Faccio spesso lunghe passeggiate antistress e meditative, piu' o meno di corsa, in cui i passi e i respiri si succedono come colpi di setaccio, col risultato di separare tossine corporali e mentali, e di riordinare fibre muscolari, neurofilamenti e fili logici. E' un po' come stendere nuova fibra ottica per le mie idee.
Da qualche tempo, complice la primavera e le nostre bellissime colline, coinvolgo amici di network, con cui si puo' parlare di passioni comuni e di potenziali progetti. Questi incontri, che ho battezzato walk&talk, integrano molto bene le riunioni di lavoro, intorno a tavoli ricoperti da una potenza di calcolo e multimediale che dieci anni fa avrebbe esaurito il budget annuale per l'infrastruttura tecnologica di una piccola azienda, o quelle vaporizzate nella nuvola. In quelle, anche avvalendosi di tecniche patentate per il brainstorming e la liberazione della creativita', si oscilla tra l'assillo del metodo e quello dello strumento, rimanendo condizionati dal senso del dovere morale e professionale (ok, gli italiani molto meno).
Ma i walk&talk sostituiscono molto bene anche la cena di lavoro, tutta nostrana, o la partita a squash, piu' anglosassone, o altre attivita' gastro-ludico-sportive riproposte come team facilitating: forse qui siamo piu' vicini ad un round di golf, ma piu' genuino, accessibile e forse anche piu' divertente. In quei casi, infatti, la dinamica della cena o della partita, finiscono per prevalere e governare la conversazione, quindi quello che guadagni sul piano sociale, lo perdi poi su quello dell'approfondimento. Durante un walk&talk si viene piacevolmente interrotti dalla comparsa sul cammino di castelletti e casone ciascuno con una storia da raccontare, dagli improvvisi scorci sulla pianura e sulle montagne piu' vicine, o da discussioni sulla edibilita' di fiori bacche ed erbette: ma tutto questo e' funzionale a mantenere leggera la discussione, lungo una rotta a volte sconosciuta all'inizio, nonostante scarrocciamenti anche forti.
Oltre tutto nei walk&talk e' prevista la sosta nell'agriturismo locale, non quello che trovi sul portale turistico, ma il cui cartello indicatore e' una vecchia tavola di legno, non ha biglietti da visita e trovi da mangiare i frutti del territorio, naturalmente se arrivi prima che finiscano. Questo significa che la discussione sull'opportunita' di business che ti preme definire, viene interrotta da battute e risate inter-tavolaccio sulla ripartizione dei compiti tra il gestore la moglie e i figli, da divagazioni e consigli sulla coltura dell'ulivo e sulla stagionatura del vino, dalla valutazione dei consorzi agrari fatta in base alla sensibilita' nella scelta dei trattamenti proposti.
Dunque mentre correvamo a passo lento, ci siamo trovati a discorrere della difficolta' di formare reti sia tra gli imprenditori clienti che tra i collaboratori e i liberi professionisti. Quello che io vedo essere la questione dell'economia di ecosistema. Poche volte ho visto un problema tanto comunemente sentito, patito vorrei dire, e contemporaneamente cosi' poco conosciuto e discusso, per non dire lasciato alla buona sorte di qualche incontro voluto dal caso. Ne avevo parlato qui, in occasione del VeneziaCamp2009.
Eppure e' noto a tutti il progressivo snellimento delle strutture organizzative, e la crescente necessita di cooperare tra strutture aziendali che non rispondono allo stesso decisore, se non con professionisti che appartengono ad aziende diverse, o addirittura con rappresentanti della controparte che "vera controparte" non sono piu'. Si moltiplicano le partnership, i fornitori diventano anche clienti e viceversa, i consumatori diventano prosumer. In questo contesto gli interlocutori diventano quasi tutti "liberi professionisti", anche se inquadrati in qualche organizzazione, e vengono meno le "regole di contorno" che renderebbero piu' lineare (rigida eppur protetta) l'interazione.
In sostanza, la capacita' di collaborare e formare reti in modo efficace, chiamiamole proprio "trust network", e' sempre piu' una competenza richiesta ai singoli partecipanti, i quali dovrebbero adottare accorgimenti come fossero aziende che vogliono vendere i propri prodotti in internet. D'altra parte dovrebbe essere una caratteristica tecnica delle reti molto grandi rendere evidente il livello di fiducia esistente, il web of trust sovrastante. Sempre meno spesso il modello organizzativo, e i manager che lo applicano, possono assicurare efficienza ed efficacia: questi ultimi possono invece assumere un ruolo motivazionale e facilitativo, ma proprio per questo motivo rimangono schiacciati tra la responsabilita' e l'indeterminatezza di cio' di cui sono responsabili. Comando e controllo sono armi spuntate, se non proprio strumenti controproducenti: potrebbero imporsi come una cappa deprimente la motivazione e il fluido scambio collaborativo e conoscitivo.
Dunque la capacita' di formare trust network, sta diventando una delle competenze piu' preziose, sia per il singolo professionista, che per i diretti interessati alla rete e al suo potenziale. Quali sono i costi economici e sociali dell'incapacita' di creare trust network, nel lavoro come nella vita civile? Quanto tempo perso, quanta qualita' compromessa, quanta innovazione mancata? E vogliamo parlare della fiducia nei mercati, dell'attenzione e del consenso da parte degli interlocutori che ovviamente si curano solo di chi si fidano? E dei costi connessi a comportamenti improntati ad una caduta di fiducia? In California stanno correndo ai ripari.
Non e' forse questa capacita' di creare fiducia, e motivazione alla collaborazione, un ragionevole obiettivo da assegnare a programmi formativi, servizi consulenziali e a sforzi organizzativi? A questo punto io parlerei di economia della fiducia (come appunto ha gia' fatto Anna Bernasek in The economics of integrity).
In progetti improntati all'Enterprise 2.0, cioe' all'attivazione e potenziamento di reti aziendali e interaziendali, e tra aziende e mercati, dove e' fondamentale l'accento sulle persone e sulle relazioni che le legano, uno dei fattori cruciali, a questo punto e' evidente, non puo' che essere la fiducia. Cos'e' un progetto di enterprise 2.0 se non un progetto per coltivare e trarre beneficio da relazioni di fiducia all'interno dell'azienda, e tra l'azienda e il suo ecosistema?
mercoledì 13 aprile 2011
Walk and talk e l'economia della fiducia
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