domenica 27 febbraio 2011

Riti sociali italiani 2.0: moda, cucina e apprendimento ludico

C'e' uno stile italiano per il quale siamo famosi nel mondo, altro che pizza e mandolino, mafia e bunga bunga. Uno stile tanto caratteristico e seducente, quanto difficilissimo da definire, come del resto tutte le cose che sono un distillato di millenni di storia, intrise di culture multietniche e magistralmente rielaborate, inspirate dalla bellezza di una terra che rimane ancora oggi, nonostante tutto, un concentrato di meraviglie. Di una forza tale percui in ogni angolo del mondo mi sono trovato, presentandomi da professionista o da semplice turista - e qualche volta turista cosi' fai da te da non sembrare proprio il classico pollo da sfruttare - in tutte le occasioni (tutte!) mi sono sentito subito abbracciare da sorrisi di simpatia e, si, di ammirazione: "ah, italy!".

Noi stessi, come popolo italiano e perfino come uomini di politica e di economia, ma anche di letteratura, non lo abbiamo ancora studiato analizzato e compreso con sufficiente approfondimento. Ne avvertiamo la presenza col retrocervello, lo raccomandiamo come valore aggiunto di ogni attivita' turistica nostrana (ma dell'intervento al BIT 2011, di Matteo Marzotto, presidente ENIT e rappresentante numero uno del brand Italia nel mondo, non c'e' traccia in rete), e pero' non sappiamo tutelarlo, lo sfruttiamo commercialmente con intelligenza e professionalita', ma piu' spesso lo associamo alle cause evidenti se non banali, spergiuriamo che e' tutto nostro ma non del nostro vicino, ci indignamo perche' lo stiamo perdendo, se gia' non lo abbiamo definitivamente corrotto e sciupato.

Non meriterebbe piuttosto un'attenzione maggiore, e se non ricerche accademiche o giornalistiche di opinabile autorevolezza, almeno una serie di iniziative volte proprio a stimolare l'autoconsapevolezza, e, perche' no, a condividerlo con i nostri fan nel mondo? Meglio se prima che lo facciano gli altri. Io credo che se c'e' un cancro che mina la salute di questo "italian way of life" e' proprio la mancanza di una ragionevole consapevolezza. E d'altra parte sono convinto che la sua forza sta proprio nell'essere innato, inconsapevole se non perfino sconosciuto a noi stessi, e dunque genuino. Raggiungere una via di mezzo sarebbe un risultato meraviglioso.

Ma anche se frutto di una misteriosa pozione magica, composta segretamente da cultura, storia, ambiente, gastronomia e moda, il nostro stile di vita altro non e' che una raffinata combinazione di comunicazione, sensibilita' condivisa e socialita'. Dunque anch'esso e' soggetto alla spinta innovatrice di internet, e quindi potenzialmente accompagnato ad una nuova profonda rivisitazione. Ancora una volta noi ci distinguiamo in questo, e guarda caso, siamo primi nell'utilizzo degli smartphone e dei social network. Anche qui, abbiamo subito abbracciato la parte dell'innovazione tecnologica che veramente ci interessa, senza le resistenze e senza la difficolta' di comprensione che invece mettiamo sull'altra parte (quella legata alla produttivita' e all'efficienza, che pero' ci servirebbe tanto quanto!).

Esiste gia' un "modello italiano" nell'utilizzo dei social media? "cazzeggio" e' una parola che entrera' nel vocabolario globale, al fianco di "romanzo" in letteratura, "allegro" nella musica, "lombard" in economia, "parmigiano" in gastronomia... ? Battute a parte sul cazzeggio, qui si fa riferimento alla capacita' che gli italiani hanno di utilizzare la dimensione ludica e sociale come strumento di lavoro, di stimolo alla coprogettazione, di condivisione multiculturale, e perfino di tenuta sociale e peace keeping... e di come questa si stia trasformando grazie a internet, e come internet viene per questo usato dagli italiani.

Con questo spirito e di queste cose parleremo nell'ambito del Digital Experience Festival, a Milano, dove Stefano Saladino ci ha gentilmente invitato a dare il nostro contributo, che consistera' nell'incontro dal titolo: "Riti sociali italiani 2.0: moda, cucina e apprendimento ludico", in particolare grazie a Mariela De Marchi, Sara Maternini e Domitilla Ferrari, e a tutti coloro che ci raggiungeranno allo IED - Sala B3 - Via Bezzecca, 5, Milano - 10 Marzo, dalle ore 10.30 alle 12.30 (iscrivetevi qui). Tutte donne: c'e' da meravigliarsi?
- Mariela De Marchi: consulente linguistica e di comunicazione online, gestisce progetti culturali ed esplora il teatro.
- Sara Maternini: community manager di professione, food blogger per passione, la potete trovare su quasi tutti i social network, anche e soprattutto i meno frequentati
- Domitilla Ferrari: giornalista passata al lato oscuro della forza: social media strategist in Mondadori, si definisce (con buon senso) guru dell'ovvio.
Gino Tocchetti, fondatore del think tank non convenzionale Ecosistema 2.0 e animatore del network che lo sostiene, dara' l'avvio al dibattito.

sabato 5 febbraio 2011

Cittadinanza digitale, e-Public Services: dibattito ispirato dai libri di Belisario, Cogo e Scano

Ecco la traccia che mi sono preparato per l'incontro di oggi, alla libreria Mondadori, Edicolè, Via S. Francesco 19 – Padova, alle 18:00, in cui verranno presentati i libri "La cittadinanza digitale", di Gigi Cogo, e "I siti web delle Pubbliche Amministrazioni" di Belisario Cogo e Scano, alla presenza degli autori, e amici, Gigi Cogo e Roberto Scano.

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Siamo alle porte di alcuni cambiamenti radicali nelle abitudini di vita della popolazione, anche italiana, rese possibili dalle tecnologie legate ad internet. Questi cambiamenti riguarderanno inevitabilmente anche la realazione tra cittadini e pubblica amministrazione.

Questi cambiamenti sono e saranno finalmente "possibili" per alcuni, e "necessari" per altri. Sono e saranno favoriti da chi e' gia' mentalmente predisposto, ed ostacolati dagli altri.
Sono e saranno cavalcati rapidamente e perfino sfruttati a proprio favore da alcuni, e affrontati con enorme resistenza e subiti da altri.

Non e' e non sara' nemmeno possibile delegare qualcuno che lo faccia per noi. In azienda come nella vita quotidiana, non puo' bastare il collaboratore volenteroso, o il figlio giovane e intraprendente. E' qualcosa che riguarda ognuno di noi, direttamente.

Data la portata di questi cambiamenti, nessuno potra' singolarmente deciderne il corso: si puo' e si potra' solo comprenderli ed assecondarli, o ritardare il proprio coinvolgimento (inutilmente) e utilizzarli male. Sia a livello di singolo individuo, che di paese intero.

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Nemmeno e' possibile immaginare un percorso formativo, anche se il nostro fosse un paese in cui la formazione non sia stata ridotta ad una farsa, perche' stiamo parlando di capacita' profondamente connesse alla natura dell'uomo, che da un lato tutti gia' le possiedono, e dall'altro e' la consapevolezza l'unico fattore che manca "a chi non sa".

Stiamo parlando di qualcosa che assomiglia molto a come andare in bicicletta. E' facile, facilissimo, banale per chi ha gia' imparato. Tutti possono farlo, e tutti effettivamente ci riescono. Pero' non esistono mauali per andare in bicicletta. L'unica e' provare, cadere forse le prime volte, e poi scoprire facendo, come si fa. Osservare una persona che ci mostra come si fa e' insufficiente: puo' solo accendere la voglia di provare.

Non servono quindi tanti corsi ne' tanti manuali di istruzioni (ma un po' di strumenti di facilitazione si), se c'e' l'interesse, la motivazione. Tutti oggi si iscrivono a facebook, perche' ci sono i loro amici, perche' tutti dicono che si divertono, perche' ne parlano anche i giornali. Nessuno ha insegnato loro come si fa, eppure si iscrivono e partecipano. E se si tratta di perdere qualche ora all'inizio a capire come fare in certe situazioni, ebbene scelgono di perderla senza remore.

Occorre quindi che scatti una spontanea determinazione. Di questo c'e' bisogno, piu' che di formazione: della creazione di un contesto favorevole e, si potrebbe dire, intrigante.

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Eppure la tecnologia pone sempre delle questioni per gli utenti. Ci si puo' collegare, quanta banda serve? Serve un computer o basta uno smartphone? Quale contratto con l'operatore di telefonia, a quale costo? Quale software? E la privacy? E la netiquette? E come faccio a vedere chi fa cosa? E chi e' ipovedente?

La Pubblica Amministrazione, che per definizione deve erogare un servizio pubblico, deve evidentemente porsi queste domande. Opensource o l'offerta chiavi in mano di qualche grosso vendor? di quale infrastruttura e' dotato un territorio e, soprattutto, chi la controlla? quale terminale possiamo immaginare che abbia l'ultimo dei pensionati e dei giovani in eta' scolare? Quali regole di accessibilita' dei contenuti?

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Farsi prendere dalle questioni tecnologiche, cruciali perche' inerenti l' "abilitazione" di tali servizi, non deve pero' distogliere dalle questioni effettivamente piu' fondamentali.
Quali servizi innovare? Come ottenere un effettivo taglio di costi a parita' di qualita' di servizio erogata, se non maggiore? Come favorire e in un certo senso sfruttare l'accresciuta partecipazione dei cittadini? Come innescare un virtuoso circolo di dialogo e conoscenza reciproca tra Pubblica Amministrazione e cittadinanza, che possa di fatto migliorare l'indirizzo della prima e quindi la soddisfazione dei secondi, che in gergo viene chiamata "edemocracy"?

I servizi che raggiungono piu' spesso la ribalta gia' oggi, sono sostanzialmente quelli che consentono
- il presidio del territorio da parte dei cittadini stessi, in materia di ordine pubblico e controllo dell'efficienza dei pubblici servizi decentrati
- la trasparenza sulle attivita' svolte dagli organi politici, e dai politici in particolare, in modo da assicurare la rappresentanza degli stessi dopo le elezioni
- la diffusione di informazioni utili tra cittadini, e con i referenti del servizio pubblico, in modo da aumentare la conoscenza del contesto reale, e assicurare che il pubblico servizio sia sempre piu' adatto a fornire risposte efficaci

La maggior parte di queste iniziative sono registrate all'estero, ma anche in italia qualcosa si sta muovendo. Esiste una differenza culturale tra questi paesi, oltre al gap tecnologico che comunque va considerato? Soprattutto c'e' abbastanza divulgazione di queste iniziative cosi' che gli italiani sappiano cosa effettivamente si puo' fare fin da oggi?

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Infine, con questi presupposti, si apre alla Pubblica Amministrazione la possibilita' di erogare un ulteriore tipologia di servizi: liberare i dati in proprio possesso. Si tratta di quantita' impressionante di dati, che riguardano un po' tutto, le persone, l'ambiente, l'economia...

La conoscenza di questi dati e' cruciale perche' la cittadinanza possa effettivamente conoscere se' stessa e il contesto in cui vive e lavora. Si innesca cosi' un processo virtuoso che potrebbe generare nuovi servizi, e migliorare quelli esistenti, e rendere le stesse decisioni, prese a vari livelli, piu' appropriate ed efficaci.

D'altra parte la circolazione di questa ulteriore massa di informazioni pone e porra' problemi analoghi a quanto abbiamo gia' visto nella prima fase di espansione di internet. A poco sara' servito se i dati liberati non saranno reperibili, consultabili e facilmente elaborabili. Occorre quindi assicurarsi che lo sforzo sia "utile" e che il risultato non sia fonte di piu' problemi di quanti non ne risolva.

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Un'ultima considerazione, su questo tema, rilancia una visione di maggiore prospettiva. Possiamo aumentare la conoscenza fattuale, sia in termini di servizi che di dati grezzi, ma siamo consapevoli che e' la capacita' di elaborazione di conoscenza la vera sfida che ci viene posta oggi? Se l'economia della conoscenza e' quella in cui viviamo, e vivremo sempre di piu', non e' forse arrivato anche il momento di ragionare veramente in termini di nuove professionalita', nuovi settori economici, e di nuovi parametri della qualita' della vita?