Questa settimana ho fatto cucire la sella del mio scooter che aveva bisogno di una riparazione. Grazie al passaparola ho trovato in pieno centro di Genova questo scantinato vecchissimo dove sono stato accolto da un anziano signore.
Tutto in lui trasudava esperienza: il suo laboratorio, che sembrava fermo a 40 anni fa, non fosse stato per la Panda parcheggiata all’interno, la sua cappa blu, il suo viso scavato dalle rughe, la tranquilla cadenza in antico genovese, il modo in cui le sue mani saggiavano il danno.
Quando sono tornato a riprendere il mezzo, la sella era ricucita alla perfezione, e per scrupolo è stato anche rifatta una parte che ne aveva bisogno e della quale non mi ero neppure accorto. Al momento del pagamento questo signore mi chiede “Quanto le avevo detto?”. “Non ne abbiamo parlato”, rispondo. Mi dice una cifra: avrei pagato tranquillamente il doppio senza fiatare. Me ne vado soddisfatto.
Certamente “a quel tempo” c’era una concezione diversa del lavoro. Questo post bellissimo mi fa pensare che di queste cose si parla sempre piu’ spesso, come di una mancanza da colmare, di un ritrovare le arti e mestieri per i quali questo paese e’ diventato famoso nel mondo, di un nuovo rinascimento che sta montando.
Mi chiedo anche se questa diversa concezione del lavoro debba essere appannaggio dei soli artigiani. Il lavoro manuale, lento, di precisione, e’ veramente l’unico teatro in cui mettere in scena tanta sapienza e passione ? Perche’ non potrebbe essere lo stesso per un programmatore, un grafico, e perfino un venditore ? “code is poetry” vi dice qualcosa, immagino.
Dunque non e’ tanto nel vecchio mestiere, il punto, quanto in una concezione del lavoro che valorizza il professionista, la passione che trasfonde nel suo lavoro, nei livelli di qualita’, di eccellenza che raggiunge di conseguenza. Il colpevole e’ sicuramente il “consumismo”, che spinge alla produzione frettolosa e in grande scala, alla produzione di oggetti destinato a durare poco per poi essere sostituiti, ad un’innovazione cosi’ frenetica che non concede tempo per profonde specializzazioni.
Ma tutto questo sta lentamente cambiando. Nell'economia globalizzata non possiamo piu' competere con chi sa "semplicemente fare". E' finito il tempo in cui il "made in italy" aveva valore. Dobbiamo tornare a trasferire tutta la nostra "italica" cultura nel manufatto, nel prodotto, nel servizio. Ma soprattutto dobbiamo renderci conto, addirittura a livello europeo, e nel mondo occidentale, che se il nostro ruolo si sposta sempre piu' verso compiti da knowledge worker, verso un'economia dell'innovazione, verso un ripensamento in termini culturali e idealistici dei prodotti e dei servizi, non e' piu' con il modello del lavoro fordista che possiamo affrontarli. Qualunque siano le professioni che siamo chiamati a fare, non e' nel freddo "meccanicismo", e nella velocita' di esecuzione, che possiamo raggiungere la sperata e necessaria eccellenza.
E questa crisi e’ forse proprio il segno che il cambiamento e’ profondo e traumatico, tanto a lungo ci eravamo sprofondati in quelle dinamiche industriali e di mass market. Speriamo che sia un cambiamento benefico, alla lunga. Anche se oggi le arti non sono piu' le stesse, "imparare l'arte", ovvero puntare alla qualita' piu' alta, rimane anche oggi quanto mai importante. Dunque, Impara l'arte, e non metterla da parte!
[Update 31/3 13:00, dopo il commento di Giorgio]
Oggi sono richiesti altri ritmi ? quindi altri livelli di "completamento" (l'eterna beta release) ? conta piu' aprire opportunita' che non risolvere problemi ? benissimo! ... ma perche' ? questa velocita', questa imperfezione, questa liquidita' NON sono il fine, ma il mezzo. Sono tecniche che compongono una nuova professionalita'. Sarebbe un grande errore (e purtroppo e' molto frequente) ritenere queste caratteristiche "sufficienti" a definire un nuovo livello di qualita'. Non e' il procedere a vanvera, non e' il culto dell'errore e dell'inutile, cio' che conta oggi: invece e' il saper esplorare, il riconoscere nuove logiche e nuovi percorsi, nuove applicazioni.
Allora, la questione e' che ci sono (nuove) arti da imparare, e nuove tecniche di cui diventare "maestri". Ma oggi non e' diverso da ieri: mettici profonda competenza e sincera passione. Esattamente come l'artigiano di ieri. Si tratta di nuovo di recuperare il "senso" di cio' che si sta facendo, e della sua interpretazione, che esperienza e soprattutto conoscenza rendono magistrali. Cio' che sta cambiando (e che l'artigiano ci puo' ricordare che un tempo apparteneva alla nostra cultura) non e' il singolo mestiere, ma l'importanza del professionista nell'esercizio della sua professione, il ritorno della centralita' della persona nell'ambito del lavoro che svolge, la capacita' del singolo di mettere cultura, capacita' di comprensione e interpretazione (e quindi secoli di storia) nel proprio lavoro, quindi la capacita' di "umanizzare" cio' che facciamo! Oggi siamo/dovremmo essere tutti professionisti, come ieri eravamo tutti artigiani: questo e' il punto che ci eravamo persi.