso l'esterno, sara' facile constatare che non ci sara' dialogo tra fazioni contrapposte, e invece, alla macchinetta del caffe', o in ogni altra occasione informale (e segreta), si spenderanno fiumi di parole per discutere gli errori e le colpe del malaugurato assente. (Karl Weick, "Sense making in organizations", 1995). In un'organizzazione tacita deteriorata, il racconto diventa cosi' lo strumento stesso con cui modelli comportamentali negativi si consolidano, anche in opposizione al cambiamento positivo dei singoli, e determinano l'impossibilita' di scardinare l'organizzazione tacita stessa, da dentro.
In un progetto di Enterprise 2.0, che ha l'obiettivo di umanizzare l'azienda e valorizzare il potenziale umano dei collaboratori, l'organizzazione tacita non puo' piu' essere solo un malaugurato problema, ma anzi e' considerata un'opportunita' da favorire, perche' capace di moltiplicare gli occhi e le orecchie dell'azienda, e di esprimere una preziosissima intelligenza collettiva. Per arrivare a questo, pero', con riferimento ai tre diversi contesti citati prima, occorre che
- sia permesso all'organizzazione tacita di emergere senza punizioni e contribuire positivamente allo sviluppo delle attivita' aziendali,
- siano condivise ampiamente informazioni di contesto, in modo che non ci siano incomprensioni sulla visione e sul percorso
- e siano portati in evidenza i comportamenti non accettabili, spiegando bene perche' lo sono.
Benche' sia prioritaria la questione culturale, per rendere tutto questo possibile, e' utile intervenire sugli strumenti, e permettere quindi che la comunicazione e la collaborazione siano sostenute nell'ambito delle attivita' lavorative, e non fuori, e possano quindi svolgersi con leggerezza e fluidita', almeno fino ad un certo livello di criticita'. Gli strumenti non devono essere visti chiaramente come "la soluzione", ma come abilitatori di comportamenti virtuosi, e dovrebbero essere valutati proprio secondo questo metro. Anzi possono essere considerati proprio come abilitatori di momenti di riflessione e autoconsapevolezza sui propri comportamenti. Gli strumenti di Enterprise 2.0 possono essere utilizzati per consentire all'organizzazione tacita di emergere, favorire consapevolezza, e dunque capacita' di maturazione. La tecnologia, se utilizzata con attenzione e competenza, puo' quindi favorire anche il cambiamento culturale.
Ma ancora di piu' bisogna lavorare sui ruoli, come diceva Julio Velasco, che alleno' la nazionale italiana di pallavolo dal 1989 al 1996, facendole conquistare un palmarès di eccezione, mai raggiunto prima. Non bisogna aspettarsi che i giocatori facciano squadra, e quindi collaborino e si coprino le spalle, per qualche forma di buonismo, o solo perche' vengono promessi lauti premi vittoria a fine partita. Occorre che ognuno abbia un ruolo chiaramente definito, e che si impegni ad interpretarlo al meglio. Dunque nessun alibi vada cercato nelle colpe degli altri, ma anzi ci si concentri nell'impegno ad applicare le proprie capacita' anche in situazioni che gli altri non hanno reso perfette. La fiducia nell'assegnazione dei ruoli, e nella definizione della tattica di gioco, e' alla base della motivazione dei giocatori: e' cio' che rende la loro, una mentalita' vincente.
Se nel caso a cui Velasco si riferisce, la responsabilita' di definire ruoli e tattica e' accentrata nell'allenatore, che quindi puo' fare la differenza tra una squadra mediocre e un dream team, nel caso di un'azienda che adotti il modello dell'Enterprise 2.0, ruoli e tattica possono anche emergere dal basso, purche' in un processo trasparente e condiviso, e quindi conseguentemente obiettivo. Naturalmente questo non deve necessariamente accadere tutto in un colpo, ed essere esteso a tutta l'azienda, ed ai momenti piu' delicati della gestione aziendale. Rimane comunque cruciale il ruolo del leader, come facilitatore e garante dell'obiettivita' del processo di emersione e raffinamento dell'organizzazione tacita, e responsabile della definizione dell'indirizzo ultimo.
L'organizzazione tacita, a questo punto, non rimarra' piu' tale a lungo, nel senso di clandestina, ma la sua principale caratteristica diventera' progressivamente quella di essere autopoietica, come direbbe Maturana.
In pratica un sistema autopoietico è un sistema che ridefinisce continuamente se stesso ed al proprio interno si sostiene e si riproduce. Un sistema autopoietico può quindi essere rappresentato come una rete di processi di creazione, trasformazione e distruzione di componenti che, interagendo fra loro, sostengono e rigenerano in continuazione lo stesso sistema.La parte piu' critica di un progetto di Enterprise 2.0 diventa dunque proprio la mediazione tra un approccio classico basato su comando e controllo, e quello "social" basato su emergenza e autopoiesi. Una mediazione che si puo' solo realizzare in un percorso attento, necessariamente graduale, e destinato a raggiungere equilibri che sono specifici dei diversi contesti.
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